Formazione rivoluzionaria delle donne

  • La rivoluzione culturale proletaria e le donne - 3° parte: "Le donne non attaccano più i bottoni"
Pubblichiamo gli ultimi capitoli del libro della Maciocchi che parlano del cambiamento/rivoluzionarizzazione della condizione delle donne, sia oggettiva che soggettiva, durante la Rivoluzione culturale proletaria in Cina.
La Maciocchi gira, parla, fa inchiesta e quindi porta fatti, racconti delle donne, che dimostrano come la condizione delle donne in quel periodo si sia capovolta, ma soprattutto, come dice una ragazza parlando con la scrittrice che "Quando le donne sono mobilitate, si possono fare cose enormi".

La Grande rivoluzione culturale proletaria è stata un vero assalto al cielo, la prima realizzata grande esperienza di "rivoluzione nella rivoluzione". Come diceva Mao Tsetung "una nuova rivoluzione culturale avrà come protagoniste le donne nella famiglia e nella società...".
Essa, pertanto, non può essere guardata come se riguardasse solo la Cina, ma riguarda ogni paese, sia oppresso sia imperialista.
E' stata la rivoluzione più moderna che si sia realizzata (tanto da aver anticipato risoluzioni di problemi, nuovi anche per le cittadelle imperialiste - come l'uso degli anticoncezionali, per altro, a differenza dei nostri paesi, sicuri per la salute della donne).
La RCP dimostra che tutto è possibile, ma che non viene "regalato" neanche da uno Stato socialista; e che, quindi, le donne, proletarie, popolari, le ragazze possono e devono ovunque "scatenare la loro ribellione come forza poderosa della rivoluzione".


Le donne del quartiere operaio non attaccano piú i bottoni
Il quartiere operaio di Peng Pu, nato nel '58, ha 130 edifici, e vi abitano 15 mila persone, suddivìse in 3500 famiglie di operai di una fabbrica metallurgica e di una di generatori elettrici. Delle 3500, 2650 sono famig1ie dove lavorano padre e madre. Il resto delle donne, già casalinghe, sono appunto quelle che la rivoluzione culturale ha immesso in compiti nuovi per organizzare la vita del quartiere, e parteciparne alle attività produttive...
La descrizione del quartiere ci è fatta da una ragazza simpatica che ride spesso, e di cui sappiamo che ha avuto l'onore di essere delegata al IX congresso del PCC. "Le casalinghe del quartiere hanno oggi una coscienza piú elevata" ella dice. “Prima a quelle donne interessava soltanto occuparsi dei bambini, avere forni a gas, bei panieri di bambú, e pantaloni di lana. Ora alle casalinghe interessano i grandi affari dello stato. Duecentottanta casalinghe sono organizzate nel lavoro dell'asilo, dove si trovano 500 bambini. Anche se nelle fabbriche vi sono asili, le operaie, quando non allattano piú i figli, preferiscono tenerli nell'asilo del quartiere...
Abbiamo formato diversi gruppi di produzione delle casalinghe... Vi sono donne che stanno costruendo un fabbricato di 440 metri quadri, per il quale esse stesse hanno prodotto i mattoni, fabbricando una fornace con poca spesa, oppure se li sono procurati andandoli a raccog1iere un po' dovunque".

Andiamo a vedere le fabbriche delle donne... Girando nel quartiere, ci si rende conto di come la
rete dei servizi sociali sia estesa. Vi sono lavanderie pubbliche, negozi di sartoria e di tintoria, dove vengono stirati e rammendati i vestiti, e dove vi vengono attaccati i bottoni. Per un vestito, lavato e stirato, le donne pagano 5 centesimi di yuan. Un pasto al ristorante costa 40 centesimi di yuan, e alla mensa 20 centesimi di yuan. All'asilo, con 20 centesimi di 3man i bambini mangiano quattro pasti. “Mangiare e vestirsi costa pochissimo", spiega la compagna. “Io spendo per cinque persone, a casa mia, 60 yuan al mese. Il salario di mio marito è di 114 yuan. Il riso costa 16 yuan e 50 centesimi ogni 50 chilogrammi. Ne consumiamo per 22 yuan al mese. E si può avere carne e pesce tutti i giorni, perché la carne costa 1,80 centesimi al chilogrammo nella qualità migliore, e il pesce O,60 centesimi al chilogrammo"...
...Nel quartiere, c'è una compagna di 75 anni, mamma Hu, la cui vita è stata un tragico esempio della oppressione, e che tutte le settimane parla ai giovani tre o quattro volte. I fabbricati e tutto il resto sono proprietà collettiva; siamo noi del quartiere che decidiamo la costruzione di nuove case. E' lo Stato che sostiene le spese delle costruzioni. I costruttori e gli architetti siamo noi stessi, nel quadro delle nostre imprese collettive".
Questo quartiere segna davvero la "morte della casalinga". Non ve ne è piú una che stia a casa a sfaccendare. Vi si tocca con mano come le donne acquistino la loro piena emancipazione entrando nell'attività produttiva, e uscendo quindi da quella prima forrna di divisione del lavoro che - come diceva Marx - è la famiglia.
Nel nuovo reparto, dove si fabbricheranno piccole macchine utensili, in collegamento con una grande fabbrica, le casalinghe hanno eretto il capannone in muratura con mattoni fabbricati o raccolti da loro. Cinquantasette massaie sono andate a imparare nella fabbrica i metodi di produzione... Un "gruppo di produzione" ha creato una piccola industria per la fabbricazione delle scarpe... l'importante è che escano dalle pareti domestiche, dove prima stavano chiuse a guardare i bambini...
“Quando le donne sono mobilitate, si possono fare cose enormi", dice la nostra intelligente organizzatrice del quartiere... «Mao dice che le donne sono come gli uomini e possono fare lo stesso lavoro".
Andiamo a far visita alla vecchia mamma Hu, in uno degli appartamenti del quartiere. La casa è in perfetto ordine, un ordine addirittura minuzioso... un uomo tiene in braccio un bambino, mentre con il mestolo gira dentro una pentola. E' il marito della figlia della donna. La moglie – casalinga non piú casalinga - è al lavoro. Il marito aiuta a cucinare e si occupa del bimbo piccolo, secondo le direttive del presidente Mao.
A Shanghai, vi sono 120 settori di nuove abitazioni operaie, come questi quartieri vengono chiamati, dove "la rivoluzionarizzazione delle casalinghe" è in pieno corso...

L'amore in Cina
“Esiste l'amore in Cina?" vi domandano, ossessivamente, al ritorno da un viaggio in Cina. «Beh, se fanno tanti bambini, non è che li trovino sotto il cavolo," rispondete voi... Quando si applicano alla Cina taluni nostri diffusi moduli di rapporto fra uomo e donna, non si arriva ad intendersi.
Una volta un italiano, faccio un esempio, si interessò molto alla sua giovane interprete cinese, e quando, pur senza aver avuto da lei il minimo segno di simpatia, le espresse i suoi sentimenti, in tutte lettere, la ragazza ebbe una sola reazione: quella della piú assoluta stupefazione. “Ma che cosa c'entra?" chiese, “non riesco proprio a capire. Io sono un quadro rivoluzionario dello stato cinese."

La donna-oggetto non esiste. Per la donna cinese, chiusa per millenni dentro la morsa di forme, di schemi, di riti, di una crudele convenzione, l'amore con l'uomo nasce dalla sua libera scelta. Marx, dopo aver detto che “... il matrimonio è certamente una forma di proprietà privata..." scriveva (Manoscritti economico-filosofici del 1844: Proprietà privata e comunismo): Nel rapporto verso la-donna, preda sottomessa della libidine della comunità, è espressa la smisurata degradazione in cui l'uomo si trova ad esistere di fronte a se stesso; ché il segreto di tale rapporto si esprime non ambiguamente, ma risolutamente, manifestatamente, scopertamente, nel rapporto dell'uomo [singolo] alla donna [singola] e nel modo in cui è compreso l'immediato, naturale, rapporto generico [cioè pertinente al genere umano]... In questo rapporto appare, dunque, sensibilmente, e ridotto a un fatto intuitivo, che, nell'uomo, l'essenza umana è divenuta natura, e che la natura è divenuta l'umana essenza dell'uomo. Da questo rapporto si può dunque giudicare ogni grado di civiltà dell'uomo.
Dal carattere di questo rapporto consegue quanto l'uomo è divenuto e si è colto come... uomo". L'amore, sia per l'uomo che per la donna, in Cina è fatto di timidezza quasi morbosa, di rossori, di candori infantili, anche se le giovani donne sono spesso vestite da soldatesse, come gli uomini. Nei parchi, ho visto molte coppie, che al massimo si tenevano per mano: tra loro, spesso, c'era una borsetta di plastica, colma di libri... La discrezione dei cinesi nei loro sentimenti interiori è grandissima, ed ecco perché tante volte ci si interroga su quello che provano. Sciorinare questi sentimenti in pubblico, significa sciuparli. Ecco tutto.
In Occidente, si afferma spesso che le cinesi hanno perduto la loro femminilità, perché non corrispondono alla nostra “foemina" eurocentrica...
La bellezza della donna cinese, bella o brutta secondo il nostro unicum che si esprime con la Bardot o la Monroe, è data dal suo stile, quindi la donna cinese è quasi sempre bella, perché in lei lo stile è nel modo di disporsi, nella sua ispirazione, nella sua tensione interiore, questo suo essere umana e dolente, che la fa bella, e qualche volta bellissima... Per giudicare una donna cinese, piú che i nostri parametri abituali, occorre dunque un intuito interiore. Spesso, a quel punto, le si troverà incantevoli, in questo loro perenne moto interiore, quasi una fiamma, di aderire al nuovo, e di scavarvi all'interno un loro cammino, quindi, un loro modello di bellezza.
Le donne e gli uomini in Cina, si sposano attorno ai 25 anni; nel quadro della pianificazione delle nascite, oltre il controllo vero e proprio, c'è il noto suggerimento del "matrimonio tardivo. L'amore, dunque, non è coartato. Quel che si cerca di impedire è che le famiglie prolifichino senza interruzione, soprattutto nelle campagne. Man mano che i sistemi di controllo delle nascite penetreranno nelle campagne il “matrimonio tardivo" non avrà piú ragione di esistere.
Nelle città, le pratiche anticoncezionali sono piú o meno note a tutti Ì giovani. D'altra parte, non si può pensare che gli immensi raduni di guardie rosse a Pechino siano stati, tra ragazzi e ragazze, soltanto scambi di slogan politici.

Dopo le "guardie rosse," le donne
Credo che per Mao la questione femminile si vada ponendo sempre piú all'ordine del giorno nelle sue riflessioni. Egli ha preso a studiare - a quanto pare – le spinte dei movimenti femminili di emancipazione negli Stati Uniti e nelle altre società occidentali... In che consiste questa rivolta femminile che serpeggia nel mondo? Per quanto riguarda la Cina, Mao avverte che le donne cambiano, si evolvono, contano, anche se non abbastanza. Di recente egli ha fatto notare a piú riprese che, adesso, la Cina è un altro universo, e che le donne che sembravano nate per un solo compito - i figli - ora fanno “cose strane”, “mestieri impensabili" - le paracadutiste, i piloti di aerei da caccia, fabbricano congegni elettronici, si addestrano nell'esercito e vi occupano posti dirigenti,
sono capitani di lungo corso... La vecchia autorità maritale, soprattutto nel mondo contadino, vacilla sempre di piú... "I tempi sono cambiati", ha detto Mao alle donne, «l'uomo e la donna sono uguali, quel che l'uomo può compiere anche la donna può farlo"... “...le donne erano le piú sfruttate tra gli sfruttati (nel famoso testo Rapporto dell'inchiesta sul movimento contadino nello Hunan, 1927, Mao descrisse la situazione della donna cinese come una situazione oggettivamente rivoluzionaria, e pronunciò la piú netta condanna del potere maritale e dell'uomo - in genere - sulle donne).
Nella Cina tradizionale occorreva infrangere una terribile discriminazione che risaliva a duemilacinquecento anni prima, a Confucio medesimo, che diceva: “Non vi sono che
due categorie di esseri inferiori: la gentucola (Xiaoren) e le donne". Sulla donna esisteva sempre la tutela dell'uomo, padre marito figlio o qualsiasi altro uomo fosse investito del potere presso questa sorta di minorata a vita che era la donna. E il potere dell'uomo poteva anche essere di vita o di morte. La mutilazione dei piedi ebbe origine nel desiderio di rassomigliare ad una concubina imperiale famosa, e quindi di "piacere" al proprio uomo. Il procedimento di mutilazione dei piedi attraverso le bende si sparse rapidamente perché accentuava lo stato di soggezione della donna, che diventava incapace di muoversi da sola. Perché le donne accettassero la sofferenza di questa mutilazione, se ne fece un marchio distintivo di nobiltà femminea. Infatti, le serve, di cui i signori avevano bisogno, e le contadine al lavoro nei campi, non avevano i piedi bendati, ma esse non potevano aspirare ad un matrimonio conveniente. E cosí accadeva che le donne stesse aspirassero al supplizio del bendaggio dei piedi, e che le madri restassero sorde ai pianti delle loro figlie martirizzate.
La filosofia confuciana non riconosceva la pluralità delle mogli come il Corano. Ma in realtà la monogamia era il segno della povertà, e l'uomo che aveva mezzi, a fianco della moglie legittima, prendeva una o piú concubine. Ma quando il capriccio del signore si spegneva, la concubina diventava una serva. Nella tradizione cinese, le donne erano dunque esseri cosí disprezzabili, cosí condannate all'infelicità che le madri miserissime di Shanghai, spesso, allorché nasceva una femmina l'affogavano come un gatto...

Le donne sono in Cina alla conquista della metà del cielo. La loro situazione è capovolta, oggi. E tuttavia nelle donne esistono ancora tracce di superstizione, e di esagerata considerazione per l'uomo, visto come essere privilegiato, e quindi di timidezza nell'affrontare compiti di direzione
politica. “Nelle campagne" ha detto Mao “le donne vogliono tuttora avere solo figli maschi. Se il primo e il secondo figlio sono femmine, la donna ne metterà al mondo un altro. E se anche il terzo è femmina, la madre ci riprova. Cosí si fa presto ad avere nove figli... «Questa mentalità”, ha concluso Mao, “dev'essere cambiata, ma ci vuole tempo."
L'angustia che le donne assumano una parità piena, che non sia solo giuridica - ma che nasca dalla rivoluzione nella sovrastruttura della donna, e dell'uomo - è talmente forte in Mao, e cosí fermo appare in lui l'interesse a scatenare il torrente delle energie femminili, che ci si può domandare: dopo aver portato i giovani a farsi iniziatori della rivoluzione culturale nella scuola, una nuova rivoluzione culturale non avrà come protagoniste le donne nella famiglia e nella società?...
 
  • La rivoluzione culturale proletaria e le donne - 2° parte: "le casalinghe elettroniche di shangai"
Continuiamo a pubblicare parti del libro di Maria Antonietta Maciocchi 'Dalla Cina - dopo la rivoluzione culturale'.
In queste importanti descrizioni, frutto del viaggio in Cina, degli incontri della Macciocchi con tantissime compagne, operaie cinesi, si mostra evidente come la questione della trasformazione della condizione delle donne - che valeva e vale in Cina ma vale ancora e sempre più oggi per tutto il mondo, compresi i paesi imperialisti come il nostro - non è solo un problema di cambiare aspetti della condizione di infinita oppressione precedente in condizioni nuove, ma, come spiega una donna cinese alla Maciocchi, un problema di potere: 'la ferocia del passato derivava dal fatto che le donne non avevano il potere e tutta la felicità del presente deriva dal fatto che le donne possono avere il potere'.
Ed è, appunto, la questione del potere delle donne nella società, della rivoluzione nella rivoluzione, che diventa il cuore della Rivoluzione culturale proletaria per una effettiva liberazione delle donne.


(Dal libro della Maciocchi) - Le donne sostengono la metà del cielo - ha detto Mao – Ma le donne devono conquistare la metà del cielo,' ha aggiunto. “La rivoluzione culturale ha avuto anche in questo campo uno dei suoi fronti politici e ideologici proprio perché le donne non avevano ancora raggiunto la metà del cielo”.
Il ruolo assunto dalle donne in Cina con la rivoluzione non riguardava solo la Cina ma tutti i “nostri costumi occidentali”, un ruolo che “spazzava via come un ciclone, proveniente da diecimila chilometri di distanza, i vecchi miti di inferiorità...”.

Qual'era la condizione delle donne in Cina prima della rivoluzione?

Le donne erano “ingiuriate, disprezzate, i piedi martirizzati a simbolo della loro schiavitú domestica - secondo il messaggio immutabile di Confucio vecchio di 2500 anni: Restate dove siete e sottomettetevi ai decreti del cielo'...

In ogni villaggio cinese, per combinare un matrimonio, una famiglia rappresentava l'acquirente, l'altra l'offerente, e intermediario, tra l'una e l'altra, era la mezzana, che contrattava il prezzo da pagare per la sposa. La fanciulla non aveva il diritto di conoscere lo sposo fino al giorno della gran festa rossa, cioè quando gli veniva presentata, tutta vestita di rosso. A volte lo sposo era un fanciullo, a volte addirittura un bimbetto in fasce, a volte non era nemmeno nato: la famiglia acquistava una nuova serva, la giovane donna sfioriva aspettando che il marito si facesse adulto. «Maritata aspetta il marito,' si diceva di lei. E se il marito moriva prima di diventare adulto, ella era ugualmente vedova, e come tale costretta alla fedeltà, pena la morte, per tutta la vita.

Al momento della liberazione, le case di tolleranza erano naturalmente state chiuse. Nella sola Pechino furono eliminate 237 e le prostitute vennero ospitate in un grande istituto dove furono curate, e dove venne insegnato loro a leggere e a scrivere, oltre che un mestiere.
In una commedia scritta dalle stesse prostitute, si si narrava come vivevano in una casa di prostituzione, come subivano lo sfruttamento dei padroni e degli sgherri del Kuomintang, e poi, ecco la nuova vita. Essere sane, libere, istruite, avere un'attività di cui non ci si deve piú vergognare... A Shanghai, dove vi erano 800 bordelli, tra grandi e piccoli, la grande massa delle donne soggette alla prostituzione fu immessa nel lavoro. Ovvero, venne distrutta la base prima della loro corruzione: la miseria, la fame, l'ignoranza.

Il vento della Rivoluzione culturale proletaria - 'Le donne vogliono cominciare ad esistere. Le casalinghe elettroniche di Shanghai'.

Dalla liberazione, le donne lavoratrici hanno attraversato parecchi momenti politici ed in particolare la prova della grande rivoluzione culturale; la loro mentalità ha conosciuto grandi cambiamenti e piú numerose si fanno le donne che svolgono la loro funzione nella costruzione del potere.
Alcune rimangono ancora in una situazione per cui escono da casa per coltivare la terra, tornano acasa per far da mangiare e durante le riunioni stanno sedute negli angoli senza parlare. II Comitato di partito ha organizzato le donne in riunioni per ricordarsi del passato, dello sfruttamento atroce della vecchia società, e per rafforzare la concezione della dittatura del proletariato. Tutto questo ha sollevato sentimenti di classe in larghe masse femminili che hanno profondamente capito che la ferocia del passato deriva dal fatto che esse non avevano il potere e tutta la felicità del presente deriva dal fatto che esse possono avere il potere.

Il quartiere Ciapé di Shanghai era un quartiere di sottoproletari... era uno degli esempi piú impressionanti della degradazione umana.
Ora, proprio qui (c'è) una fabbrica di transistor messa in piedi dalle casalinghe del quartiere... L'età media delle donne – sono in tutto 350 - è di 38 anni, e la maggioranza di esse erano casalinghe analfabete. Fino al '68 hanno fatto casse da imballaggio, nel febbraio del '69, nel corso della rivoluzione culturale, avvenne la loro svolta. Le casalinghe, in collegamento con l'ufficio dell'industria di Shanghai, pensarono di poter produrre transistor d'alta qualità.
«Quando prendemmo la decisione di fare congegni elettronici, mandammo dieci compagne ad apprenderne la tecnica in una grande fabbrica. E lí esse si sono familiarizzate con i macchinari, i congegni di precisione. Ne abbiamo mandate altre due all'università; e queste subirono varie umiliazioni perché gli intellettuali revisionisti ironizzavano sulla loro età, e dicevano che avrebbero impiegato almeno quindici anni per imparare, che erano già vecchie, e che in questo modo si sarebbero solo buttati via un sacco di soldi. Questo disprezzo ci fece molto arrabbiare, e decidemmo di fare da sole...
Altre donne del quartiere, che prima lavoravano in casa, che facevano le scarpe, i vestiti o i giocattoli (tipiche attività delle casalinghe) cominciarono ad impiegarsi in fabbrica...
Il loro impegno oltre che ad essere produttivo, oltre che ad utilizzare una forza-lavoro che in altre società sarebbe rimasta disoccupata, è diretto a trasformare l'ambiente sociale... E al centro di questa trasformazione vi è non soltanto la mutata concezione della propria condizione di donne, ma la rivoluzionarizzazione, nel quartiere e nella famiglia, del ruolo femminile.
'E' facile che le donne accettino di diventare lavoratrici?' chiedo. 'Con la rivoluzione culturale abbiamo cercato di risolvere questa contraddizione. Vi è un peso della tradizione che si fa ancora sentire, e dobbiamo elevare la coscienza di classe degli uomini oltre che delle donne.
In connessione con la linea capitalistica, Liu Shao-chi tentava di dare salari alti agli uomini e voleva che le donne restassero a casa. Liu eliminò molte fabbriche di casalinghe, e queste tornarono a fare le donne di casa. Ma, con lo sviluppo della rivoluzione culturale, sono sempre piú numerose le donne che chiedono di partecipare all'attività politica.

Anche nelle famiglie c'è una rivoluzionarizzazione da compiere.

C'è da farvi penetrare la critica rivoluzionaria, fondata sulla distruzione delle cinque vecchie concezioni, e immettervi le cinque nuove concezioni: distruggere la tesi dell'inutilità delle donne; instaurare la tesi che le donne si devono conquistare con coraggio la metà del cielo; distruggere la morale feudale della moglie sottomessa e della buona madre...; distruggere la mentalità della dipendenza e della subordinazione all'uomo, e instaurare la ferrea volontà di liberarsi; distruggere le concezioni della borghesia e instaurare le concezioni proletarie; distruggere la concezione dell'interesse familiare per instaurare nella famiglia la concezione proletaria che tiene presente la nazione e il mondo.'
(Questi cinque principi sono citati in Cina, ininterrottamente, su tutta la questione delle donne, dalla stampa ufficiale del partito e dai documenti.)

“Auguro alle mie figlie – dice un'anziana compagna - che come donne esse possano conquistare la metà del cielo. Che la nostra famiglia faccia ogni sforzo per portare avanti la rivoluzione socialista, per superare ogni forma di egoismo.
Nelle nostre riunioni, in famiglia, insegnamo considerare l'individuo e la famiglia in rapporto con la società. Insegnamo a non temere il dolore fisico e la morte; a non dimenticare il passato; e non dimenticare nemmeno per un momento di difendere la dittatura del proletariato. Anche nelle famiglie vi è una lotta tra vecchio e nuovo. Si può essere della stessa famiglia e non avere le stesse idee. Anche nelle famiglie appaiono spesso contraddizioni, che bisogna risolvere; e nella famiglia stessa bisogna lottare contro l'egoismo, e criticare il revisionismo. Il presidente Mao insegna che per quel che concerne la concezione del mondo nella nostra epoca non vi sono in fondo che due scuole: la scuola proletaria e la scuola borghese, la concezione proletaria e quella borghese.
Per la famiglia, è lo stesso. La rivoluzionarizzazione della famiglia, in Cina, còmincia col mutare il ruolo della casalinga in quello di una donna immessa nel processo produttivo, e dallo sradicare la concezione della famiglia come un tutto egoistico.
Il proletariato, con la rivoluzione culturale, ha fatto la sua irruzione nell'ideologia, rivoluzionarizzando anche l'apparato ideologico della famiglia, superando per sempre
quella condizione che faceva esclamare ad Engels che la donna è proletaria due volte, una della società e l'altra dell'uomo”.

  • la Rivoluzione culturale proletaria e le donne - 1° parte: "LE DONNE DEVONO CONQUISTARE LA METÀ DEL CIELO"
Avviamo con il libro di Maria Antonietta Maciocchi "Dalla Cina - dopo la rivoluzione culturale", da cui traiamo stralci del capitolo dedicato alla grande questione delle donne, la Formazione rivoluzionaria delle donne sulla "Rivoluzione culturale proletaria e le donne". (La Maciocchi è stata più volte in Cina e in particolare negli ultimi mesi del 1970).

L'assalto al cielo che fecero le donne in Cina non riguardò, e non riguarda tuttora, solo questo grande paese, ma tutto il mondo; ci fornisce lezioni teoriche, politiche, ideologiche per la battaglia odierna perchè la lotta delle donne sia una forza poderosa della rivoluzione e della rivoluzione nella rivoluzione per trasformare la terra e il cielo.

Come si vede già da questa prima parte che pubblichiamo, questo "assalto al cielo" si è dovuto duramente scontrare contro alcuni degli stessi dirigenti comunisti, contro concezioni e pratiche presenti anche tra i militanti del partito comunista - Lenin diceva "Gratta un comunista e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".

Anche questo è un insegnamento per l'oggi.

Ma per vincere le donne non devono delegare in nessun fronte della lotta rivoluzionaria, meno che mai in quello della teoria.

A questo vogliamo che serva questa Formazione rivoluzionaria.

Essa, su questo importante tema "Rivoluzione culturale proletaria e le donne" proseguirà per un periodo lungo. E questa volta pubblicheremo ogni settimana (di lunedì).

PER CUI DIAMO APPUNTAMENTO AI PROSSIMI LUNEDI'.


Morte della casalinga


“La dittatura del proletariato è una lotta testarda contro tutte le forze e le tradizioni del passato... Lenin sapeva bene che, preso il potere, la rivoluzione non è che agli inizi... E' come con le donne: beninteso, era necessario dare loro in primo luogo l'eguaglianza giuridica. Ma a partire di qui, tutto resta da fare. Bisogna che scompaiano l'ideologia, la cultura e i costumi che hanno condotto la Cina dove noi l'abbiamo trovata, e occorre che facciano la loro comparsa il pensiero, la cultura, e i costumi della Cina proletaria, che non esiste ancora.

La donna cinese non esiste ancora nemmeno lei, in massa; ma comincia a voler esistere. E poi liberare le donne non significa fabbricare le lavatrici elettriche...”

Dal colloquio di Mao Tse-tung con Malraux, luglio 1965, in Antimémoires, p. 549, Ed. Gallimard.


Liberare le donne significa quel che Lenin aveva pronosticato: che una semplice cuoca sia in grado di dirigere lo Stato. In Cina non erano a questo punto alla vigilia della rivoluzione culturale...

Il feudalesimo - una delle tre montagne che opprimono la Cina - ha continuato a pesare nella sovrastruttura per ciò che concerne le donne. Un problema aperto è in Cina quello di «valorizzare la funzione rivoluzionaria delle donne, come scrive 'Bandiera Rossa'... la lotta di classe

non è finita. Durante la rivoluzione e l'edificazione socialista, esiste ancora una grave lotta di classe sul problema delle donne... alcune donne sono state utilizzate dal nemico per ostacolare i quadri; alcune donne sono state colpite dalle concezioni diffuse dal nemico di classe; altre non hanno ancora risolto il problema: per chi coltivare la terra, e si concentrano nei piccoli calcoli in favore della propria famiglia, e di se stesse. Tuttavia, alcuni quadri di fronte a questa lotta di classe assumono l'atteggiamento: 'non ce la facciamo con i lavori principali; i problemi delle suocere e delle madri possono aspettare'; o sostengono: 'il lavoro delle donne non riguarda l'insieme del

partito,' e perciò danno un peso insufficiente al lavoro delle donne.

Queste situazioni dimostrano che dare o no importanza alle donne, afferrarne bene il lavoro o no, considerare le donne come una semplice forza-lavoro o considerarle come una grande forza rivoluzionaria, non è una questione qualunque, bensí un problema sulla base del quale si può vedere se si afferra o no la lotta di classe, se si applica o meno la linea rivoluzionaria del presidente Mao: ...”Bisogna lottare ancora contro le concezioni che disprezzano il movimento delle donne”, e hanno incitato i compagni a valutare l'importanza del lavoro delle donne partendo da tre aspetti: 1) muovere dalla concezione della lotta di classe per affrontare il lavoro delle donne: ...la borghesia userà allora del pensiero corrotto delle classi sfruttatrici per nuocere alle donne; 2) le donne sono piú della metà della popolazione, e senza una loro piena mobilitazione non può esistere un vero movimento di massa; 3) le donne rappresentano un grande potenziale umano.

Attraverso questi 'tre aspetti' tutti hanno capito meglio che per fare la rivoluzione è essenziale mobilitare le donne. II ritenere “le donne inutili”, o che “il lavoro delle donne non incide sull'insieme”, e consimili opinioni errate, è in realtà una manifestazione del veleno del traditore Liu

Shao-chi secondo il quale “le masse sono arretrate”, “la lotta di classe è estinta"...


“Si tratta di mobilitare le donne perché spezzino le catene spirituali e dispieghino uno spirito rivoluzionario.

Attraverso l'influenza della millenaria ideologia feudale, fra le donne, colpite dal veleno della linea revisionista controrivoluzionaria di Liu Shao-chi, c'era una minoranza ancora incatenata alle vecchie concezioni tradizionali."

I cinesi parlano con discrezione di questo argomento scottante, cosí come non parlano volentieri del controllo delle nascite". Ma ambedue questi temi, fortemente legati alla funzione rivoluzionaria delle donne, cominciano a prendere apertamente posto negli organi ufficiali del partito... (1 nota)



La condizione femminile, ovvero il ruolo rivoluzionario della donna, è stato uno dei temi di quella rivoluzionarizzazione della ideologia, che ha caratterizzato la rivoluzione culturale. Strettamente connessa ad esso, è la rivoluzionarizzazione nella famiglia. Pare che Liu Shao-chi,

piú che antifemminista, fosse ostile ad una scelta che “ponesse le donne in primo piano nella produzione, fuori dal focolare domestico, in coerenza con la scelta di un modo di accumulazione capitalistico, quale si è tradizionalmente sviluppato nel mondo, relegando la donna in immagini casalinghe ben precise...


Dopo l'ingresso tumultuoso delle donne cinesi nella lotta politica fin,dall'inizio del secolo, la loro partecipazione esemplare alla lunga marcia, alla lotta armata antigiapponese, dopo lo slancio di massa nella guerra di liberazione, e quindi nella fondazione della repubblica socialista che getta le basi di una nuova realtà che intanto si esprime, immediatamente, con nuove leggi che sanciscono la parità giuridica della donna... - un lento riflusso delle donne cinesi verso la famiglia aveva preso ad abbozzarsi. Ma negli anni del balzo in avanti venne da Mao una nuova spinta a rompere il cordone ombelicale donna-lavoro domestico. Le cinesi presero a impiantare, soprattutto nelle grandi città, attività produttive anche di carattere industriale.

Liu Shao-chi, che irrideva al modo di far le cose alla guerrigliera da parte degli operai, trovava

l'intervento delle donne quasi grottesco, e fece chiudere molte di queste fabbriche... Liu Shao-chi era per una politica di incentivi e di alti salari che consentissero all'uomo il mantenimento economico della donna ripristinata nel suo ruolo tradizionale di casalinga...

Nel corso della rivoluzione culturale, la Federazione delle donne cinesi è saltata via come un turacciolo, ovvero è stata disciolta... perché essa aveva assunto a propria volta strumenti rivendicativi queruli, non faceva politica, e rischiava di essere un'organizzazione femminile di “protezione della donna", una sorta di esercito della salvezza...

Liu Shao-chi, con il suo orientamento verso le donne, era giunto ad influenzare anche molti dirigenti del partito perché le loro mogli tornassero in casa, assolvendo al loro ruolo tradizionale di ospiti e di brave massaie...


(1 nota)

Dal recentissimo articolo del “Quotidiano del Popolo" del 3 marzo 1971... risulta come il problema delle donne sia in gran parte legato con quello piú generale delle campagne...


Nella campagna, infatti, l'arretratezza “data" della condizione femminile era particolarmente pronunciata, perché “1'intensità del lavoro, la povertà della vita, l'igiene insufficiente e infine le influenze negative sulla salute dovute ai numerosi bambini e ai parti fatti in modo tradizionale - ovvero “le tre montagne della vecchia società": imperialismo, capitalismo, feudalesimo - avevano reso molte donne adulte malate, riducendone o addirittura annullandone la capacità lavorativa. Si sono potute investire le campagne di un'azione generalizzata non solo di diagnosi e di cura, ma soprattutto di prevenzione delle malattie femminili, soltanto promuovendo, con la rivoluzione culturale, un movimento di massa, che affrontasse questi problemi su una base politica; non limitandosi ad “appoggiarsi su forze specializzate... ma associando le masse in questo lavoro" e coinvolgendovi il settore della medicina, con l'istituzione delle “dottoresse dai piedi nudi"; e superando così le difficoltà, dovute anche a talune opinioni errate tendenti a considerare “il preoccuparsi dei mali del popolo" come opposto allo spirito rivoluzionario “non temere né la morte né i sacrifici”...

  • la Rivoluzione culturale proletaria e le donne: La rivoluzione nella rivoluzione


Riprendiamo la Formazione rivoluzionaria delle donne, pubblicando dal 12 dicembre una serie di scritti che affrontano una questione decisiva soprattutto nella lotta di liberazione rivoluzionaria delle donne, che hanno non una, ma mille catene della società borghese attuale da spezzare, che hanno necessità, perchè subiscono doppio sfruttamento e oppressione a tutti i livelli, di rovesciare e trasformare non solo la terra ma anche il cielo, non solo la struttura ma anche la sovrastruttura e ogni idea, abitudine, ecc. che riproducano, anche nella società socialista, le idee della borghesia, tra cui l'ideologia maschilista: la questione decisiva della rivoluzione nella rivoluzione.
Questa lotta si è affrontata in Cina e per almeno un decennio ha vinto, trasformando la condizione delle donne dal buio di prima della rivoluzione all'assalto al cielo dopo la rivoluzione.
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina, avviata nel 1966 è stata l’esperienza più moderna del proletariato, che ha indicato come portare la lotta rivoluzionaria in ogni ambito, non solo della struttura ma anche della sovrastruttura. Le donne durante gli anni precedenti la Rcp, con la rivoluzione democratica e socialista e la Repubblica popolare avevano già acquisito grandi cambiamenti sociali: l’ingresso massiccio nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, la riforma della legge sul matrimonio, la riforma del sistema d’istruzione, vedi i corsi di istruzione gratuita per le contadine, la riforma agraria ecc., che avevano portato le donne da una condizione di nera oppressione a “liberare i loro piedi, i loro corpi, il loro spirito”; ma è con la Grcp che le donne vengono chiamate per diventare loro protagoniste dell'assalto al cielo, per portare avanti in prima persona la “rivoluzione nella rivoluzione”.
Durante il vento della Grcp le donne dovettero lottare su tutti i campi per conquistare la metà del cielo. Dalle case e fuori dalle case, ai quartieri, alle fabbriche, ad una nuova educazione dei bambini; contro la violenza sessuale organizzarono comitati di quartiere in cui facevano processi popolari contro i mariti, i padri violentatori; furono distribuite le pillole anticoncezionali tra le donne che potevano iniziare a decidere della propria vita e maternità…
“Le donne sostengono la metà del cielo. Ma le donne devono conquistare la metà del cielo" – diceva Mao Tse tung.
Come questo è avvenuto – e come ci serve nella lotta di liberazione rivoluzionaria delle donne oggi anche nel nostro paese – cercheremo di approfondirlo nella Formazione rivoluzionaria.

  • Formazione rivoluzionaria delle donne: La Rivoluzione culturale proletaria e le donne
Formazione rivoluzionaria delle donne:



La Rivoluzione culturale proletaria e le donne


Iniziamo col testo “Sviluppare appieno la funzione della donna nella Rivoluzione e nella costruzione del socialismo” (1 agosto 1972), uscito durante la Rivoluzione culturale proletaria in Cina, diretta e possiamo dire “scatenata” da Mao Tse Tung, con un ruolo decisivo di Chiang Ching, articoli sulla RCP e le donne, sul ruolo delle donne nell'assalto al cielo.
 

Proprio sul ruolo rivoluzionario delle donne e la trasformazione della loro vita da una condizione di profondissima oppressione a una di effettiva emancipazione di milioni di donne, in un immenso paese, dalle più lontane zone di campagna alle città, come forza decisiva nella rivoluzione proletaria e nella costruzione del socialismo, si può comprendere la grandezza dirompente della Rivoluzione culturale; essa è stata anche una sfida, quasi “impossibile”, contro la mentalità arretrata, conservatrice, patriarcale presente anche nei compagni, nel Partito comunista cinese – come questo testo spiega bene.

Il testo di cui riportiamo ampi stralci è tratto dal libro “A 50 anni dalla Rivoluzione Culturale” – Antologia di documenti – redatto dalla Redazione di “Proletari Comunisti”.


Da “Sviluppare appieno la funzione della donna nella Rivoluzione e nella costruzione del socialismo” (1 agosto 1972) – stralci.

...la classe operaia ha sempre associato strettamente il problema delle donne con la rivoluzione, considerando la loro emancipazione come una componente importante della rivoluzione proletaria, ed è decisamente contro la mentalità e il costume arretrato che sottovaluta la donna. Dobbiamo quindi lottare coscientemente e accanitamente contro la concezione tradizionale “l'uomo non si occupa delle faccende di casa e la donna non si cura degli affari fuori di casa” ed essere i promotori del movimento di emancipazione femminile.
Se si pensasse (come alcuni compagni) che le faccende domestiche debbano essere svolte unicamente dalle donne, e che in esse gli uomini non hanno alcuna responsabilità, ciò significherebbe in realtà limitare le donne al piccolo ambiente familiare e non permettere loro di partecipare ai tre movimenti rivoluzionari. Evidentemente bisogna prima di tutto cambiare la mentalità di questi compagni secondo cui l'uomo prevale sulla donna. Vari problemi reali derivano proprio da questa mentalità: per esempio, alcuni compagni non pianificano le nascite, e pur avendo già due, tre figlie femmine, desiderano ancora un figlio maschio; in tal modo facendo figli uno dietro l'altro si arriva ad averne troppi e quindi viene appesantito l'onere familiare cosicchè le donne difficilmente potranno evadere dalla piccola cerchia della famiglia...
Ci sono altri che non credono alla coscienza rivoluzionaria della gran massa delle donne lavoratrici e pensano che le donne possono, sì, partecipare al lavoro produttivo, ma non dedicarsi alle attività politiche: questa concezione non appartiene certamente al marxismo.

...“Le donne costituiscono la metà della popolazione: la condizione economica delle donne lavoratrici così come la loro situazione particolarmente oppressa, non soltanto dimostrano l'urgente necessità della loro opera per la rivoluzione ma confermano che esse sono una forza decisiva per la vittoria della rivoluzione” (Mao Tse Tung). La grande massa delle donne lavoratrici del nostro paese è la padrona della nazione r la forza motrice della rivoluzione. Dedicarsi alle attività politiche e partecipare alla lotta di classe è un loro diritto e un loro dovere; e quindi non è questione di essere capaci o no, e non è nemmeno questione che qualcuno glielo permetta o no...

Altri compagni pensano che la capacità delle donne è inferiore e che esse possano soltanto lottare, ma non dirigere; una simile concezione che disprezza le donne non può, evidentemente, stare in piedi... “Ora i tempi sono cambiati, uomini e donne sono uguali. Tutto ciò che può fare l'uomo lo può fare anche la donna” (Mao Tse Tung). L'abilità di ognuno non è innata, ma conquistata attraverso lotte ed esperienze...

Alcune compagne dopo essere entrate a far parte del gruppo dirigente, non conoscendo a fondo la situazione, mancando di esperienza, durante il lavoro si imbattono inevitabilmente in alcuni problemi? Ma forse che i compagni uomini non incontrano i medesimi problemi? Di fronte a questa situazione, quale decisione prendere? Interessarsi con premura e aiutarle attivamente, o criticarle da cima a fondo, lamentarsi e preoccuparsi senza fine? Lasciarle al posto di guida a lavorare e contemporaneamente imparare, o forse metterle da parte? L'atteggiamento giusto può essere solo il primo non il secondo...

C'è ancora un altro tipo di di persone le quali, pur ammettendo da una parte che la capacità delle donne non è inferiore a quella dei compagni uomini, dall'altra dice cose di questo genere: “le donne giovani devono maritarsi, le donne di mezza età devono allevare i bambini, le donne possono fare la rivoluzione solo per metà, la loro formazione non ha prospettive future”. Questo è un altro genere di pretesto contro la formazione dei quadri femminili ed è un'altra manifestazione della mentalità antiquata che disprezza le donne. Forse che le donne dopo essersi maritate e dopo aver avuto dei figli non possono più fare la rivoluzione e progredire? No, le cose non stanno assolutamente così, in fondo, fare la rivoluzione significa farla per tutta la vita non solo per un breve periodo...

Tra il popolo sussistono ancora molti pregiudizi nei confronti della donna che impediscono alla sua forza rivoluzionaria di svilupparsi; perciò organizzare bene il lavoro femminile è una seria lotta di classe, ed è anche una lotta per cambiare il costume, pertanto non deve prendersi alla leggera...

Il giorno in cui tutte le donne della nazione risorgeranno, sarà proprio quello il giorno della vittoria della rivoluzione cinese” (Mao Tse Tung)...

 
  • FORMAZIONE RIVOLUZIONARIA DELLE DONNE - CHIANG CHING "LA RIVOLUZIONE NELLA RIVOLUZIONE" (conclusione)
Pubblichiamo, in conclusione del lungo testo/opuscolo su Chiang Ching - di cui abbiamo nei due mesi precedenti riportato ampi stralci - altri passi importanti, che riguardano in particolare il ruolo decisivo avuto da Chiang Ching per e durante la Rivoluzione Culturale Proletaria - che portò l'"altra metà del cielo" dal profondo abisso in cui stava prima della rivoluzione al "cielo" appunto.
Nella GRCP Chiang Ching si rivelò ancora di più la compagna determinata, amata dalle masse, soprattutto dai giovani, dalle donne, e odiata dai vecchi e nuovi borghesi, che alla fine la incarcerarono e uccisero.
Chiang Ching è un esempio luminoso della forza dirompente e rivoluzionaria delle donne. Per questo la sua vita va conosciuta e divulgata.
Noi abbiamo cercato di farlo con la Formazione Rivoluzionaria. Ma invitiamo tutte le compagne, le donne che vogliono ribellarsi alla loro doppia, tripla oppressione ed essere in prima fila nella battaglia rivoluzionaria ad approfondire questa importante conoscenza.
L'opuscolo integrale su Chiang Ching si può richiedere a MFPR scrivendo a: mfpr.naz@gmail.com

Riprenderemo a fine settembre la Formazione Rivoluzionaria.


"...Per più di un decennio di potere proletario si erano fatti giganteschi passi avanti verso la trasformazione della Cina arretrata, semifeudale e semicoloniale le proprietà privata aveva subito una profonda trasformazione mediante la collettivizzazione e la nazionalizzazione dell'industria... la perversa spirale di miseria e indebitamento era stata interrotta e la fame e l'analfabetismo erano stati in gran parte eliminati. Le donne cominciavano in gran numero ad entrare nelle scuole e a prendere parte attivamente alla vita produttiva ed politica.
Allo stesso tempo, importanti progressi in molte sfere furono bloccati, in parte o del tutto, dalla linea revisionista e dall'oppressivo peso del passato... In alcune fabbriche l'amministrazione, nelle mani dei revisionisti, invitava gli operai a limitare le discussioni politiche a 30 minuti al giorno, perchè non si interrompesse la produzione...
Questa contraddizione tra il socialismo e le vestigia del semifeudalesimo, assieme al nascente capitalismo, emerse con chiarezza nella lotta, intenza e difficile, per la liberazione della donna cinese,
che iniziava sì ad integrarsi nell'industria, nell'educazione e nei livelli inferiori del Partito e del governo, ma che ancora aveva di fronte le enormi barriere delle idee feudali e dei ruoli tradizionali di oppressione domestica. Solo scatenando la lotta cosciente nel campo della sovrastruttura si poteva cominciare a rompere questi anelli ideologici e, allo stesso tempo, favorire una maggiore trasformazione socialista della base economica.
La lotta divampata nel campo dell'arte era un riflesso di tutto questo processo...

Chiang Ching fece molta ricerca, intervistando molte compagnie di teatro, parlando con interpreti, vedendo film e assistendo ad opere teatrali e musicali in tutto il paese. Vi trovò non innovazioni socialiste, che esaltassero le imprese e l'eroismo delle masse, bensì o un asfissiante miscuglio di nuovo revisionismo e vecchie opere tediose e oppressive, che difendevano privilegi e differenze di classe, mettendo in scena ridondanti e superstiziosi personaggi tradizionali, o la totale imitazione di opere straniere di scrittori borghesi... Nell'arco di pochi anni furono creati 37 opere e drammi, nuovi e rivisitati... Chiang Ching adottò nelle arti il metodo della combinazione di “tre in uno”, coinvolgendo quadri di Partito, soggettisti (che erano stati inviati a vivere tra i contadini, soldati e operai per comprendere meglio l'esperienza che dovevano rappresentare) e masse rivoluzionarie, che assistevano e criticavano per migliorare in corsa le produzioni. Per esempio nel 1963 Chiang Ching assistette alla rappresentazione di un'opera di Pechino. Sulle banchine... Fu inizialmente elaborata con la collaborazione entusiasta degli operai dei moli di Shanghai: “Ai vecchi tempi eravamo solo coolies (servi), non avevamo diritto di far parte del pubblico, tanto meno salire in scena”. Ma il teatro dell'opera di Pechino di Shanghai era una roccaforte revisionista e i suoi scrittori cominciarono immediatamente a modificare il copione, per affievolirne l'internazionalismo ed elevare “personaggi medi” ai ruoli principali. I lavoratori portuali erano furiosi: “Ognuna delle nostre famiglie ha una storia di amara sofferenza... Quando aderiamo alla causa rivoluzionaria del Partito, noi operai e veterani siamo viviu, pronti e decisi. La vostra opera ci presenta stupidi e fiacchi... Non approveremo mai un'opera così”...
Queste lotte fra le due linee nelle arti annunciavano le tormente ancora maggiori a venire, quando la cultura e la sovrastruttura in generale si trasformeranno in un'importante arena della lotta di classe, nella travolgente decennale battaglia della Rivoluzione Culturale...
...Con l'apparizione del manifesto a grandi caratteri (tatsebao) nell'Università di Pechino nel maggio del 1966, pienamente appoggiato da Mao, tutte le chiuse del flusso della Rivoluzione Culturale furono aperte. Chiang Ching è sul campo fin dai primi assalti. Nel luglio 1966 circola all'Università di Pechino e in altre scuole per parlare agli studenti e seguire il dibattito che si sviluppava. Denunciò subito il ruolo controrivoluzionario svolto dai “gruppi di lavoro” che cercavano di soffocare la ribellione degli studenti...
Una delle cose di Chiang Ching, come dello stesso Mao, che sempre si ricorderanno e illoro forte legame con i giovani... sostenendo con energia e audacia la ribellione della gioventù...
Le Guardie Rosse fecero il loro trionfale ingresso a Pechino tra l'agosto e il settembre del 1966, preparando l'ormai imminente partecipazione di operai e contadini al movimento... Chiang Ching la si riconosceva subito con il suo berretto...
L'esempio di Chiang Ching fu di sprono perchè altri osassero essere come lei, osassero dare tutto di sé per il potere politico del proletariato, evitando ogni esitazione di fronte ad astuti e calcolatori controrivoluzionari... Essa dimostrò una straordinaria capacità di combinare fiducia rivoluzionaria nelle masse e disprezzo per il nemico, in una direzione pratica che guidò la trattazione delle complesse e molteplici contraddizioni che irrompevano da ogni parte mentre il popolo scatenava la sua lotta per strappare il potere ai seguaci della via capitalista...

(Alcuni effetti della Rivoluzione Culturale)... Una miriade di cose nuove... operai, contadini e soldati che andavano a studiare nelle università; giovani acculturati che andavano nelle campagne; quadri di Partito che partecipavano al lavoro produttivo; operai che partecipavano all'amministrazione e alla riforma di vecchie regole e regolamenti... cambiamenti comprese innovazioni tecnologiche nelle fabbriche e nelle zone rurali, e scoperte scientifiche in generale; parole d'ordini quali “rosso ed esperto” o “la politica al comando sui professionisti” unirono chi era in possesso di una corretta linea politica e chi aveva conoscenze specialistiche; le donne raggiunsero posti di comando nel Partito... si mise al servizio delle campagne una rete di cliniche gratuite, del tutto o in parte, grazie ai “medici scalzi” formatisi tra i contadini....
 
  • Formazione rivoluzionaria delle donne: Chiang Ching - 2 parte
Continuiamo la pubblicazione di stralci dell'opuscolo:

Chiang Ching
La rivoluzione nella rivoluzione di una donna comunista
(tratto da A World To Win 1993)
 Chiang Ching a Yenan

"...Sebbene Chiang Ching fosse entrata nel Partito già alcuni anni prima, tutto nella sua storia indica che è stato il periodo delloYenan che ha costituito per lei il reale salto politico e ideologico.
Seguì le conferenze di Mao Tse Tung ed entrò nella Scuola di Partito, mentre lavorava e frequentava corsi all' Accademia d'Arte e Letteratura Lu Sin (che, fra l'altro, preparava le compagnie di teatro per servire al fronte). Recitare,ormai, non era più la sua attività principale: ricevette anche mesi
di addestramento militare e, appena vi fosse un momento di calma relativa nella guerra, si dedicava molto seriamente allo studio del marxismo leninismo. Mao, molto interessato alle questioni culturali

cercava costantemente la discussione su arte e politica anche con i compagni appena arrivati, Chiang Ching, a sua volta, divenne presto allieva entusiasta di Mao. Alla fine del 1938 si sposarono.
Ebbero una figlia, Li Na, che allevarono insieme all'altra figlia di Mao, Lin Min.
Sulla corona di fiori per il funerale di Mao, nel 1976 la dedica di Chiang Ching diceva: “Dalla sua discepola e compagna in armi”. Per tutti i 38 anni del loro matrimonio, fu questa la caratteristica della sua relazione con il Presidente e, se molte e diverse furono le tormente politiche che affrontarono uniti, fu negli anni intensi che condivisero nelle caverne dello Yenan e negli ultimi anni
anni della Guerra di Liberazione che Mao stava dirigendo nel Nordest della Cina, che si forgiò quel loro legame tanto stretto. Molti osservatori stranieri hanno descritto l'animata atmosfera radicale del ' comunismo di guerra' di quei vigorosi giorni nello Yenan, in cui alti dirigenti comunisti vivevano fianco a fianco con i contadini, giovani e vecchi ballavano insieme e i soldati aiutavano a coltivare il raccolto, dove la vita era relativamente semplice, organizzata intorno all'unico obbiettivo di scatenare la guerra rivoluzionaria del popolo.
Come diceva uno degli slogan di Mao, sulle antiche pareti dello Yenan: “Con una zappa su una spalla e un fucile nell'altra, saremo autosufficienti nella produzione e proteggeremo il Comitato Centrale del Partito.
Non è chiaro fino a che punto il PCC si sia intromesso nel matrimonio di Mao e di Chiang Ching, è stato però più volte affermato che alcuni capi del Partito lo accettarono solo a condizione che a Chiang Ching non fosse permesso di svolgere un ruolo politico pubblico. Ciò avrebbe più volte frenato la sua iniziativa negli anni successivi, dopo la liberazione, quando i compiti della rivoluzione socialista e la costruzione del socialismo divennero concreti.
Chiang Ching si unì ad un gruppo che partì per le montagne di Nanniwan per un programma di lavoro manuale semestrale, parte di un progetto di recupero di terre e di comunità autosufficienti,
lanciato da Mao nel 1939 per dare impulso alla produzione della zona. 
Nonostante stesse lottando contro la tubercolosi, agli inizi degli anni 40 Chiang Ching insegnò arte drammatica all'Accademia Lu Sin e diresse la produzione di opere che chiamavano le masse a resistere all'aggressione giapponese, rappresentate per il popolo della regione e al fronte.
Nel marzo del 1947 Chiang Kai Shek faceva bombardare lo Yenan, costringendo la direzione del Partito a trasferirsi. Chiang Ching si ritirò, quale istruttrice politica del Terzo Reggimento, nel Nordest dove, a suo dire, iniziarono gli anni più difficili della guerra di Liberazione, dal marzo
del 1947 al giugno del 1949. E' questo il periodo delle famose opere nuove, sviluppate durante la Rivoluzione Culturale: il Concerto per piano del Fiume Giallo e due delle opere rivoluzionarie, La lanterna rossa e Shachiapang. Ella ricorda la sua commozione quando, assieme a Mao, attraversava i villaggi lungo il tragitto, e le precauzioni che dovettero prendere per proteggerlo, evitando di dire il suo nome in pubblico.
Coerentemente con il “Manifesto del doppio dieci” di Mao (pubblicato il 10 ottobre del 47), che esortava il popolo a rovesciare Chiang Kai Shek e a unire la nazione, uno dei suoi compiti fu quello di organizzare una campagna per ricordare le sofferenze sopportate dalle truppe e condurre la lotta per fare dell'Esercito Rosso, un esercito al servizio del popolo.
Chiang Ching racconta di come approfittasse di ogni intervallo tra i combattimenti con il nemico per apprendere di più sulla situazione politica e sociale dei contadini, base per il lancio della riforma agraria. Un episodio è esemplare della condizione della donna in una provincia costiera in quel periodo, quando il concubinato era comunemente diffuso. Un proprietario terriero, particolarmente odiato, aveva obbligato le sue tante concubine a svolgere compiti servili, come quello di trasportarlo
da una parete all'altra su una portantina di vimini, e a sobbarcarsi tutto il lavoro dei campi.
Durante la riforma agraria, le 'sue 'concubine lo denunciarono davanti a tutta la comunità, distruggendolo; ognuna di esse, allora, ricevette una parte della sua terra perchè la lavorasse come propria...."

  •  Formazione rivoluzionaria delle donne: Chiang Ching - 1 parte

Dopo il lavoro, da gennaio ad aprile, su “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” di Engels, da questo mese di maggio, nel 50° anniversario della Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, cominciamo a pubblicare stralci di un opuscolo su Chiang Ching, la cui vita e grande lotta rivoluzionaria è dai più sconosciuta o mistificata, più altri materiali sulla Rivoluzione culturale proletaria.

Si tratta spesso di materiali per la maggiorparte introvabili o, volutamente, insabbiati. Essi ci fanno scoprire come le donne nella rivoluzione abbiano tentato e possano fare “l'assalto al cielo”.


Chiang Ching

la rivoluzione nella rivoluzione di una donna comunista

(tratto da A World To Win 1993)
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Una ribelle contro la tradizione
Fin da quando, ragazzina, si strappò le bende dai piedi, Chiang Ching fu una ribelle. Crebbe in una Cina stretta tra gli artigli delle potenze imperialiste, in barbari giorni di miseria in cui, come diceva Mao,”gli alberi, come la gente , erano nudi, perchè la gente era occupata a mangiarseli “ , in condizioni di oppressione feudale nelle quali “le contadine speravano di rinascere sotto forma di cani, perchè così, almeno, sarebbero state meno miserabili”. Le zone già controllate dai tedeschi della provincia di Shantung, dove Li Ching (come allora si chiamava) nacque nel 1914, da una famiglia di artigiani poveri, durante la I Guerra Mondiale furono occupate dai giapponesi, come base per l'espansione in tutta la Cina. Suo padre, un fabbricante di ruote, sfogava la rabbia di essere povero bastonando la moglie e i figli, fino a quando sua madre lo abbandonò per andare a lavorare a servizio presso un proprietario terriero.
Chiang Ching ricorda di aver patito spesso la fame ma di essere stata più fortunata di molti altri, perchè potè andare a scuola. In un' intervista disse che le lezioni che più odiava a scuola erano quelle di morale confuciana (o come obbedire alle autorità) e di essere stata picchiata spesso per essersi distratta in classe. Ricorda la nausea e il terrore quando, bambina, vedeva le teste dei debitori decapitati issate sulle pertiche e il crepitio delle esecuzioni dei ladri che avevano rubato cibo risuonava nelle sue orecchie.
Chiang Ching s' interessò per la prima volta di recitazione quando all'età di quindici anni, studiò in una scuola di teatro sperimentale di stato, cui era stata ammessa solo perchè non vi era un numero sufficiente di ragazze iscritte. La scuola, però, chiuse poco dopo, a causa della pressione dell'esercito di un signore della guerra accampato nella città di Tsinan, e lei, alcuni dei professori ed altri studenti, raggiunsero Pechino come compagnia teatrale itinerante. L'incidente a di Mukden del 18 settembre del 1931, quando gli imperialisti giapponesi occuparono la Manciuria, rappresentò per Chiang Ching il primo punto di svolta politico. Sin da giovane aveva odiato l'occupazione straniera del suo paese, ma fu allora che decise che doveva prendere una posizione.
Si unì subito alla Lega dei Drammaturghi di sinistra (diretta dal Partito Comunista) di Tsingtao, dove lavorò come impiegata nella biblioteca dell'Università, cominciando a leggere le opere di Lenin.
Con alcuni amici, formò la Società Drammatica della Costa, che si recava nelle zone rurali a rappresentare opere anti giapponesi e a propagandare le zone “Sovietiche” che erano state fondate dall'Esercito Rosso della Cina. Scoprirono una miseria che mai avevano visto nelle città e capirono che la differenza tra gli obbiettivi delle forze nazionalistiche del Kuomitang e quelli dei comunisti non era affatto una questione accademica. Contro l'aggressione giapponese, Chiang Ching appoggiò la linea di “Resistenza totale”, guadagnandosi la reputazione di “agitatrice” tra i circoli universitari in cui si muoveva.
Effettivamente, Chiang Ching aveva ricevuto solo otto anni di educazione formale, compresi i cinque anni della scuola elementare, anche se molto spesso aveva seguito corsi universitari che la interessavano. Come lei dice, la maggior parte di quello che apprese proveniva “dall'educazione sociale “, dalla scuola dell'esperienza per lei iniziata nel 1933, quando conobbe e fu poi ammessa nell'allora clandestino PCC. Nei turbolenti anni 30, decise che fare la rivoluzione era molto più importante che scrivere saggi e poesie.
Nondimeno, quando fu inviata a lavorare a Shangai nella primavera del 1933, Chiang Ching potè scoprire che diventare membro attivo del Partito era anche molto più difficile. Lì, dominata dal principale avversa rio politico di Mao , Wang Ming, e dalla sua linea insurrezionalista urbana, la struttura del Partito fu quasi completamente dissolta e prevalse l'opportunismo. Molti di questi capi del PCC, quando non collaboravano direttamente con il KMT, si servivano le forze nuove attratte dal comunismo, le centinaia di migliaia di intellettuali di sinistra che riparavano nella cosmopolita Shangai, per proteggersi dalle continue retate del Kuomitang.
Il primo incarico di Chiang Ching a Shangai fu presso la locale Compagnia di Lavoro e Studi.
Divenne attrice teatrale, recitando in numerose opere progressiste che chiamavano il popolo alla difesa della Cina contro il Giappone. Successivamente, lavorando come insegnante nei corsi serali per operai, visitò molte fabbriche, acquisendo stretta familiarità con le miserabili condizioni del sistema di lavoro a contratto in fabbrica, specie nei grandi stabilimenti tessili, di proprietà nipponica e in quelle di sigarette, di proprietà britannica. Fu arrestata dal KMT (“grazie ad un suo vecchio amico del PCC rinnegato entrato nella polizia segreta ) e incarcerata per otto mesi. Se non altro, raccontò poi, nel tempo trascorso in carcere prese lezioni su come ingannare, recitando, i suoi carcerieri del KMT.
Essere un'attrice di cinema negli anni 30 a Shangai significava andare contro la tradizione, su tutti i fronti. La tradizione disprezzava questa occupazione, considerandola una professione per donne 'facili' e socialmente radicali. Le attrici erano oggetto di di spietate persecuzioni personali, volte a risvegliarne gli 'istinti' feudali e spingerle al suicidio (esito molto frequente). Il noto scrittore rivoluzionario Lu Sin, allora molto influente, che simpatizzava con i comunisti, fu uno dei suoi maestri. Egli scrisse diversi saggi su questo problema e sull'emancipazione della donna in generale;
in particolare “il pettegolezzo è qualcosa di spaventoso”, che criticava le ingiuste calunnie contro le donne impegnate nelle ar ti sceniche e gli attacchi della stampa misogina.
A metà degli anni 30 Mao e l'Esercito Rosso intrapresero la Lunga Marcia, Chiang Ching era spesso impegnata, per sopravvivere, in riprese cinematografiche e potè constatare che le produzioni erano ancora completamente dominate da Hollywood, ad eccezione di pochi film democratici. Scrisse anche alcuni articoli sulla rivista di sinistra Illustrazione. Quando la stampa diffuse la falsa notizia del suo rapimento (per spingerla al suicidio), denunciò questa minaccia personale in un articolo dal titolo”La mia lettera aperta”, pubblicato in un periodico di Shangai, Chiang Ching si recò al nord, nei quartieri dell' VIII Corpo dell'Esercito del PCC nel Sian, dove lei e molti altri giovani radicali accorrevano per unirsi alle truppe dell'Esercito Rosso nello Yenan, dopo un viaggio di circa 500 Km attraverso le montagne. 



  • Formazione rivoluzionaria delle donne 4^ parte:

La monogamia viene meno con la scomparsa delle cause economiche...
 
Il testo di Engels “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” è fondamentale perchè ci mostra che ogni passaggio, ogni descrizione della condizione della donna è sempre legata alle fasi storiche. Questa analisi è importante anche per l'oggi. La proprietà privata, lo Stato, la famiglia sono tre elementi fondamentali da cui partire per analizzare anche oggi i cambiamenti.
A che punto è il sistema capitalistico? Che forma si dà lo Stato? Che forma e che ruolo assume oggi la famiglia rispetto alle esigenze di oggi della borghesia, del capitalismo italiano.
Detto questo, partire dall'analisi delle condizioni di produzione non deve però portare ad una sorta di determinismo. Nonostante queste condizioni rappresentano il fattore base, principale, che determina la persona, non è l'unico, perchè poi a loro volta gli uomini e le donne agiscono, e nell'agire essi stessi sono un fattore di cambiamento. Però negare che le condizioni di produzione siano le base è veramente arrivare all'idea di Dio. Chi è l'uomo? Come è determinato l'uomo? Se non è determinato dal modo di produzione, allora lo è da qualcosa che sta al di sopra dell'uomo...
Questo analisi storico materialistico dialettica è importante per la critica all'idealismo.
L'intellettuale pensa che sia lui a determinare le idee e che per mezzo delle sue idee determina la condizione materiale di vita, e non che lui stesso è il prodotto della condizione materiale.
Questo rovesciamento lo ritroviamo anche nel pensiero femminile.
Le femministe piccolo borghesi pensano che si può cambiare l'ideologia maschilista con le idee, con la battaglia ideologica-culturale. Ma queste idee sono il prodotto di questo tipo di società, non possono essere sradicate se no cambiamo questa società, la base materiale, economica su cui si fondano quelle idee. Le parole da sole non bastano se non si fa la rivoluzione, se non cambia la maniera materiale di vivere. Le idee, anche quelle presenti nel proletariato, sono,come dice Marx, le idee della classe dominante: la gente non nasce con la cultura, gli viene imposta da chi ha il potere, da chi organizza la scuola, da chi organizza tutta la società, usando anche la religione...
Quindi tutte le forme e i prodotti della coscienza non possono essere eliminati mediante la critica intellettuale, ma solo mediante il rovesciamento dei rapporti sociali che le hanno determinate.
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DA “L'ORIGINE DELLA FAMIGLIA, PROPRIETA'PRIVATA E DELLO STATO” DI ENGELS:
LA MONOGAMIA VIENE MENO CON LA SCOMPARSA DELLE CAUSE ECONOMICHE...

“...Andiamo ora verso uno sconvolgimento sociale in cui le basi economiche della monogamia, come sono esistite finora, scompariranno tanto sicuramente quanto quelle della prostituzione che ne è il
complemento. La monogamia sorse dalla concentrazione di grandi ricchezze nelle stesse mani, e precisamente in quelle di un uomo, e dal bisogno di lasciare queste ricchezze in eredità ai figli di questo uomo e di nessun altro. Perciò era necessaria la monogamia della donna e non quella dell'uomo; cosicché questa monogamia della donna non era affatto in contrasto con la poligamia aperta o velata dell'uomo. Ma il sovvertimento sociale imminente, mediante trasformazione... dei mezzi di produzione in proprietà sociale, ridurrà al minimo tutta questa preoccupazione della trasmissione ereditaria. Poiché dunque la monogamia è sorta da cause economiche, scomparirà se queste cause scompaiono...La posizione degli uomini in ogni caso subirà un grande cambiamento. Ma anche quella delle donne, di tutte le donne, subirà un notevole cambiamento. Col passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune, la famiglia singola cessa di essere l'unità economica della società. L'amministrazione domestica privata si trasforma in un'industria sociale. La cura e la educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse...

Ma ciò che sicuramente scomparirà della monogamia sono tutti i caratteri che le sono stati impressi con la sua nascita dai rapporti di proprietà: cioè, primo, il predominio dell'uomo; secondo, l'indissolubilità. Il predominio dell'uomo nel matrimonio è una semplice conseguenza del suo predominio economico e cadrà da sé con la scomparsa di questo. L'indissolubilità del matrimonio è, in parte, conseguenza della situazione economica nella quale è sorta la monogamia, in parte tradizione proveniente dall'epoca in cui il nesso di questa situazione economica con la monogamia non era ancora ben compreso ed era spinto troppo oltre per motivi religiosi. Oggi essa è stata già infranta migliaia di volte. Se è morale solo il matrimonio fondato sull'amore, è anche vero che lo è soltanto quello in cui l'amore persiste. Ma la durata dell'impeto d'amore sessuale individuale è molto diversa, a seconda degli individui, specialmente negli uomini, e una positiva cessazione di una inclinazione o la sostituzione di essa con una nuova passione amorosa, fa del divorzio un beneficio sia per le due parti che per la società. Solo sarà risparmiato alla gente il guazzare nell'inutile sudiciume di un processo di divorzio. Quello che noi oggi possiamo dunque presumere circa l'ordinamento dei rapporti sessuali, dopo che sarà spazzata via la produzione capitalistica... è principalmente di carattere negativo, e si limita per lo più a quel che viene soppresso. Ma che cosa si aggiungerà? Questo si deciderà quando una nuova generazione sarà maturata. Una generazione d'uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all'uomo che amano per timore delle conseguenze economiche. E quando ci saranno questi uomini, non importerà loro un corno di ciò che secondo l'opinione d'oggi dovrebbero fare; essi si creeranno la loro prassi e la corrispondente opinione pubblica sulla prassi di ogni individuo...”


  • Formazione rivoluzionaria delle donne 3^ parte:
“Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta il proletario”
Continuiamo nello studio del testo fondamentale di Engels.
In esso emerge, e vogliamo sottolineare, come l'origine dell'oppressione femminile sta nella proprietà privata e la prima divisione del lavoro è stata quella della divisione tra uomo e donna. Ciò è molto importante anche per criticare quelle posizioni nel campo del femminismo borghese, che rovesciano questa priorità, affermando che l'origine è la divisione sessuale. Invece la divisione sessuale è una conseguenza della divisione del lavoro che a sua volta deriva dalla proprietà privata. Non è vero che “naturalmente” l'uomo è oppressore e la donna è l'oppressa. Questa presunta “naturalità” potrebbe apparentemente apparire come una posizione più radicale, infatti alcune dicono che non basta cambiare il sistema di produzione capitalista, perchè sempre l'uomo opprimerà la donna. Ma questa posizione, in realtà, afferma una sorta di immutabilità dell'oppressione della donna, perchè, se è un fatto “biologico” come potrebbe cambiare?
La risposta a questa obiezione “non basta cambiare...” la fornisce lo stesso marxismo-leninismo e soprattutto il maoismo con la Grande rivoluzione culturale proletaria, in cui si affermò la linea teorica e pratica della “rivoluzione nella rivoluzione”, il cui cuore sono proprio le donne.
Partire dall'analisi delle condizioni materiali di produzione non deve portare ad una sorta di determinismo economico. Queste condizioni rappresentano il fattore di base, principale, che determina la persona, l'essere sociale; ma come afferma lo stesso Engels, non è l'unico, perchè poi gli uomini e le donne a loro volta agiscono e nell'agire, essi stessi sono un fattore di cambiamento. Però nebìgare che le condizioni materiali di produzione siano la base è veramente arrivare all'idea di Dio. Chi è l'uomo? Come è determinato l'uomo? Se non è determinato essenzialmente dal modo di produzione, allora lo sarebbe da qualcosa che sta sopra di lui...

***

CONTINUANDO CON “L'ORIGINE DELLA FAMIGLIA, PROPRIETA' PRIVATA E DELLO STATO” DI ENGELS, RIPORTIAMO ALTRI PASSI IMPORTANTI SULLA FAMIGLIA MONOGAMICA… il matrimonio [nella famiglia monogamica] viene determinato dalla condizione di classe degli interessati e, in quanto tale, è sempre un matrimonio di convenienza. Questo matrimonio di convenienza si trasforma abbastanza spesso nella piu’ crassa prostituzione, talvolta da tutte e due le parti, molto piu’ comunemente da parte della donna, la quale si distingue dalla comune cortigiana solo perché essa non affitta il proprio corpo come una salariata che lavori a cottimo, ma lo vende in schiavitu’ una volta per tutte (p.98 ediz. Editori Riuniti).Vera regola nei rapporti con la donna diventa l’amore sessuale e puo’ diventarlo solo tra le classi oppresse, dunque al giorno d’oggi nel proletariato: sia o non sia questo un rapporto sanzionato ufficialmente (p.99).Nell’antica amministrazione comunistica che abbracciava parecchie coppie di coniugi e i loro figli, l’amministrazione domestica affidata alle donne era un’industria di carattere pubblico, un’industria socialmente necessaria, cosi’ come lo era l’attività con cui gli uomini procacciavano gli alimenti. Con la famiglia patriarcale, a ancor piu’ con la famiglia singola monogamica, le cose cambiarono. La direzione dell’amministrazione domestica perdette il suo carattere pubblico. Non interesso’ piu’ la società. Divenne un servizio privato; la donna diventa la prima serva, esclusa dalla partecipazione alla produzione sociale. Soltanto la grande industria dei nostri tempi le ha riaperto, ma sempre limitatamente alla donna proletaria, la via della produzione sociale. Ma in maniera tale che se essa compie i propri doveri nel servizio privato della sua famiglia, rimane esclusa dalla produzione pubblica e non ha la possibilità di guadagnare nulla; se vuole prendere parte attiva all’industria pubblica e vuole guadagnare in modo autonomo, non è piu’ in grado di adempiere ai doveri familiari. E come accade nella fabbrica, cosi’ procedono le cose per la donna in tutti i rami della attività, compresa la medicina e l’avvocatura. La moderna famiglia singola è fondata sulla schiavitu’ domestica della donna, aperta o mascherata, e la società moderna è una massa composta nella sua struttura molecolare da un complesso di famiglie singole. Al giorno d’oggi, l’uomo, nella grande maggioranza dei casi, deve essere colui che guadagna, che alimenta la famiglia, per lo meno nelle classi abbienti; il che gli dà una posizione di comando che non ha bisogno di alcun privilegio giuridico straordinario. Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta il proletario. Nel mondo dell’industria lo specifico carattere dell’oppressione economica gravante sul proletariato, spicca in tutta la sua acutezza soltanto dopo che tutti i privilegi legali particolari della classe capitalistica sono stati eliminati, e dopo che la piena eguaglianza di diritti delle due classi è stata stabilita in sede giuridica. La repubblica democratica non elimina l’antagonismo tra le due classi: offre al contrario per prima il suo terreno di lotta. E cosi’ anche il carattere peculiare del dominio dell’uomo sulla donna nella famiglia moderna, e la necessità, nonché la maniera, di instaurare un’effettiva eguaglianza sociale dei due sessi, appariranno nella luce piu’ cruda solo allorché entrambi saranno provvisti di diritti perfettamente eguali in sede giuridica. Apparira’ allora che l’emancipazione della donna ha come prima condizione preliminare la reintroduzione dell’intero sesso femminile nella pubblica industria, e che cio’ richiede a sua volta l’eliminazione della famiglia monogamica in quanto unità economica della società (p.100-101).
  • Donne e Resistenza 3^ parte
Dedicato alle donne della Resistenza Antifascista - in uscita lavoro di documentazione del MFPR

25 aprile 2016: 71° della Liberazione dal nazifascismo

dedichiamo questo lavoro
alle donne della Resistenza antifascista. 

Oggi pubblichiamo alcuni stralci perchè il materiale raccolto è tanto. Nei prossimi giorni cercheremo di rendere tutto il materiale in forma organica e lo metteremo a disposizione in un opuscolo.


A proposito delle obiezioni sollevate sul nome GDD: “…la definizione “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai volontari della libertà” può apparire inadeguata a rappresentare la ricchezza di manifestazioni autonome e il significato di promozione ideale, civile e politica che fu realizzata sotto l’egida dei gruppi. Essa deve essere calata nella mentalità di una società che usciva dal fascismo e che prima del fascismo non aveva conosciuto una diffusa e chiara coscienza paritaria, neppure attraverso la predicazione socialista; e la definizione va riferita all’obiettivo che si poneva di
mobilitare e organizzare le più diverse componenti sociali, facendo anche appello alle motivazioni più elementari e ai bisogni più urgenti e immediati della lotta armata”.
Sottolineiamo qui che la spontanea ed estesa presa di iniziativa delle donne porta alla necessità di organizzarle e dare un senso collettivo al loro contributo, ma, soprattutto, è importante sottolineare la comprensione da parte del Pci di cogliere e dare concreta attuazione a tale esigenza. Soprattutto dopo oltre un ventennio di revisionismo che, da un lato, ha cercato di sminuire il ruolo del Pci nella Resistenza antifascista, dall’altro, ha cercato di ricondurre l’azione dei partigiani come a mero supporto degli alleati :” Le donne dunque non sono entrate in massa nella Resistenza perché il Pci ha creato i Gdd, ma, piuttosto, il Pci – o alcune donne dei partiti di sinistra – hanno creato i Gdd perché se ne sentiva l’esigenza, perché occorreva dare una struttura organizzata alle donne che già erano scese in lotta o che non chiedevano che di farlo……”

Come funzionava, quale struttura si erano data le donne organizzate nei Gdd? “…I gruppi sono composte di cinque donne, di cui una soltanto tiene il collegamento con un’appartenente a un altro gruppo e così via; all’inizio soprattutto, il primo compito era quello di allargare la rete delle aderenti e non è cosa facile avvicinare le donne, spiegare loro l’apporto che potrebbero dare alla lotta di liberazione: manca l’abitudine ad affrontare argomenti come libertà, giustizia, è persino arduo trovare le parole; è invece più facile organizzare la raccolta di indumenti, viveri, medicinali.
(..) insieme a quello molto più pericoloso di avvicinare i giovani per convincerli ad andare in montagna(…)

Ma la cosa più originale dei Gruppi è che fin dalle prime riunioni si parla, sia pure in modo embrionale, di ˂emancipazione˃ e su molte è un argomento che esercita fascino perché mai inteso prima…”

Insomma è indubitabile che, qualsiasi sia stata la motivazione di partenza, la partecipazione delle donne è stata molto estesa ed articolata, a tutti i livelli. Nelle testimonianze si coglie bene l’orgoglio, la gioia: “E’ stato il periodo più bello della mia vita” diranno in tante nelle testimonianze orali. Le avanguardie ne stimolavano la partecipazione guardando al futuro, al “dopo”: senza una partecipazione diretta delle donne nella lotta contro il nazifascismo come si potrebbe pensare di cambiare concezioni, ruoli imposti, sfruttamento..? Partecipazione che, spesso non verrà riconosciuta, “ufficializzata” con l’attribuzione di attestati, medaglie etc oppure verrà riconosciuto un grado inferiore rispetto al ruolo effettivamente svolto. Tantissime non si presenteranno per ricevere il riconoscimento del loro contributo, da un lato, perché esse stesse, sminuiranno il loro ruolo e contributo, dall’altro, per le concezioni sulle donne pur ancora dominanti.

D’ altronde già durante la Resistenza molti dubbi venivano sollevati sull’opportunità che le donne diventassero gappiste o entrassero nelle “bande” in montagna, in alcuni casi c’era un divieto esplicito.

“…Quante volte le donne hanno dovuto ricorrere all’astuzia, alla fantasia per passare un posto di blocco: libri di filosofia o di latino oppure cavoli e carote nella borsa che nel doppio fondo celava importanti documenti, per confondere i militi; biglietti o armi nascosti nelle fasce dei bimbi. Ma oltre a questi rischi per la propria vita, le donne ne correvano altri, che oggi possono sembrare persino ridicoli (in realtà sappiamo bene che le concezioni oscurantiste, maschiliste non sono mai “morte” ,ndr), ma che allora avevano un peso: la vita che conducevano, sempre in giro da una parte all’altra della città nelle ore più strane, anche durante il coprifuoco, l’essere sorprese in compagnia maschile da qualche conoscente, generava pettegolezzi, metteva in pericolo l’ ˂onorabilità˃, un problema in più per chi doveva rendere conto a padri e fratelli, non sempre al corrente della vera attività. Ma generalmente non se ne curavano, pensavano che a liberazione avvenuta le cose si sarebbero chiarite, contavano sui compagni, su quelli con i quali oeravano e alla cui stima tenevano in modo particolare. In realtà certi pregiudizi erano talmente radicati che anche chi avrebbe dovuto avere idee aperte ne era condizionato, tanto è vero che in montagna le donne generalmente non le volevano: ˂ I comandanti di bande preferiscono non avere donne tra i piedi, le donne in banda sono un imbroglio, una responsabilità troppo grossa.˃ Infatti Angelica Casile che tentò di entrare in una formazione perché ricercata, si sentì dire: ˂ Non ti possiamo prendere perché sei una donna.˃ E vane furono le sue proteste: le fecero presente che era in gioco la sua reputazione e no servì neppure che lei assicurasse che era stata settimane in una stalla con quindici uomini senza che le fosse successo niente. ( anche oggi a quanti casi di sessismo, maschilismo si assiste ad opera di “compagni”?ndr) Quando i comandanti sono costrette ad accettarle, arrivano a trattarle in maniera sprezzante e la testimonianza di Alba Dell’ Acqua ne è un esempio:˂ Dopo il rastrellamento in Valsesia fui inviata all’ospedale di Varallo, dove lavorava il dottor pino Rossi, per sentire che cosa pensava di fare dei partigiani feriti e anche di se stesso, ormai troppo compromesso per aspettare l’arrivo dei nazifascisti. Mentre ero a Varallo, cadeva Borgosesia e allora mi unii a Rossi che aveva deciso di rifugiarsi con malati e feriti sulle montagne di Alagna. Passammo il mese di luglio del 1944 nascosti nei boschi, soffrendo la fame e dormendo sotto gli alberi. Soltanto alla fine di luglio si potè riannodare i contatti con Moscatelli che ci mandò a dire di scendere a Gozzano e organizzarvi un ospedaletto. Andammo a piedi per i monti: come arrivammo ci fu un altro rastrellamento; nuova fuga sui monti dove Rossi incontrò due partigiani che lo consigliarono di dirigersi a Boleto a un comando partigiano. Ci andammo; mentre Rossi si intratteneva con gli amici, entrai nella casetta del comando; il comandante della brigata (un monarchico) mi interroga e, a bruciapelo, mi chiede: “ma tu sei qui per fare la partigiana o per fare la puttana?”˃ (…)


Ma molti uomini, soprattutto i ˂ guerrieri˃, avevano questi atteggiamenti maschilisti…..”
Riprendiamo anche la testimonianza di Carla Capponi che svolse la sua attività nella Resistenza prevalentemente a Roma , svolgendo diversi compiti, ma principalmente nei GAP,  partecipa all’azione di via Rasella di cui i nazisti si vendicheranno in maniera atroce con le barbare uccisioni delle Fosse Ardeatine:”….Anch’io volevo procurarmi un’arma che mi veniva costantemente negata dai compagni dei GAP perché, secondo loro, noi donne dovevamo limitarci a mascherare la loro presenza nei luoghi degli attacchi fingendo di essere le fidanzate: erano convinti che, così, avrebbero corso meno rischi. A me riuscì di rubarne una sull’autobus a un giovane della GNR: era nuovissima, una Beretta 9 con relativo caricatore, che il ragazzo teneva stretta ai fianchi col cinturone..”

Si diceva prima, che lo sbarco degli alleati al Sud, insieme alla differente storia operaia, una coscienza sociale radicata, a partire da prima dell’ affermazione del fascismo, hanno determinato una diseguale possibilità di partecipazione delle donne che, pure, hanno partecipato, ad esempio a Napoli, all’insurrezione, anzi il loro ruolo viene ampiamente riconosciuto come determinante per la cacciata dei nazisti dalla città, ma altra cosa è la partecipazione organizzata e prolungata alla lotta per la liberazione dal nazifascismo. Anche in altre aree le donne partecipano alle proteste contro il carovita, mancanza di beni di prima necessità, nell’impedire il richiamo sotto le armi dei giovani, dopo l’8 settembre e quando in tanti erano tornati e la guerra si credeva finita. Partecipazione diseguale che permarrà negli anni successivi.

A questo proposito riportiamo da “Guerra popolare e liberazione delle donne in Nepal” di Hisila Yami pochi brani significativi, che aiutano a comprendere la specificità della partecipazione delle donne: “…E un altro punto di attrazione è il campo dell’esercito popolare. La milizia e l’esercito di liberazione popolare (EPL) sono diventati un punto di attrazione per le donne. Prima il punto di ingresso per le donne nel movimento era soprattutto il fronte culturale. Ma adesso il fronte militare è diventato un punto d’attrazione d’ingresso delle donne che si uniscono alla guerra popolare. L’azione che le porta ad entrare nel campo militare ha un effetto di trasformazione tremendo per le donne. All’improvviso una donna totalmente sconosciuta e remissiva si trasforma in una fiduciosa e indipendente combattente. Appare non meno intelligente delle donne cresciute in città. Sempre più diventa esperta in politica e in filosofia. Quando si affronta la vita e la morte per la maggior parte del tempo, ciò può succedere.

La natura prolungata della guerra popolare permette alle donne non solo di cambiare la società ma anche di cambiare se stesse. In un paese precapitalistico come il Nepal dove la monarchia assoluta domina il potere statale, la via verso il comunismo è lunga! La natura prolungata della guerra popolare permette ai rivoluzionari, in particolare alle donne rivoluzionarie che hanno un livello culturale più basso di quello degli uomini rivoluzionari, un lungo periodo di trasformazione”…..…(certo non è semplice, il pericolo del ritorno a casa delle donne è sempre molto alto ad esempio in caso di maternità, ndr)…..”E infine tutto questo dà come risultato l’arretramento delle donne nel movimento rivoluzionario..”..”In generale si è trovato che le donne si sono unite in gran numero alla guerra popolare e si sono sacrificate in tante, ma devono ancora essere ben formate dal punto di vista delle capacità organizzative, ideologiche e militari. Anche quando hanno mostrato queste qualità, devono ancora essere accettate e considerate dirigenti all’interno di varie organizzazioni del partito. Per affermare la direzione delle donne, devono ancora essere combattute la forza dell’abitudine e una certa attitudine negativa a tutti i livelli”..

Riprendiamo il percorso della Resistenza antifascista con la Toscana dove la Liberazione dai nazifascisti avviene progressivamente otto-dieci mesi prima dell’ Italia del Nord e vede attestarsi i nazisti nella Linea Gotica.

Particolarmente emozionante, di grande forza e impatto è ripercorrere gli eventi di Massa e Carrara.

“….A Massa e Carrara le donne si mossero soprattutto in modo collettivo, arrivando, come scrisse il comandante partigiano Brucellaria, a costringere ˂uno degli eserciti più forti del mondo a cedere all’eroismo, alla lotta, alla determinazione delle donne del popolo carrarese˃.

Questo avvenne il 7 luglio 1944 quando il comando tedesco, visto che la vita per loro diventava sempre più difficile in una zona peraltro di primaria importanza strategica, emanò un decreto in base al quale la popolazione doveva evacuare la città. Le donne si ritrovarono al mercato, dove per tutto il giorno tennero comizi, finchè alcune proposero di andare a bersagliare i tedeschi con i pomodori. Si formò allora un grandioso corteo di donne di tutti i ceti e di tutte le età che, gridando slogan, raggiunse il comando. La truppa intervenne ad armi spianate, tuttavia esse non si mossero e resistettero minacciose finchè l’ordine non fu revocato.

Ma la ˂grande epopea delle donne˃, come fu chiamata, era appena agli inizi. Vediamo che cosa dice in proposito un altro comandante partigiano, lo scultore Nardo Dunchi: ˂La pianura in faccia era occupata dagli alleati e dietro c’erano le montagne; quindi noi, partigiani e popolazione, non avevamo di che vivere per restare lassù in attesa di aggirare la linea Gotica, il giorno opportuno, come poi si fece. Furono ancora le donne a levarci da questo pasticcio. Noi, già dall’ 8 novembre, avevamo scacciato dalla città i fascisti e avevamo solo permesso che ci restassero venti territoriali tedeschi, i quali avevano la funzione di concedere i lasciapassare per le donne che si recavano a Parma, come dicevano, ma in realtà andavano nella pianura padana a comperare farina. [Come merce di scambio usavano il sale, genere di cui nelle zone interne c’era grande scarsità, e che ricavavano facendo lungamente bollire l’acqua del mare in grandi pentole su fuochi di legna delle pinete – N.D.AA.] Le donne si misero in marcia, in tante, coi carretti come usavano allora, con le ruote di legno. Dal mese di luglio sino ad aprile, viaggiando esclusivamente di notte, e non solo per il caldo d’estate, ma anche per evitare i mitragliamenti alleati, salirono i tornanti della Cisa; prima nel clado estivo, poi nel freddo dell’inverno, con le montagne e le strade coperte di neve e di ghiaccio. Siccome, poi, non c’erano in funzione gli spazzaneve, la strada della Cisa, a furia di calpestarla, era diventata una vera lastra di ghiaccio. E’ facile comprendere a che razza di fatiche erano sottoposte queste donne; per non parlare dei bombardamenti, che avvenivano anche di notte, alla luce dei bengala. Molte ci lasciarono la vita.

˂Fu dunque grazie alla loro abnegazione che noi potemmo, come avevamo promesso al generale alleato, quel 9 aprile, prendere alle spalle l’esercito tedesco, facendolo prigioniero; tanto da consegnare agli alleati, al loro arrivo in città, non solo i prigionieri, ma le strade sgomnre e intatte per farli correre, senza trovare più resistenza alcuna, fin sulla pianura padana.˃

Non occorrono commenti. Rispetto a quello che hanno fatto le donne, noi non abbiamo fatto niente˃, dice ancora Brucellaria.

Ma vediamo un po’ chi erano, come la pensavano, chi le guidava. Mogli di cavatori di pietre e dunque casalinghe popolane, ma anche bottegaie, maestre, qualche operaia e tante contadine. L’appartenenza politica era prevalentemente comunista e anarchica, secondo la tradizione locale, ma in realtà c’erano tutte, anche le suore del Sacro Cuore, che giunsero persino a fare, approfittando dell’abito che vestivano,, da staffette fra i partigiani e il Cln in più di una occasione. Al di sopra delle pur forti motivazioni politiche, a tenerle unite c’erano due cose: fame e desiderio di libertà.

Citiamo i pochi nomi emergenti: la famosa anarchica Lina Del Papa, la professoressa Raffaella Gervasio, l’azionista Ilva Babboni, Sandra Gatti, Maria Bertocchi, Nella Bedini, Renata Bacciola, Cesarina e mercede menconi, Odilia Brucellaria, Renata Brizzi, Elena Pensierini, Irma e Vittoria Grassi.

I Gruppi di difesa nel febbraio 1945 contavano su 133 attiviste, di cui 95 comuniste. E poi ci furono le partigiane in montagna….”

“..Non è stato facile né scontato costruire una organizzazione femminile di massa della Resistenza e ancora meno facile è stato riconoscerle un posto al fianco delle altre forze, che in quel momento combattevano, nonostante il grande contributo che le donne davano quotidianamente alla lotta. Su vari terreni e in vari modi si è cercato di impedire questa partecipazione femminile organizzata autonomamente, ma di questo non troviamo traccia nei discorsi o nei libri sulla resistenza.

Troviamo invece, largamente documentato, il doppio lavoro che le donne hanno compiuto nel vecchi ruolo imposto e in quello nuovo che si erano scelte: madri, spose, sorelle e, insieme, combattenti di un esercito popolare…..Abbiamo sempre parlato con orgoglio, e lo facciamo ancora oggi, dei Gruppi di difesa della donna, per ciò che hanno saputo essere nel movimento partigiano e siamo convinte che, senza quel tipo di organizzazione, la Resistenza non sarebbe stata vincente. Dobbiamo riconoscere che, proprio con quello strumento, si fece il primo tentativo di organizzazione autonoma delle donne per porre i problemi specifici della condizione femminile.

E, tuttavia, è proprio nella impostazione del programma e dell’organizzazione dei GDD che si rivelò la prima, profonda contraddizione.

I partiti della borghesia, presenti nel CLN……non potevano tollerare che si mettesse in discussione il ruolo delle donne nella famiglia e nella società e intendevano la loro presenza nella Resistenza come un momento di supporto….

..La seconda contraddizione andò facendosi sempre più profonda man mano che cresceva l’impegno delle donne. La contraddizione di sesso, più difficile da riconoscere e da combattere perché sorretta dal costume e dalle tradizioni secolari, si delineava anche là dove le donne si erano schierate: i nemici, coscienti e incoscienti della sua liberazione, erano i suoi stessi compagni di lotta….”

Emilia Romagna: la regione in cui la partecipazione delle donne alla Resistenza è ampia ed articolata, ma anche con una continuità con le lotte antifascista e del movimento operaio e contadino prima e durante il fascismo. In particolare le lotte delle mondine, delle operaie nelle fabbriche, nelle campagne non si fermano praticamente mai del tutto, come anche il contributo di giovani intellettuali sarà significativo. Ma è anche la regione attraversata dalla Linea Gotica (da Rimini a La Spezia) e in cui i bombardamenti saranno pesantissimi, come la presenza opprimente dei nazifascisti. Anche la Liberazione, quindi, avverrà in momenti diversi.

“..Richiamando gli uomini al fronte (10 giugno 1941, data di entrata in guerra dell’ Italia, ndr), il fascismo ha dovuto ricorrere in maniera sistematica alla mano d’opera femminile, e con ciò stesso la contraddizione tra la sua pratica sociale e la sua ideologia diventa perceepibile in ambito assai largo, che oltrepassa i confini politici e ideologici della cultura antifascista precedente. Il carattere regresssista e quello pretestuoso dell’antifemminismo fascista appaiono così evidenti nello stesso tempo: le donne, cui è stato in tempi normali negato il diritto al lavoro come base di indipendenza, sono ora costrette al lavoro sostanzialmente forzato, per la più elementare sussistenza dell’intera famiglia. I discorsi sulla forza degli uomini e sulla fragilità delle donne, di moda nel ventennio, ne vengono di colpo illuminati: l’orario è più lungo, la fatica maggiore del normale, il salario resta quasi sempre intorno alla metà di quello maschile. Prima ancora che il  tema della parità salariale entri in gioco, il sottosalario viene denunciato per la sua insufficienza: in questo momento iniziale, le lavoratrici sanno solo che il salario non basta per nutrire i vecchi e i bambini che pesano su di loro, e cominciano a chiedersi se sia naturale – per i sessi come per le classi – che guadagni di meno chi lavora di più, in questo caso la donna. Il concetto del salario femminile come salario ˂d’aggiunta˃ subisce un duro colpo, a livello di massa.

Dal 3 al 7 di giugno del 1940, a Spilamberto, le operaie della Sipe scioperano per aumenti salariali, e la lotta appare subito durissima: ai fermi e agli arresti, si accompagnano 122 licenziamenti e 224 sospensioni. Di lì a qualche mese l’operaia Barbolini, alla ceramica Marazzi, prende in pubblico la parola, durante un’agitazione contro le multe, presentando le rivendicazioni delle compagne. A carpi, le operaie della fabbrica Menotti sospendono il lavoro chiedendo aumenti salariali, metre quattro di loro, denunciate e condannate a tre mesi per direttissima, ottengono la condizionale, ma vengono licenziate in tronco (una di loro, Laura Solieri, ha quattro figli). Il 12 aprile del ’42, 129 operaie del calzificio Milano, a Reggio, vengono licenziate durante uno sciopero.

Non sono che esempi scelti a caso da una fitta serie di episodi analoghi: tornano, nel linguaggio, le parole tipiche dell’associazionismo operaio, ˂diritti˃, ˂rivendicazioni˃, quelle che la pesante mistificazione del linguaggio corporativistico aveva, negli anni precedenti, proibito e sepolto. La fabbrica, del resto, non è un luogo isolato, ma il punto dove arrivano e si rifrangono le ondate della protesta popolare: nell’ottobre del ’40, per esempio, lo sciopero delle operaie dello Jutificio Montecatini, a Ravenna, non è che il proseguimento di una manifestazione già avviata da mondine e braccianti contro il razionamento del pane; quasi un anno dopo, le operaie di alcune fabbriche di Parma innestano uno sciopero su un’agitazione cittadina scoppiata per il pane;…..

…..Ma il processo di maturazione politica investe anche la generazione che il fascismo aveva tenuto all’oscuro delle emancipazioni possibili. Scrive Alfea Selva, di Conselice: ˂ Prima della resistenza facevo la bracciante, poi soltanto la staffetta, andavo in risaia, nel collettivo, e a casa di contadini.

Orario di lavoro, 8 ore giornaliere, la paga era di 8 franchi e 8 soldi al giorno. Sono diventata antifascista a causa della brutta situazione in cui era piombato il paese, una guerra dopo l’altra, miseria, morti, orfani, e allora dentro di noi maturò la ribellione˃.”

Dopo l’8 settembre, l’occupazione nazista fa rapidamente comprendere come l’aspirazione alla fine della guerra, alla libertà si allontanano.

“…Le lavoratrici che vengono precettate nelle fabbriche per il lavoro coatto in Germania, sono in situazione, come si è notato, peggiore degli uomini: spesso le operaie sono mogli di soldati al fronte, e la deportazione, per loro, vuol dire lasciare a casa bambini senza genitori. Per questo le donne nelle fabbriche sono più decise degli uomini nella lotta contro la deportazione…”

“..l’8 settembre, appena fu chiaro che i tedeschi non avrebbero lasciato liberi gli italiani neppure di proseguiree o meno la guerra, le donne insegnarono ai soldati come si poteva cambiare una divisa con un abito civile, e come le strade verso i monti permettessero di sottrarsi alla complicità con i nazisti. Fra quelle donne, chi continuò a svolgere quella funzione anche dopo le repressioni naziste, diventò un centro organizzativo. Questo fu, a livello collettivo, il principio del loro partigianato. Va intanto notato che, in un curioso rovesciamento di funzioni rispetto alla tradizione, furono le donne a ˂difendere˃ gli uomini.

Un episodio per tutti: Lina vacchi, un’operaia che aveva già guidato, anni prima, uno sciopero alla fabbrica Callegari (e che sarebbe morta più tardi fucilata dai nazisti) riuscì a salvare Arrigo Boldrini dall’arresto durante una manifestazione davanti alla questura per la distribuzione delle armi alla popolazione. D’altra parte Boldrini non avrebbe fatto l’errore di sottovalutare il contributo femminile, reduce com’era dalla Jugoslavia, dove la Resistenza antifascista gli aveva rivelato anche questa sua (per l’ Italia, insolita) componente.”

“..Ma com’è che le donne vennero coinvolte, di là dall’organizzazione, anche nel partigianato vero e proprio’ Racconta Norma Barbolini (…)che un cero numero di ˂sbandati˃ di Sassuolo fu orientato dai comunisti locali, poco dopo l’8 settembre, verso la Resistenza in montagna e che alcuni tra loro entrarono nelle Brigate nere, dalle quali disertarono di lì a poco, costituendo con le armi così ottenute un distaccamento partigiano. In casi come questo spesso le donne raggiungevano i partigiani sui monti per evitare, fra l’altro, le rappresaglie che i nazisti esercitavano verso i familiari dei ˂renitenti alla leva˃..”

“.. A Reggio (…) era stato il gruppo formato dalle comuniste Gualdi, Taglini e da altre, che durante il ventennio fascista aveva tenuto vivo un embrione d’organizzazione. Più tardi, l’intervento decisivo di Lucia Sarzi e l’impegno di altri compagni, incaricati dal PCI di affrontare la questione femminile, sono aspetti di un’azione che spiega i motivi profondi della crescita comunista in certe zone della popolazione: il PCI è l’unico che affronta il problema della condizione delle donne – pur con tutte le contraddizioni – con animo, come si è visto, non provinciale, proprio per la sua esperienza internazionale..”

“..Nel modenese (…) si contano a centinaia i prigionieri inglesi, usciti dal campo di concentramento sulla via Nonantolana, che vengono salvati dopo l’8 settembre dalle donne: alcune di loro, Derna Malagoli, Vera Righetti, Ines Gallini, Chiarina Rognoni, saranno arrestate  nel gennaio insieme ai soldati italiani antinazisti. Questi episodi di solidarietà hanno già un senso  politico, se, come nota la Cronaca Pedrazzi, ˂dargli un sorso d’acqua può essere già motivo per una condanna capitale˃. Una ragazza di 16 anni, lalla Malavolti, insieme a un suo coetaneo, porta fuori dalle case popolari, l’8 settembre attraverso scale e passaggi, un numero incalcolabile di soldati braccati dai tedeschi, salvandoli dalla prigionia e avviandoli alla Resistenza; è in questo clima che prendono inizio esperienze garibaldine, come quella di Norma Barbolini, già ricordata, che sarà vice comandante partigiana sul campo di battaglia, dopo il  ferimento del fratello Armando, e protagonista della conquista di Montefiorino; sarà sempre lei, infatti, a correre dopo la battaglia in paese, braccata e sorvegliata com’è, per trovare un medico necessario  ai compagni feriti…”
“..Il  capoluogo regionale presenta lo stesso processo di coagulo: mentre il CLN si riunisce il 16 settembre (…)le donne, come ricorderà Ruggero Zangrandi, riescono spesso a farsi consegnare le armi dai soldati provenienti dalla Jugoslavia. (…) L’atteggiamento popolare si chiarisce attraverso episodi come quello di Castenaso, dove, il 15 settembre, donne e ragazzi forano i recipienti dell’olio che viene trasportato dai tedeschi in germania, lungo la strada, provocando la reazione dei nazifascisti.
Partigiane si trovano già nella formazione di Stella Rossa che si costituisce nel tardo autunno, come ha ricordato L. Bergonzini, tra il Setta e il Reno. Certo è che, in generale, la storiografia tende a cancellare i nomi femminili: neppure di Francesca Edera, massacrata con altri 5 antifascisti in via della Certosa il 31 marzo del ’44, così consapevole dell’imminente crollo del fascismo (˂ Anche un ragazzo, oggi può farvi paura˃ si dice rispondesse ai suoi persecutori), gli storici della resistenza bolognese, in generale assi più precisi degli altri, riescono sempre a ricordare il nome. (…)

Intanto, si andavano orientando verso la partecipazione diretta alla Resistenza alcune studentesse e giovani laureate (…)

Quando nell’aprile fu fondato il CUMER (braccio militare del CLN Alta Italia e comando regionale delle formazioni partigiane, ndr), Ena Frazzoni fu invitata dal comunista Dario Barontini, che lo dirigeva, a organizzare, dal centro bolognese, tutto il lavoro delle staffette.(…) (riportiamo una sua breve frase della sua testimonianza, ndr) :˂Ci sentivamo parte di un esercito clandestino, e ne sentivamo la responsabilità(..)˃

Un breve cenno, ora, sugli scioperi operai e sulle manifestazioni agrarie, promosse da donne o di cui le donne sono state gran parte. Nota il Bergonzini che ˂l’ampiezza dei contenuti politici nelle fabbriche a prevalente mano d’opera femminile˃ è il dato particolarmente significativo della situazione: tradizione antifascista più profonda e continua che altrove, leggi abnormi come quella sul lavoro obbligatorio dai 16 ai 60 anni per il  reclutamento di operai (che talvolta era il primo passo per la deportazione in Germania), sono tutti elementi che concorrono a una rapida acquisizione dei termini politici della Resistenza da parte delle lavoratrici.
Certo è che il ‘44 vede 300 donne accanto ai 400 uomini della Battistoni di Reggio scioperare in febbraio, altre (quasi un migliaio) nello stesso periodo alla Arrigoni di Cesena, per la riassunzione di un’operaia antifascista che era stata licenziata. Così nel gennaio scioperano gli operai, uomini e donne della Barbieri di Bologna, a sostegno di una manifestazione di donne a Castelmaggiore di Reno, secondo un’intelligente formula organizzativa che infatti sarà ripresa nel febbraio con uguale successo. Scioperi di lavoratrici già nel marzo si registrano a Ravenna, contro le norme che proibivano la circolazione in bicicletta, ecc., mentre uno sciopero allo Jutificio Ravennate, in aprile, si inserisce in un contesto di grande vitalità operaia.


L’aprile del 1944 è il mese in cui il motivo unificante di queste agitazioni diventa più chiaramente politico, attraverso la protesta contro la precettazione di lavoratori: scioperi di questo tipo se ne contano a Forlì il 12, a Parma il 17, il 5 e l’8 a Modena (dove già nel marzo c’era stata una lunga agitazione alla Maserati), il 13 e ancora il 22 a Bologna. Nel maggio, 150 operaie di Casalecchio scioperano ancora contro le deportazioni, mentre le donne addette alla sarchiatura e alla zappatura nel ferrarese, come le 200 mondine di Argenta, sostengono con le loro rivendicazioni sindacali il movimento antitedesco; il motivo della rivendicazione economica, la protesta contro la guerra, la difesa dei giovani destinati alla deportazione, si fondono nella manifestazione delle numerose operaie che il 4 maggio si portano davanti alla Casa del fascio di Ravenna.(...)
Quante sono state le donne che hanno partecipato alla Resistenza?

I dati ufficiali:                                                                            
  • 35.000 partigiane, sappiste e gappiste
  • 512 comandanti e commissarie di guerra
  • 4.633 arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti
  • 2750 deportate in Germania
  • 623 fucilate e cadute in combattimento
  • 1.750 ferite 
  • 70.000 organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna
Dati ufficiali che si discostano in maniera significativa dalle considerazioni di Arrigo Boldrini- famoso comandante- nome di battaglia Bulow- della guerra di Liberazione ed esperto militare che ebbe a dire: “ Se in un esercito normale il rapporto fra combattenti e addetti ai servizi è di uno a sette, nella guerra partigiana è di uno a quindici; intorno a ogni patriota ci sono quindici persone che in grande maggioranza sono donne”(3)
Il dato numerico è straordinario in sé, come straordinario, e contro la vulgata che vorrebbe le donne spinte da spirito materno, è il ruolo delle donne, già dai primi giorni. 
Come giustamente ricostruito (4), dopo l’8 settembre i soldati, sbandati, senza direttive, in tantissimi abbandonano le divise e tentano di tornare a casa evitando treni e strade per non imbattersi nei tedeschi che, intanto, avevano avuto tutto il tempo per riorganizzarsi e rastrellavano gli uomini da mandare a lavorare in Germania. Sono le donne che si rendono conto della situazione e li nascondono, forniscono abiti civili, in qualche modo “danno indicazioni”, nello smarrimento generale. La parola d’ordine “basta con la guerra” accomuna da nord a Sud, militari e civili, soprattutto le donne che, in tantissime sono rimaste da sole con i vecchi e i bambini“.
A Castelfranco Emilia circa mille marinai, provenienti da La Spezia, trovano al loro passaggio ai lati della via Emilia donne munite di abiti borghesi, scarpe e viveri. A Sassuolo, in piazza della Libertà, i tedeschi avevano concentrato i militari prigionieri, circondandoli con mitragliatrici:le donne non esitano, passando tra i tedeschi e le mitragliatrici per raggiungere i militari, a incoraggiarli a tentare la fuga..”(4)
Come mai tante donne?
Il fascismo aveva rappresentato per le donne un “ritorno indietro”: dalle affermazioni sulle “caratteristiche” delle donne alla doppia morale, sul loro ruolo nella società: o madri prolifiche, successivamente meglio se di morti in guerra o strumenti di piaceri del maschio fascista; ma è soprattutto con leggi apertamente discriminatorie, in primis sul lavoro, verso le donne che si dà applicazione pratica a queste concezioni, ricacciando le donne nel “focolare” e verso una condizione di sempre maggiore oppressione. Insomma, l’oppressione aumenta la ribellione: “..Si può avanzare l’ipotesi che, poiché qui le leggi fasciste si erano sommate a una tradizionale arretratezza culturale, a una borghesia più reazionaria e a una Chiesa più potente – che nella sottomissione della donna trovavano ciascuno il suo tornaconto - proprio il maggior peso dell’oppressione abbia provocato la maggiore ribellione..” “..E’ facile perché..Perchè il fascismo alle donne, non aveva proprio nulla da offrire, mentre c’era da temere che gli restasse sempre ancora qualcosa da togliere..”(2).

In tutti i lavori su donna e Resistenza si mette in evidenza come le donne abbiano scelto di partecipare alla Resistenza, andando spesso contro genitori, mariti, vicini e/o, spesso, nascondendo la vera attività che svolgevano fuori casa. Ma si coglie che tante sono state le motivazioni, la spinta iniziale: motivazioni di classe, lo sdegno per le persecuzioni degli ebrei, la solidarietà umana, l’aspirazione, forte, a un mondo diverso senza discriminazioni, migliore per le donne, senza sfruttamento…ma comunque già per se stesso un fatto dirompente. La partecipazione fa maturare rapidamente, insieme alla preparazione politica e teorica che sarà impartita dalle “vecchie” militanti, anche le regole della clandestinità. Soprattutto se si pensa al clima di terrore instaurato dai nazifascisti che significava carcere, torture, stupri, deportazione nei campi di concentramento, morte.
Quel che è certo che non fu un gruppo ristretto di donne a partecipare, ma, in mille forme, contribuendo in vario modo perché tutto è indispensabile, un numero enorme: la rete di informazioni sui movimenti del nemico, l’organizzazione delle fughe dagli ospedali e dalle carceri, la cura dei feriti, l’approvvigionamento, il trasporto di viveri e armi, il sostegno alle famiglie dei deportati, dei prigionieri politici, informare le famiglie dei lutti, portare direttive..
Un altro aspetto da tenere in considerazione è lo sviluppo ineguale che si è avuto nelle diverse regioni della Resistenza, ma anche la durata dell’occupazione nazifascista, oltre che una diversa coscienza nelle regioni in cui si erano sviluppate le lotte contadine ed operaie. La partecipazione per un più lungo tempo, la consuetudine con le lotte e l’organizzazione hanno permesso di sviluppare una maggiore coscienza, come appare bene dalle testimonianze nelle diverse Regioni. E, allora, cosa furono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà, quale ruolo, attività svolsero?
Intanto, la scelta del nome creò più di una perplessità, soprattutto non si comprendeva la necessità di un’organizzazione specifica delle donne (ancora oggi sentiamo ”quando si lotta si lotta per le donne e gli uomini”, in una visione idealista – vedi in proposito La scintilla dello sciopero delle donne a cura del mfpr), ma anche perché sembra voler relegare le donne a un ruolo “di genere” o a un lavoro trasversale di donne appartenenti ad organizzazione diverse. Viene, invece, ben accolta dalle più giovani e dalle donne non appartenenti a un partito, perché dà loro la possibilità di partecipare in modo concreto ed, appunto, organizzato, visto che spontaneamente e/o a piccoli gruppi tante donne già si erano mobilitate. Diventerà, inoltre, la base per sviluppare - con non poche “defezioni”- una piattaforma  sui problemi specifici delle donne per il dopo Liberazione.

Dal citato  Rapporto che ricordiamo è stato redatto nel corso della Resistenza, già, questo, basta a rendere conto della rete clandestina efficientissima, dell’enorme lavoro svolto in condizioni proibitive: “Nel novembre 1943(a Milano, ndr) si riunirono alcune donne (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato comuniste; Laura Conti e Lina Merlin socialiste; Elena Dreher e Ada Gobetti, azioniste (4)), appartenenti ai vari partiti aderenti al CLN, per gettare le basi di una organizzazione femminile, unitaria e di massa. Venne così elaborato ed approvato il programma dei “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”;…..
L’organizzazione che stava per sorgere doveva essere aperta alle donne di ogni ceto sociale: operaie, impiegate, massaie, intellettuali e contadine, alle donne di ogni fede religiosa e di ogni tendenza politica e a tutte le donne senza partito, persuase di unire le loro forze nella lotta contro i tedeschi e i traditori fascisti, disposte a dare la propria opera per la liberazione della patria e decise a far valere le proprie rivendicazioni.
I compiti fissati erano i seguenti: organizzare nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle campagne la resistenza alle violenze tedesche, il sabotaggio della produzione, il rifiuto dei viveri agli ammassi, raccogliere viveri, denaro, indumenti per i combattenti della libertà ed aiutarli in ogni modo; assistere le famiglie dei partigiani, dei fucilati, dei carcerati, degli internati in germania e tutte le vittime della reazione nazifascista.
Inoltre, si doveva esigere con gli scioperi, con le fermate di lavoro, e con le dimostrazioni di massa: l’aumento delle razioni alimentari insufficienti a garantire il minimo indispensabile alla vita; l’aumento dei salari adeguato all’aumento del costo della vita; l’alloggio alle famiglie degli sfollati e dei sinistrati; i combustibili, i vestiti, le scarpe; i locali necessari per le scuole, il loro riscaldamento, e le refezioni, i vestiti e le scarpe per i bimbi, la proibizione del lavoro a catena, del lavoro notturno, dell’impiego nelle lavorazioni nocive; un salario uguale, per un uguale lavoro, a quello degli uomini; delle vacanze sufficienti e l’assistenza nel periodo che precede e segue il parto…

ATTIVITA’ SVOLTA
Le difficoltà causate dalla situazione esistente, i vent’anni di fascismo durante i quali fu negato alla donna il diritto di partecipare alla vita politica, la necessità di osservare le più strette norme cospirative, rendevano oltremodo difficile il nostro lavoro, inoltre gli elementi più sicuri e capaci svolgevano altra attività politica... La prima campagna iniziata dai gruppi fu quella delle mondariso e la preparazione dell’8 marzo….
Nei grandi scioperi del marzo 1944 i Gruppi erano già presenti, benchè in numero ristretto, nelle principali fabbriche e seppero tenere degnamente il loro posto accanto alle altre organizzazioni di lotta… I Gruppi furono presenti e attivi in tutte le agitazioni, in tutti gli scioperi. Per una settimana le donne di Parma manifestarono e si scagliarono contro i carnefici dei patrioti riuscendo così a salvare dalla morte alcune decine di giovani italiani. Qui si ebbero le nostre prime vittime. A Forlì durante una dimostrazione fu uccisa una madre di cinque figli e ferita gravemente un’altra madre di tre bambini. Queste donne chiedevano pane per sfamare i loro bambini
Fu poi organizzato il grande sciopero delle mondine, sciopero vittorioso al quale partecipavano più di diecimila donne.
Ovunque le aderenti alla nostra organizzazione hanno tenuto valorosamente il loro posto di lotta. Nelle fabbriche, delegazioni femminili hanno chiesto ai padroni: viveri, vestiti, scarpe, carbone e legna, aumenti di paghe e miglioramenti delle mense aziendali. Le nostre donne sono state attivissime e piene d’entusiasmo e spesse volte esse riuscivano a scuotere l’apatia di certe masse maschili e a trascinarle nella lotta
Nel mese di settembre fu inviata al cardinale Schuster una lettera che ha riscosso l’approvazione e la firma di diecimila donne milanesi, lettera che chiedeva l’intervento del cardinale contro le deportazioni di donne in Germania.
Nel mese di novembre a Schio delle giovani ragazze venivano aggredite da militi ubriachi e veniva loro usata violenza.
Sparsasi la notizia, il giorno dopo, i Gruppi di difesa, d’accordo col Comitato d’agitazione delle fabbriche, dove le ragazze lavoravano, proclamavano lo sciopero di protesta per l’inaudita violenza, reclamando il castigo dei delinquenti. Tutte le fabbriche della città aderirono allo sciopero che divenne così generale assumendo il carattere di grande manifestazione antifascista.
Lo sciopero durò due giorni e cessò solo dopo aver avuta l’assicurazione che i colpevoli sarebbero stati puniti. (grassetto a cura del r.)
Casi analoghi avvennero in altri luoghi.

Le manifestazioni di piazza per reclamare viveri sono state e sono numerose. In questi ultimi tempi poi, in alcuni posti esse assumono un carattere veramente insurrezionale.
A Torino le donne si recano in gran numero al Doche- Dora e alla Venchi – Unica per reclamare zucchero che viene loro concesso e si recano dal prefetto chiedendo viveri e combustibili. Assalgono poi vari depositi di legna e di carbone.
Anche a milano e provincia delegazioni femminili, appoggiate da centinaia di donne si recano ai municipi e alle prefetture reclamando il necessario per vivere.
Durante l’ultimo sciopero generale del mese scorso, al quale hanno partecipato compatte le maestranze di oltre cento fabbriche milanesi, le nostre organizzazioni non solo hanno aderito allo sciopero con entusiasmo, guidando le masse femminili, ma hanno parlato a folle di popolo: nelle fabbriche, nelle mense rionali, sulle piazze, al “Corriere della Sera” ecc. spiegando alle compagne di lavoro che lo sciopero aveva questo significato: esigere senza indugio pane, viveri, la cessazione del terrore nazifascista, la liberazione dei prigionieri politici, il ritorno dei fratelli e delle sorelle deportate nell’interno della Germania.
Il 14 aprile i Gruppi organizzano una manifestazione di donne e di popolo nelle piazze. Dai vicoli e nelle piazze della città le donne gridano il loro basta contro l’affamamento e gli affamatori mentre i patrioti armati di mitra sono schierati pronti a difenderle. Circa mille e cinquecento donne hanno partecipato alle manifestazioni.
Ma in modo particolare è in Emilia che i gruppi organizzano quasi tutti i giorni delle manifestazioni che si concretizzano con l’ assalto agli ammassi ed ai magazzini di viveri destinati ai tedeschi e ai fascisti.
Tutti i viveri vengono poi distribuiti, in modo equo, a tutta la popolazione, da commissioni femminili nominate dalle dimostranti.
In certi paesi del bolognese le nostre dirigenti sono divenute coi CLN le vere autorità riconosciute dal popolo. Esse dirigono ospedali e ospizi di vecchi, organizzano in unione agli altri organismi di massa le cooperative, e provvedono alla distribuzione di viveri, legna ecc.

GRANDI MANIFESTAZIONI POLITICHE
I novembre – La manifestazione organizzata dai Gruppi per rendere omaggio agli eroici fucilati è riuscita in ogni luogo in un modo grandioso e commovente. In quei giorni, tante e tante donne hanno sfilato dinnanzi alle tombe dei cari caduti, ed ogni fiore che esse deponevano era accompagnato da una promessa. Promessa di continuare la lotta per vendicarli e vincere…
Settimana pro partigiano – Nelle vallate prossime alle zone partigiane, le contadine si sono molto prodigate nell’assistenza ai patrioti, ricoverandoli nelle loro case, curando i feriti e gli ammalati, fornendoli di tutti i viveri necessari, sfidando coraggiosamente il terrore e la brutale reazione nazista e fascista. Le donne di città hanno sempre aiutato e aiutano con grande entusiasmo tutti i partigiani: hanno raccolto viveri, denari, indumenti, confezionano maglie, calze, guanti ecc. Questa attività non è mai cessata, ma si è maggiormente sviluppata e ha preso carattere di grande manifestazione politica in occasione delle varie “settimane pro partigiano” organizzate in ogni città e in ogni paese. Le donne italiane hanno in tale occasione scritto ai volontari della libertà centinaia di lettere per far sentire di quanto affetto e di riconoscenza sono circondati.
All’inizio di questa settimana pro partigiano nei luoghi di lavoro, nelle officine, negli uffici ecc. gli operai, gli impiegati, i tecnici e le donne, i giovani hanno sospeso il lavoro per alcuni minuti ricordando in silenzio e a capo scoperto gli eroici caduti nella lotta per la liberazione della patria.
Furono esposti nei reparti fotografie di caduti ornati di fiori e del tricolore e sulle torrette di alcune fabbriche vennero messi grandi cartelli inneggianti i partigiani……
Migliaia e migliaia di manifestini sono stati distribuiti con lanci per le strade, grandi manifesti affissi ai muri della città annunciavano ogni giorno l’ elenco degli oggetti offerti…

IL NATALE DEL PARTIGIANO (Natale rosso) – Migliaia e migliaia di pacchi sono stati inviati ai partigiani, portati dalle nostre donne alle loro famiglie, ai carcerati, e a tutte le famiglie colpite dalla reazione nazifascista. Si è poi pensato in modo speciale ai bambini.
Alcuni orfani, figli di fucilati, sono stati adottati dai Gruppi di fabbrica che provvedono al loro mantenimento, alla loro istruzione, all’ assistenza ecc. Tutti i bambini delle vittime nel giorno di Natale sono stati ricordati; ognuno ebbe il suo pacco contenente dolci, giocattoli, indumenti, libri ecc…

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA – La celebrazione di questo giorno è svolta in una atmosfera di giubilo per la vittoria dell’esercito rosso e delle armate angloamericane sul suolo tedesco. Le donne italiane hanno fatto dell’8 marzo una giornata di mobilitazione e di lotta di tutte le forze femminili antifasciste ed antitedesche. All’appello e sotto la direzione dei Gruppi di difesa della donna, in tutte le città, nei grandi e nei piccoli centri, tutte le operaie, le impiegate, le casalinghe e le intellettuali, sono scese in campo agitando tutte le rivendicazioni immediate contro la fame e le violenze nazifasciste.
In questo giorno sono state ricordate tutte le donne cadute eroicamente sulla breccia e le combattenti che lottano clandestinamente, sfidando ogni giorno la deportazione, il carcere, le torture ed anche la morte.
A Milano alcune centinaia di donne si sono recate al cimitero ricoprendo di fiori le tombe dei nostri eroici caduti. I mazzi di fiori erano legati con nastro tricolore portando i nomi dei Gruppi di difesa della donna. Dopo qualche minuto di raccoglimento e fra la commozione di tutti i presenti un’ aderente lesse l’elenco delle nostre eroine cadute per la liberazione dell’ Italia e commemorò tutte le vittime.
Un’altra donna prese pure la parola incitando alla lotta; un cieco vittima del fascismo, presente alla manifestazione, volle prendere la parola. Mentre parlava copiose lacrime scendevano dai suoi occhi spenti, suscitando ancora più la commozione dei presenti.
Sempre a Milano, una grande manifestazione avvenne alla prefettura ed alla SEPRAL, dove centinaia di donne reclamavano viveri e combustibili. “Siamo la rappresentanza di tutte le donne milanesi”, esse dissero, “vogliamo viveri perché abbiamo fame e della legna perché manca il gas.”
Le donne si batterono coraggiosamente contro il prefetto e i dirigenti della SEPRAL che cercavano di calmarle e lasciarono gli uffici solo in seguito alla promessa che sarebbe avvenuta subito una distribuzione di viveri.
Quasi in tutte le fabbriche vi furono alcune ore di sciopero e la presentazione a mezzo di delegazione, di rivendicazioni salariali; distribuzione di manifestini che spiegavano il significato dell’8 marzo, affissione di manifestini con i nomi delle eroine cadute e grandi cartelli con le scritte a stampatello inneggianti alla giornata della donna, ai Gruppi di difesa, ai partigiani.
In alcune fabbriche furono esposte fotografie di donne fucilate, con la dedica: “Gloria e onore alle eroine cadute”. L’ esposizione è durata tre ore e durante tutto questo tempo due aderenti ai “Gruppi della donna”, a turno, con i nastri tricolori puntati sul petto, montarono la guardia d’ onore. Tutte le maestranze riverenti e commosse hanno sfilato dinanzi alle fotografie. Gli stabilimenti furono imbandierati un po’ dappertutto. Bandierine su ogni macchina, sugli orologi dei reparti, nastri tricolori sui capelli e sul petto delle donne. Furono raccolte somme a favore dei Gruppi e del nostro giornale “Noi donne” e pro partigiani.
In vari stabilimenti nostre aderenti, venute da fuori, hanno parlato alle maestranze, nei refettori e nei reparti, sollevando ovunque vivissimo entusiasmo.
I comizi terminavano al canto di inni e inneggiando ai Gruppi di difesa della donna. Anche a torino ebbero luogo manifestazioni al cimitero e nelle fabbriche. Così in Liguria, in Emilia, veneto e dovunque, l’ 8 marzo è stato per le donne dell’ Italia occupata un giorno di lotta contro i nemici della patria.
(della manifestazione al cimitero di Torino abbiamo riportato sopra).

ASSISTENZA
L’ assistenza è uno dei compiti più importanti della nostra organizzazione.
In un primo tempo l’assistenza veniva praticata quasi tutta attraverso ai vari partiti e solo in piccola parte a mezzo delle organizzazioni femminili e dei comandi militari. Ora quasi tutto il lavoro assistenziale è svolto dai Gruppi di difesa: assistenza morale e materiale alle famiglie colpite dalla reazione, assistenza sanitaria alle famiglie sussidiate, distribuzione di generi vari oltrechè di denaro ai più bisognosi (scarpe, indumenti, viveri ecc.). Nostre insegnanti si prestano a dare lezioni ai bambini che ne abbisognano, offrendo loro libri e quaderni. E’ svolta inoltre l’assistenza ai carcerati con l’invio di pacchi, denaro, scambio di lettere tra famiglie e carcerati.
Per pasqua erano stati inviati ai carcerati pacchi collettivi. A Milano per esempio furono inviati cinquantasei pacchi contenenti ognuno cento ravioli, due salami, diciotto uova sode, cinque pacchi di sigarette, un chilogrammo di formaggio grana, tre etti di burro, due etti di sale, quattro etti di zucchero, tre colombe dolci da mezzo chilogrammo l’una, un vaso di marmellata, un vaso estratto di carne. La merce in alcuni posti è stata offerta dal CLN ed i pacchi confezionati dalle donne dei Gruppi. Sempre per opera dei gruppi in varie località viene svolto abbastanza bene il servizio postale fra partigiani e famiglie.
Si aiutano poi i malati e i tubercolosi ritornati dalla deportazione in Germania. Ormai tutti i partiti apprezzano l’attività e il grande lavoro svolto dalla nostra organizzazione nel campo dell’ assistenza. Si riconosce che tutti i compiti assistenziali devono essere affidati a questo organismo femminile che ha già dato tante buone prove. Ogni mese milioni e milioni di lire vengono distribuite in modo equo fra migliaia di famiglie.

VOLONTARIE DELLA LIBERTA’
Già prima che si costituissero le brigate e i distaccamenti delle “Volontarie della libertà”, per iniziativa dei Gruppi, le donne lavoravano attivamente con le organizzazioni armate (partigiani, GAP, SAP, ecc.) come infermiere nelle formazioni, staffette, portaordini ecc.
Il primo distaccamento si è costituito in Piemonte sei o sette mesi fa. Composto di spose, di mamme e di sorelle di partigiani.
Le componenti questo distaccamento che lavoravano sulla montagna accanto alla II brigata Garibaldi, “Giambone”, avevano vari compiti: qualcuna funzionava come collegatrice o staffetta, ma in maggioranza esse davano la loro opera come cuoche, lavandaie e stiratrici.
In Liguria, poco dopo, furono costituite tre brigate cittadine di SAP femminili con i nomi di “Alice Noli” prima donna genovese fucilata; “Irma Bandiera”, fucilata a Bologna; “Anita Garibaldi”. Gruppi di volontarie funzionano poi in Piemonte, in Lombardia, in Emilia ecc. In questi ultimi tempi si stanno organizzando pronte a partecipare all’attacco finale. Le volontarie sono inquadrate in squadre di pronto soccorso di sanità, in squadre per il recupero di armi e munizioni, per i tagli dei fili telegrafici, per asportare pali indicatori tedeschi e per il lancio di chiodi sulle strade camminabili. Vi sono delle squadre di informatrici, staffette, collegatrici. Abbiamo alcune commissarie politiche nelle formazioni partigiane.
Delle audaci volontarie hanno portato via dagli ospedali i partigiani feriti che erano in attesa di essere fucilati. In alcuni posti se li sono caricati sulle spalle, non potendo i feriti camminare, trasportandoli in luoghi più sicuri.
Le nostre volontarie espongono continuamente la vita e lo fanno con grande coraggio. Sovente vengono elogiate e citate all’ ordine del giorno per atti d’audacia e abnegazione.
Molte di esse arrestate e torturate si sono comportate magnificamente non pronunciando una parola che potesse recar danno alle loro compagne e all’organizzazione. Fra di esse vi sono delle fanciulle come Edera Francesca (19anni), la Irma Bandiera, le sorelle Arduino e tante altre, delle spose e delle mamme come la Clelia Corradini, Alice Noli ecc., che lasciarono dei bimbi in tenera età, e vi sono delle donne come la Binda Teresa, una vecchia mamma di 70 anni, fucilata perché riforniva di viveri il figlio partigiano e i suoi compagni.
Le nostre eroine cadute raggiungono già un numero rilevante: Edera Francesca, Irma Bandiera, Alice Noli, Clelia Corradini, Binda Teresa, Sante Adele, Negri Ines, Paola Garelli, Franca Lanzoni, Arduino Libera, Arduino Vera e tante altre delle quali non abbiamo ancora i nomi.

STAMPA E PROPAGANDA
Il giornale nazionale è “Noi Donne”; il primo numero è uscito nel mese di marzo del 1943. Nel 1944 sono usciti dieci numeri e due numeri speciali dedicati alle Volontarie della libertà. Quattro numeri sono stati redatti quest’anno (1945), un numero speciale è stato dedicato alla giornata dell’8 marzo.
Come tutte le agitazioni, gli scioperi, le manifestazioni sono state dirette alla lotta contro i nazifascisti, così anche la linea del giornale ha avuto la stessa impronta. Vi era chi pensava che si potesse pubblicare maggiormente articoli programmatici e educativi, noi eravamo invece convinte che si dovesse mantenere ad esso il suo principale carattere di agitazione e di battaglia. Infatti “Noi Donne” ha finora questo specifico carattere. Dai primi numeri in poi il giornale ha sempre migliorato specialmente ora che ha la collaborazione delle donne di tutti i partiti. Le nostre aderenti inviano spesso corrispondenze e articoletti.
Nelle regioni noi inviamo gli articoli dattilografati e il giornale viene poi riprodotto e stampato o ciclostilato secondo le possibilità tecniche del luogo. Agli articoli e alle notizie che noi inviamo ognuno aggiunge il notiziario e le corrispondenze locali. Altri giornali vengono poi pubblicati nelle varie regioni. A Torino (“La difesa della lavoratrice”, che tratta specialmente i problemi sindacali); a Genova (“Le donne in lotta”); in Emilia (“Le donne in lotta” e “La rinascita della donna”); nel Veneto (“La donna friulana”); a Milano (“Bollettino” per le organizzate e la rivista del centro studi “Il pensiero femminile”).
Tutti questi periodici seguono i caratteri e gli scopi dell’organizzazione, cioè: unità delle forze femminili, lotta accanita contro gli oppressori, lotta per la libertà e la democrazia.
L’organizzazione è intervenuta nei villaggi e nelle città con migliaia di manifestini, di volantini ciclostilati, dattiloscritti, stampati che hanno volta per volta invitato la massa femminile a dimostrare: contro i tedeschi e i fascisti a causa dei bombardamenti aerei della città, contro le deportazioni in Germania di operai e operaie, contro le rapine della nostra produzione, per l’aumento delle razioni viveri e delle paghe, contro gli ammassi, per l’appoggio ai renitenti e disertori, per il sabotaggio della produzione bellica, contro il terrore e i massacri. Manifestini furono diretti alle operaie, alle massaie, alle contadine, alle intellettuali, alle mamme per tutte le questioni economiche e politiche, per preparare la campagna delle mondine, per incitare tutte le donne alla campagna contro il freddo e la fame, per esaltare la cnquista del voto delle donne, per l’aiuto ai partigiani e alle vittime della reazione.
Anche nelle regioni e provincie i comitati locali e spesse volte anche i singoli settori hanno per proprio conto parlato alle donne attraverso la stampa. Non sempre però ci è stato possibile fare quanto avremmo voluto, per deficienze tecniche. Troppo poche sono ancora le copie del nostro giornale, troppo poco si riesce a stampare. Sappiamo quanto proselitismo si possa fare attraverso la stampa. Dovremmo perciò in questo campo fare di più e mentre finora ricorriamo all’ aiuto dei partiti, cercare d’ora in poi nel limite del possibile di creare un nostro apparato tecnico anche per questa attività. Sono stati stampati alcune migliaia di opuscoli con nozioni di infermeria. “L’assistenza al ferito”, che serve di guida alle nostre aderenti che seguono i corsi di infermeria organizzati dai Gruppi.
E’ merito dei Gruppi se le donne hanno acquistato interessamento alla vita politica ed hanno ora il desiderio di sapere e di imparare più.

SVILUPPO POLITICO E ORGANIZZATIVO
Abbiamo cercato fin dall’inizio di svolgere la nostra attività in modo tale da fare dei Gruppi di difesa della donna l’organizzazione unitaria di tutte le donne italiane. Essa non doveva avere carattere federativo, ma di massa, non doveva essere solo l’unione dei gruppi di partito ma unione di tutte le donne antifasciste e antitedesche.
Lungo il cammino abbiamo incontrato molte difficoltà, ma senza scoraggiarci abbiamo continuato la strada intrapresa, convinte che saremmo giunte alla meta. Infatti i nostri sforzi sono stati coronati da successo. Mentre i Gruppi di difesa incominciavano a sorgere e ad affermarsi, altri gruppi femminili si costituivano, alcuni con carattere prettamente di partito, altri, come i gruppi di Giustizia e libertà, pur essendo sotto la influenza di un partito, tendevano ad avere carattere più largo, aperti cioè alle non iscritte al partito.
Nel mese di agosto dello scorso anno, mentre già alla base dell’organizzazione i nostri gruppi erano composti di donne appartenenti a tute le ideologie politiche e religiose e nella maggioranza donne senza partito, dall’altro nei comitati dirigenti non si era ancora raggiunto l’accordo con le aderenti ai vari partiti politici. Un concreto e sincero accordo si realizzò nel mese di settembre tra le rappresentanti del Partito d’ azione, le socialiste e le comuniste. Poco dopo anche le democristiane accettarono di entrare a far parte delle direzioni generali, provinciali ecc., con qualche riserva circa la fusione delle loro forze.
Fa ora parte della Direzione centrale anche la rappresentante del partito repubblicano italiano.
Due mesi fa, dopo aver avuto disposizioni da Roma, i democristiani deliberavano di non partecipare più alla direzione dei Gruppi.
Questo però avvenne quasi esclusivamente al Comitato nazionale, poiché alla base ed in varie direzioni regionali e provinciali le donne democristiane continuarono a farvi parte, anzi intensificarono la loro attività. Infatti a Torino, la rappresentante dei Gruppi nel CLN è una democristiana.
La questione è stata ripresa in esame in questi giorni e pare che anche in campo nazionale essa venga risolta in modo favorevole all’unione.
Abbiamo ora nella nostra organizzazione una grande massa di donne, quelle che si svegliano adesso alla vita politica. Queste donne non sanno ancora ben distinguere tra il programma comunista e quello socialista, tra il liberale, il democristiano e quello del partito d’azione, ma sentono che alcune cose le uniscono a tutte le loro sorelle, qualunque sia il partito al quale appartengono.
L’organizzazione ha dimostrato coi fatti l’utilità e la necessità della propria esistenza e si è affermata come organismo unitario di massa. Questa utilità è stata riconosciuta dal CLNAI e dai CLN regionali e periferici. E’ stato altresì riconosciuto ai Gruppi il diritto di partecipare ai CLN stessi in rappresentanza dell’organizzazione femminile. Siamo ormai rappresentati nel CLN delle principali città e provincie e in quasi tutti quelli periferici.

ORGANIZZAZIONE
Ogni gruppo di fabbrica, di massaie, di intellettuali, di contadine ecc. si è dato un nome. Generalmente è stato scelto il nome di un eroe, di un’eroina e di qualche martire.
Il Gruppo è diretto da un comitato di tre o quattro o cinque membri a seconda del numero delle aderenti. Esso è articolato in nuclei di cinque o sei donne; la responsabile del nucleo è a contatto con una dirigente del comitato. Funzionano inoltre i comitati di zona, di settore, di provincia, di regione e il comitato nazionale. Accanto ai comitati nazionale, regionali, provinciali, di settore etc. operano delle commissioni di lavoro per l’organizzazione, la stampa, la propaganda e per l’assistenza. L’organizzazione funziona dalla base al centro attraverso collegamenti fra i vari comitati. Nelle principali città si sono creat dei “centri studi” col compito di studiare i compiti famigliari di oggi e di domani; col compito di studiare i problemi della ricostruzione in modo concreto, come potranno essere risolti dal punto di vista democratico, e quale è il contributo che le donne potranno portarvi come collaboratrici e dirigenti. Si studiano perciò le questioni che riguardano la maternità e l’infanzia, le mense popolari, il problema delle scuole, del lavoro, della casa, dell’assistenza ecc.
Settimanalmente i comitati di settore e di zona inviano un rapporto del lavoro svolto e di quello in programma al comitato provinciale. Così mensilmente avviene lo stesso dalla provincia alla regione, e dalla regione al centro.
Abbiamo poi delle ispettrici nazionali che periodicamente si recano nelle regioni, e le ispettrici regionai per il controllo delle provincie. Queste ispezioni sono state sempre proficue e ci hanno dato buonissimi risultati. Una di queste ispettrici si è recata nelle zone controllate dai partigiani portando da svolgere in tali luoghi ed orientando nel giusto modo l’attività delle donne entrate nelle giunte popolari a rappresentare l’organizzazione.
Siamo presenti e teniamo a esserlo sempre in numero maggiore nei CLN centrali e periferici, nei comitati d’agitazione, nei comitati sindacali, nelle giunte popolari e in tutti gli organi di direzione delle masse.
Buoni sono i nostri rapporti con il fronte della gioventù, assieme al quale abbiamo organizzato varie manifestazioni e realizzato in comune alcune iniziative.
Nelle città, il reclutamento è stato fatto, in gran parte, tra le operaie; in Emilia invece molte sono le contadine iscritte. Aumentano i gruppi di massaie, di studentesse, di insegnanti e professioniste, ma troppo poco si è ancora fatto in questo campo.
L’organizzazione è costituita da aderenti e collegate. Le aderenti pagano una quota mensile variante da L. 2 a L. 5. Le collegate sono quelle che pur non pagando una quota fissa aderiscono a tutte le iniziative dei Gruppi, leggono e distribuiscono la nostra stampa, sottoscrivono per l’organizzazione, per il giornale, per i partigiani ecc., sono attive in tutte le manifestazioni e partecipano in parte in pratica alla vita dei gruppi.
Ci mancano i collegamenti con molte provincie, molti Gruppi sono in via di costituzione ed i dati che riusciamo ad avere non sono mai completi perché variano ogni giorno. Il numero delle collegate è

ancora più difficile da stabilire. Appena ora arrivano le prime risposte ai questionari nei quali richiedevano appunto cifre esatte.
Il totale generale risulta essere 39.028. Calcolando però a 50.000 il numero complessivo delle facenti parte dell’organizzazione, siamo ancora al di sotto del numero esatto.

DIRIGENTI
Mentre l’organizzazione in quest’anno e più di vita si è sviluppata e le sue file si sono ingrossate, i quadri non sono aumentati proporzionalmente. Sappiamo benissimo che formare  una dirigente non è così facile come reclutare una aderente, ma questa nostra deficienza ci preoccupa e cerchiamo di trovare i mezzi per rimediarvi.
Ora però tutti i nostri sforzi e la nostra attività sono concentrati verso un unico scopo: preparare le masse femminili a combattere, con tutto il popolo, l’ultima battaglia, orientando tutto il nostro lavoro per la insurrezione nazionale.
Abbiamo inviato, a questo proposito, delle direttive a tutti i comitati regionali e provinciali dei Gruppi, dove l’insurrezione è vista attraverso tre suoi momenti.

PRIMA – DURANTE – DOPO
Prima – Tutte le manifestazioni e le agitazioni di massa devono essere intensificate; le fermate di lavoro e gli scioperi devono assumere un ritmo più accelerato; si devono porre continuamente rivendicazioni economiche; protestare contro gli arresti e le fucilazioni di patrioti, impedire i licenziamenti; si devono intensificare tutte le azioni preparatorie che dovranno culminare nel grande sciopero insurrezionale.
Le donne dei Gruppi di difesa segnaleranno i depositi di viveri e di combustibili, le giacenze degli ammassi e dei magazzini di vettovagliamento fascista, che saranno messi a disposizione del CLN per un’ equa distribuzione alla popolazione.
Alle contadine è stato affidato il compito di proteggere, a fianco dei loro uomini, i campi e le semine dalle distruzioni, di difendere i prodotti dalle rapine nazifasciste. Abbiamo fatto comprendere la necessità di creare uno stretto collegamento tra Gruppi di città e quelli di campagna per il trasporto dei viveri occorrenti sia durante sia dopo l’insurrezione.
All’organizzazione è stato inoltre affidato il seguente compito di assistenza ai combattenti in ogni campo.
Le nostre donne in quei giorni dovranno dare tutta la loro opera come: infermiere, portaferiti, staffette, collegatrici, vivandiere ecc.  In ogni casa si dovrà apprestare un posto di pronto soccorso, vi dovrà essere un letto e un piatto di minestra per un ferito o per un combattente. Si creeranno le “cucine del combattente”. Si provvederà ai bimbi che resteranno senza assistenza, si provvederà ad alloggiare ed assistere i liberati dal carcere e dai campi di concentramento. I Gruppi di fabbrica faranno funzionare le mense aziendali. I CLN hanno incaricato i gruppi di confezionare i bracciali tricolori, distintivo dei dirigenti dell’insurrezione. Distintivo dei gruppi sarà una coccarda tricolore.
DURANTE – Sono pochi i consigli che ci è stato possibile dare perché non si possono prevedere gli sviluppi della situazione alla quale ogni comitato regionale e provinciale adeguerà la sua azione.
Abbiamo potuto solo fissare questi punti :
  • Difendere i depositi di viveri come cosa sacra, come bene del popolo;
  • Coadiuvare i CLN nella distribuzione delle merci alla popolazione;
  • Impedire la fuga dei criminali fascisti che dovranno essere giudicati dai tribunali del popolo;
  • Prendere possesso delle sedi di istituzioni fasciste femminili, ricreative e assistenziali, scegliere anche una sede in un edificio privato nel caso che quella occupata non possa rimanere definitivamente assegnata ai Gruppi.
  • Occupare, d’accordo con le altre organizzazioni, tutte le sedi di istituzioni popolari fasciste (dopolavoro, nidi per l’infanzia, mense, cooperative ecc.) e collaborare alla gestione a favore del popolo.
Dopo – I problemi che si presenteranno l’indomani dell’insurrezione saranno innumerevoli ma solo per alcuni ci è stato possibile dare suggerimenti: ricevere le truppe alleate come amici e liberatori, con manifestazione di giubilo per la liberazione avvenuta, ma con dignità nazionale.
Le rappresentanti femminili entreranno a far parte degli organi di governo popolare e collaboreranno a far funzionare i servizi di assistenza, quelli ospitaleri, quelli del trasporto dei viveri e della loro distribuzione ecc.; contribuiranno all’epurazione con la partecipazione delle donne ai tribunali del popolo e procurando gli elementi femminili di sostituire gli elementi notoriamente fascisti in tutti gli uffici statali e comunali, nelle amministrazioni d’interesse pubblico, nelle scuole, negli ospedali ecc.
Appena liberati, i gruppi organizzeranno una grande manifestazione per rendere il doveroso omaggio alle vittime cadute sotto il piombo nemico. Un grande corteo dovrà muovere da ogni città, da ogni paese verso i cimiteri che racchiudono le tombe dei nostri martiri, e verso i luoghi delle fucilazioni.
Tale manifestazione costituirà la prima grande rassegna delle forze femminili e della nostra organizzazione.

Organizzeremo inoltre delle settimane della “solidarietà nazionale” a favore delle famiglie delle vittime e dei reclusi nei campi di concentramento e delle prigionie.



PROBLEMI DELLA RICOSTRUZIONE
A liberazione avvenuta, conscie di aver fatto tutto il possibile per contribuire alla liberazione della patria, volgeremo le nostre energie e tutta la nostra attenzione allo studio delle questioni che ci interessano particolarmente e collaboreremo con tutti gli organi di governo popolare per la risoluzione dei problemi della ricostruzione. Molte attività i gruppi potranno svolgere nel campo della ricostruzione democratica e progressiva della nazione.
Nell’istante in cui viscriviamo, poche ore ci separano dal momento in cui il popolo dell’Italia ancora occupata scatterà per scacciare per sempre i tedeschi e i fascisti dal suolo patrio. La certezza della vittoria ci fa sentire che ogni sacrificio non è stato vano, ogni fatica non è stata e non sarà inutile.
Abbiamo ricevuto il vostro manifesto di programma che ci descrive l’UDI come organismo di massa, ma da notizie che ci sono giunte in seguito ci sembra di aver capito che invece esso abbia il carattere di un organismo federale di gruppi di partito.
Avremmo tanto desiderio di avere notizie precise in merito, un poco più esaurienti e complete, appena vi sarà possibile. Anche del vostro giornale “Noi donne” abbiamo ricevuta una sola copia, non sufficiente per darci un’idea esatta del suo ordinamento e del suo programma. E’ la seconda volta che i Gruppi di difesa della donna stabiliscono contatti con voi, sorelle dell’Italia liberata.
La prima volta fu in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, in cui vi inviammo un messaggio.
Il rapporto che vi inviamo della nostra attività passata e presente, sul programma e sull’orientamento politico dei gruppi, anche se incompleto vi servirà ad orientarvi nei confronti della nostra organizzazione e del nostro lavoro.
Il Comitato nazionale
Dei “gruppi di difesa della donna
e per l’ assistenza
ai combattenti della libertà”
  • Formazione rivoluzionaria delle donne 2^ parte:
Per una analisi materialistico storico dialettica della condizione della donna.

Da “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” di Engels
Dal dominio della donna al suo asservimento.

IL DOMINIO DELLA DONNA
“... E' una delle idee più assurde di derivazione illuministica del secolo XVIII, che la donna all'inizio della società sia stata schiava dell'uomo. La donna invece... aveva una posizione non solo libera, ma anche di alta considerazione” (e qui Engels riporta quanto scriveva un missionario americano A. Wright).
“... al tempo (delle) antiche case lunghe (amministrazioni comunistiche di più famiglie)... prevaleva quivi sempre un clan (una gens), cosicchè le donne prendevano i loro uomini dagli altri clan (gentes)... Abitualmente la parte femminile dominava la casa... le provviste erano comuni ma guai a disgraziato marito o amante troppo pigro o maldestro nel portare la sua parte alla provvista comune. Qualunque fosse il numero di figli o delle cose da lui personalmente possedute nella casa, in un qualsiasi momento poteva aspettarsi l'ordine di far fagotto e andarsene. Ed egli non poteva tentare di resistere, la vita gli veniva resa impossibile... le donne erano nei clan, e del resto dovunque, la grande potenza. All'occasione esse non esitavano a deporre un capo e degradarlo a guerriero comune.”
Continua Engels “...la mole eccessiva di lavoro svolto dalle donne tra i selvaggi e i barbari, non sono affatto in contraddizione con quanto è stato detto. La divisione del lavoro tra i due sessi è condizionata da cause diverse dalla posizione della donna nella società... (la donna) lavorava duramente, ma era considerata presso il suo popolo come una vera signora, ed era tale anche per il suo carattere...”.

IL PASSAGGIO
“...l'addomesticamento degli animali e l'allevamento degli armenti avevano sviluppato una fonte di ricchezza fino ad allora sconosciuta ed avevano creato condizioni del tutto nuove... a chi apparteneva questa ricchezza? Senza dubbio originariamente alla gens. Ma già presto deve essersi sviluppata la proprietà privata degli armenti... Tali ricchezze, una volta passate nel possesso privato delle famiglie e qui rapidamente moltiplicate, dettero alla società fondata sul matrimonio di coppia e sulla gens matriarcale un colpo potente... Secondo la divisione del lavoro nella famiglia allora in vigore, toccava all'uomo procacciare gli alimenti, come anche i mezzi di lavoro a ciò necessari, e quindi anche la proprietà di questi ultimi. L'uomo poi in caso di separazione se li portava con sè, come la donna conservava le sue suppellettili domestiche. Secondo l'uso d'allora, dunque, l'uomo era anche proprietario delle nuovi fonti di alimentazione, del bestiame e, più tardi, dei nuovi strumenti di lavoro: gli schiavi. Secondo l'uso di quella stessa società, però, i suoi figli non potevano ereditare da lui.... secondo il diritto matriarcale... la discendenza fu calcolata soltanto in linea femminile...”
(Ma) “...le ricchezze, nella misura in cui si accrescevano, da una parte davano all'uomo una posizione nella famiglia più importante di quella della donna, dall'altra lo stimolavano ad utilizzare la sua rafforzata posizione per abrogare, a vantaggio dei figli, la successione tradizionale. Ma ciò non poteva essere finchè era in vigore la discendenza matriarcale. Era necessaria dunque l'abrogazione di essa, ed essa infatti fu abrogata”.



L’ASSERVIMENTO DELLA DONNA
Il rovesciamento del matriarcato segnò la sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile. L’uomo prese nelle mani anche il timone della casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli… il primo effetto del dominio esclusivo degli uomini, fondato allora, si mostra nella forma intermedia della famiglia patriarcale, che affiora in questo momento. Ciò che lo caratterizza principalmente (è)… l’organizzazione di un numero di persone libere e non libere in una famiglia sotto la patria potestà del capofamiglia… La parola familia non esprime originariamente l’ideale del filisteo d’oggigiorno… famulus significa schiavo domestico e familia è la totalità degli schiavi appartenenti ad un uomo… un nuovo organismo sociale, il cui capo aveva sotto di sé moglie, figli, e un certo numero di schiavi…”.

Marx aggiunge: La moderna famiglia contiene in germe, non solo la schiavitù, ma anche la servitù della gleba, poiché questa, fin dall’inizio, è in rapporto con i servizi agricoli. Essa contiene in sé, in miniatura, tutti gli antagonismi che si svilupperanno più tardi largamente nella società e nel suo Stato...
…Per assicurare la fedeltà della donna, e perciò la paternità dei figli, la donna viene sottoposta incondizionatamente al potere dell’uomo; uccidendola egli non fa che esercitare il suo diritto”.

“… (la monogamia) fu la prima forma di famiglia che non fosse fondata su condizioni naturali, ma economiche, precisamente sulla vittoria della proprietà privata sulla originaria e spontanea proprietà comune… essa appare come soggiogamento di un sesso da parte dell’altro, come proclamazione di un conflitto tra i sessi sin qui sconosciuto in tutta la preistoria… “la prima divisione del lavoro è quella tra uomo e donna per la procreazione dei figli” (Marx)… Il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte del sesso maschile.
La monogamia fu un grande progresso storico, ma contemporaneamente essa, accanto alla schiavitù e alla proprietà privata, schiuse quell’epoca che ancora oggi dura, nella quale ogni progresso è, ad un tempo, un relativo regresso, e in cui il bene e lo sviluppo degli uni si compie mediante il danno e la repressione degli altri. Essa fu la forma cellulare della società civile, e in essa possiamo già studiare la natura degli antagonismi e delle contraddizioni che nella civiltà si dispiegano con pienezza”. 


 

  • Donne e Resistenza 2^ parte: il Piemonte
Riportiamo ampi stralci della vivida testimonianza di Anna Fenoglio vedova Gaia, in cui si vede bene la miseria portata dalla guerra nelle case operaie, il lavoro femminile e minorile che sostituisce gli uomini richiamati al fronte, rappresentando, spesso, l’unico salario “ufficiale” della famiglia perché, poi, c’era il lavoro a nero, a domicilio, la rinuncia ad una istruzione, a vivere la stagione della fanciullezza, per capire anche cosa ha rappresentato il fascismo, in particolare per le donne PROPRIO PERCHE’ NON POSSIAMO PERMETTERE CHE IL CONTRIBUTO DELLE DONNE VENGA RIDOTTO A UN RIGO  :”Io provengo da una famiglia di operai, sono torinese. Quando è venuta la guerra del ’15-18 è stato richiamato mio papà e i miei fratelli a soldato; ne avevo tre, uno più piccolo, ma due erano al fronte e io ero l’unica che poteva dare un aiuto alla famiglia, avevo undici anni: Allora mia mamma mi ha messo a lavorare in una filatura da Tollegno al Regio Parco.
Avevo fatto la sesta e ho dovuto smettere la scuola per poter andare a  lavorare.
In filatura sono entrata bambina con undici anni, ma ho fatto l’apprendista e poi mi hanno messo nei telai…..Era un lavoro pesante, per il movimento che dovevamo far fare ai telai e perché poi c’era la polvere…Andavo da sola……Per forza bisognava andare da soli a lavorare, perché…la mamma non poteva accompagnarmi
Per mangiare, dato che c’era la tessera perché c’era la guerra, allora si andava con quel pezzo di pane che ci restava dalla tessera a testa, perché mancava il burro, mancava l’olio, mancava tutto…
Lì ho cominciato a capire che cosa era lo sfruttamento….In quell’epoca lì si prendeva poco stipendio….
Io ho lavorato alla manifattura di Tollegno fino a dopo l’occupazione delle fabbriche; a quindici anni mi hanno messo nella Commissione interna…E’ capitato che mio padre e i miei fratelli che erano più vecchi di me erano iscritti al partito socialista….
Poi mi è morto un fratello sul fronte e allora mio padre lo hanno mandato a casa con l’esonero; portava la fascia…Poi nel ’17 viene la rivolta contro la guerra.
Allora c’era il sindacato del partito socialista e eravamo tutti organizzati e dichiarano uno sciopero generale….Davanti alla fabbrica c’era una cooperativa e alla mattina alle sei arrivava il camion con il pane nelle ceste. Una mattina non ci hanno più potuto fermare, tutti sono saliti su quel camion a prendere il pane…
E poi tutti in corteo si doveva andare alla Camera del lavoro. Perché lì a Regio Parco c’era la fabbrica delle tabacchine, poi c’era un’altra filatura che si chiamava Gianotti e poi c’era la filatura Tollegno..c’era diverse fabbriche. Ci siamo uniti tutti insieme per andare alla Camera del lavoro in corteo. Quando siamo stati in corso Palermo, alla barriera di Milano, dove c’è la chiesa della Pace, noi si gridava tutti in coro:-Abbasso la guerra, non vogliamo più la guerra, dateci pane, abbiamo fame! -..tutte quelle cose lì.
Allora il parroco dal campanile si mette a gridare: - Viva la guerra!
Allora non si è più visto niente; sono andati sotto nelle cantine del parroco e lì hanno trovato tutto il ben di Dio…si è preso tutta quella roba e si è portato tutto in mezzo alla strada. Le donne..sono venute lì con dei sacchetti; una ha preso la farina, l’altra ha preso il pane….
Però mentre si faceva quel lavoro lì è arrivata la cavalleria e le guardie regie e si sono messe a sparare e ci sono stati dei morti.
E allora si sono fatte le barricate per le strade…..Solo che dopo abbiamo dovuto arrenderci perché se no ci ammazzavano tutti…..Il giorno dopo le barricate non sono più state fatte..Poi abbiamo ripreso a lavorare.
Quando è finita la guerra del ’18 siamo andati avanti a lavorare, ma certo c’era miseria; arrivavano a casa i soldati, chi ferito, chi..Mi è arrivato solo un fratello….Mio padre gli ha girato un pò il cervello tra quella disgrazia e tra tutte le punture che gli avevano fatto da soldato…
Dopo è venuta un’ altra..si doveva organizzare l’occupazione delle fabbriche. Io ero sempre nella filatura a Tollegno, perché ero ancora da sposare. Ero del comitato di coordinamento delle commissioni interne alla Camera del lavoro; ci siamo organizzati bene e abbiamo tenuto le fabbriche occupate per più di quindici giorni. Avevamo le guardie rosse sul muretto..sul tetto … lì a Regio Parco..non c’erano case, c’era tutti prati, campi dove seminavano il grano. Io con diverse donne dovevo passare tutto in mezzo a quei campi lì. Si andava alla Grandi motori, alla Fiat, a prendere le armi e le munizioni per portarle alle guardie rosse nella nostra fabbrica…perché se non si rifornivano di roba potevano anche darci l’assalto. Perché dal ’20 cominciava già ad esserci qualche squadraccia fascista; non erano tanto in vista, però cominciavano già ad esserci….Ci eravamo fatte delle borse lunghe..e ce le legavamo sotto alle vesti..e si metteva le munizioni dentro.. si passava dove c’era le guardie regie..
Però dopo quindici giorni il sindacato socialista ha tradito un po’ e allora abbiamo dovuto lasciare le fabbriche. Prima ci hanno scaldati…E così abbiamo dovuto lasciare le fabbriche e sono entrati i padroni.
Dopo due giorni il padrone licenzia tutta la commissione interna e io sono stata licenziata.
Combinazione mi sono sposata nel ’20, una settimana dopo l’occupazione delle fabbriche. Mi sono sposata e sono rimasta senza lavoro. Mio marito, che era anche lui della Commissione interna delle Ferriere Fiat della barriera di Milano…è stato licenziato anche lui. Così abbiamo subito nove anni di disoccupazione tra me e mio marito…Ci siamo sposati lo stesso…tanto bambini non ce n’era.
..andavo a prendere delle calze per rimagliarle, rifinirle..Facevo lavoro a domicilio, però ci davano poco e non si poteva andare avanti.
Nel ’22 viene su il fascismo e io e mio marito abbiamo dovuto subire le conseguenze…Noi dalla scissione di Livorno nel 1921 dal partito socialista siamo passati al partito comunista. E quelli della squadraccia fascista della barriera di Milano lo sapevano….Fin che mio marito un giorno lo hanno aspettato e gli hanno dato una manganellata in testa e gliel’hanno spaccata la testa…..E prendono mio padre che veniva una sera a casa da lavorare e gli hanno dato due litri di olio e lo hanno buttato dentro una buca di calce…Mio padre gli è venuto male al cuore…
Io ero alla Casa del popolo alla barriera di Milano..ero del direttivo giovani e mio marito anche, e c’era anche Montagnana; veniva Negarville, veniva Longo Giuseppe, erano tutti dirigenti giovanili. E allora, ricordo, che una sera eravamo in riunione, arriva una squadraccia di fascisti e hanno dato fuoco.
Noi eravamo dentro e non si poteva più uscire, perché se si usciva c’erano lorro fuori che ci ammazzavano..poi non si poteva uscire perché sotto bruciava già. E allora siamo saliti all’ultimo piano nelle soffitte e siamo passati sul tetto dell’altra casa e siamo scappati.
Mi ricordo le “stragi di dicembre”…..Gennaro Gramsci..Arturo Gozzi..li hanno bastonati fuori, mentre andavano via…..Il corpo di Pietro Ferrero è stato rinvenuto tutto pieno di contusioni e con il cranio sfracellato..Alla mattina abbiamo saputo  tutto questo; allora abbiamo perfino fatto una fermata, solo di cinque minuti, perché non si poteva fare di più e cci andava di mezzo altri compagni…Il coro lo hanno messo in Corso Vittorio Emanuele a poche centinaia di etri dalla Camera del lavoro. Lo avevano preso, legato ad un camion e fatto girare in mezzo alla notte…Quasi tutte le vittime della strage di dicembre sono state sequestrate nelle loro case…
E poi è venuto che io nel ’32 ho fatto domanda e sono entrata alla Fiat…Sono entrata a lavorare in fonderia e poi ogni tanto mi mandavano a chiamare in ufficio e mi dicevano: Ma questa tessera quando la fa?...Ero alla Lingotto..Poi quando hanno fatto la Fiat Mirafiori nuova l’hanno portata a Mirafiori..Quando l’hanno inaugurata tutti i capisquadra, i capireparto erano in divisa nera, divisa da fascisti, anche tra le donne c’era una gran parte che aveva la divisa da donna fascista. Invece noi eravamo un bel gruppo di donne che non avevamo nessuna divisa perché eravamo già tutti uniti, tutti d’accordo. Mussolini è arrivato a inaugurare la Fiat Mirafiori e gli hanno fatto un incudine..col martello..Arriva Mussolini…gli hanno fatto il saluto e noi niente…I suoi si mettono a cantare Giovinezza e noi…”Vento portami via con te”….Mussolini inizia il suo discorso e dice:…..Ricordate operai il discorso fatto nel 1935..?- e il nostro gruppo tutti insieme:-NOOOOO!
Allora lui arrabbiato non è più andato avanti…
Dal ’42 al ’43 eravamo già in collegamento col partito, perché si cominciava ad organizzarsi nelle fabbriche; prima non si poteva….nelle fabbriche non si poteva perché era  troppa la reazione fascista. Avevamo i capiofficina e i capireparti che erano fascisti. Non si poteva muovere e fare propaganda. Però dal ’42…si iscriveva già i compagni al partito ..però si iscrivevano non con nome e cognome, ma con numeri. E allora lì abbiamo cominciato un’altra bella battaglia perché si doveva nascondere sempre tutto..E allora..abbiamo formato una cellula. Si cominciava ad organizzarci sfruttando il malumore che c’era per i cottimi individuali, per i tempi che erano bassi, per tutto. E allora lì noi avevamo formato un comitato di agitazione.
E ci trovavamo, quando avevamo qualche cosa da discutere dentro alla fabbrica, sotto nel rifugio; c’era sempre un compagno o una compagna che guardava che non venisse nessuno.
Già, in tutte le officine c’era il suo comitato di agitazione e avevamo il collegamento…
Nel ’42, siccome avevamo lo stipendio piccolo…abbiamo organizzato, noi donne specialmente, una manifestazione di tutte le officine.
Tutte donne e siamo andate davanti alla palazzina a reclamare che ci aumentassero lo stipendio e l’anticipo alla settimana, così non si poteva più andare avanti, e abbiamo gridato. I compagni, un pochi, sono venuti anche loro, dopo di noi.
I capiofficina dicevano: - ma siete matti? Andate là e c’è i fascisti..vi prendono la fotografia e poi dopo vi mandano via, restate senza lavoro – e tutte quelle paure.
E noi invece niente, noi siamo andate e abbiamo reclamato.


E là c’era Genero e Valletta e allora sono venuti e hanno detto: - Ma sì, state brave, vediamo di aggiustarvi, vediamo – e ad ogni modo ci hanno aumentato qualche cosa.
Però hanno già prenotati quelli che hanno parlato e io ero sempre in prima fila…
E poi si preparava lo sciopero del ’43: contro la guerra, per i prezzi, per i cottimi individuali, contro le dodici ore, perché mancava tutto, perché eravamo stufi e ne avevamo a basta.
Prima dello sciopero il capofficina mi manda a chiamare in ufficio e mi dice:-Ma come si spiega Fenoglio, che la sua produzione non va più avanti?
Io gli ho detto:- Ma cosa vuole, per chi lavoriamo? Lei deve capire non abbiamo più l’interesse a lavorare tanto ci viene i tedeschi e ci portano via tutto.



Lui stava un po’ zitto e poi un giorno mi dice: - Guardi che io vado avanti a fare delle righe rosse; quando ce n’è tante avete poi da pensare….Sempre prima dello sciopero del ’43, una volta sono venuti i tedeschi e guardavano le macchine..Dentro non c’erano ancora…Noi si diceva: - Questa gente qui se vengono loro in Italia, si portano via tutto.
Nella mia officina eravamo ventitrè in lista dei sospettati..E’ successo che si lavorava tutta la notte, si faceva il turno della notte, anche noi donne, e capitava che la mattina andando a casa, venivano prelevati e…alle Nuove. Ma prelevavano uno per uno. Quando sono arrivati i tedeschi quella lista nera era ancora in giro.
Noi avevamo avuto già un collegamento da diversi mesi per questo sciopero del ’43. La direzione dubitava qualche cosa. E allora in quella mattina alle dieci, si doveva avere una prova di quello che poteva essere la massa operaia unita.
Ma alle dieci la sirena non è suonata perché qualcheduno aveva già riportato alla direzione che noi si voleva fare questo sciopero, quando suonava la sirena.
E allora, vicino alle macchine, tutti ci guardiamo: - Bè, qui c’è qualcosa che non funziona.
Abbiamo detto: - Eh no, bisogna fare questo sciopero, ormai siamo decisi.
Allora con un cenno di testa, macchina per macchina, ci siamo fermati tutti. Ci siamo fermati alle dieci del ’43.
Siamo usciti dai reparti e siamo andati nel cortile davanti alla palazzina della Mirafiori per protestare.
Dalle finestre degli uffici c’era il professor Genero e Valletta con i poliziotti che prendevano le fotografie per individuare gli operai e per denunziare quelli che erano più in vista.
Dopo è andato giù il duce e allora dentro alla Fiat eravamo tutti sotto sopra perché i fascisti scappavano, non ce n’erano più; i capireparti e i capiofficina cominciavano ad avere un po’ paura perché lo sapevano tutti che loro erano neri e quello che avevano fatto. Per dirtene una siccome c’era la guerra e mancavano i viveri, la Fiat faceva la minestra e mandava in ogni reparto i bidoni per quelli che la prendevano e la prendevano tutti perché tutti ne avevano bisogno.
Quando si faceva  lo sciopero erano d’ accordo i capireparto e i capiofficina insieme con la direzione, di non darci la minestra. E la mandavano a quella cascina che aveva la Fiat, per andare a Mirafiori, dove aveva i maiali; la minestra ai maiali piuttosto che darcela a noi.
Però noi, dato che c’era questo comitato di agitazione, abbiamo sempre scritto tutto: della minestra, delle rappresaglie e che la mattina quando si entrava i cassetti dove c’era i ferri, che i ferri non erano suoi della Fiat erano nostri..tutte le mattine c’era sempre i lucchetti scassinati. Perché loro, con le spie che c’era dentro andavano a scassinare per vedere se c’era volantini, se c’era qualcosa di propaganda..

Sempre quel comitato di agitazione che andava avanti ci siamo organizzati e dopo l’8 settembre sono state formate le squadre, e allora io e la Donini e un gruppo di compagne abbiamo avuto il collegamento con le brigate della val di Susa.
Io e la Donini eravamo nella 12^ brigata di Tullio Robotti della val Susa, che aveva il collegamento come Sap; noi dovevamo prendere la roba e portarla  ai partigiani su a Susa quando si usciva dal lavoro……
L’ordine di occupare le fabbriche per l’insurrezione, è arrivato al 23. Prima c’era stato il 18 lo sciopero generale grosso.
La sera prima…il capofficina viene vicino alla mia macchina e mi dice: - Signora Fenoglio, guardi domani mattina quando esce, non vada a casa, perché se va a casa non viene più a lavorare; mi ascolti, ha visto i suoi compagni che non sono più tornati……
E ad ogni modo non siamo più andati il giorno dopo a fare la notte, ma siamo andati di giorno, noi del comitato; perché si sapeva già che si doveva restare in fabbrica….E allora verso le quattro e mezza arriva la staffetta, l’ordine di occupare le fabbriche chè c’era l’ insurrezione.
Allora noi, messo il fazzoletto rosso al collo con la stella, e i compagni anche, si va nell’ufficio del capofficina e del caporeparto…
Mirafiori è stata occupata; Valletta è andato via, non è più stato lì, e ai dirigenti, però, una parte, prima di andare via gli hanno dato una bella..eh sì….
Quando abbiamo occupato la fabbrica, non avevamo armi, non avevamo niente; avevamo una mitragliatrice rotta sui tetti..avevamo due o tre fucili che non funzionavano.
Allora i compagni sono usciti, sono andati fuori a prenderli dove c’erano i partigiani. Poi sono arrivati i partigiani e hanno portato le loro armi…..
Arrivano i tedeschi con i fascisti che volevano far saltare la centrale elettrica alla Mirafiori che era su, proprio vicino al sanatorio . E c’era tre che erano armati e che sparavano da matti….Mentre questi carri armati girano, questo giovane dice: - Guardate datemi solo una bottiglia con due bombe a mano e io li faccio saltare in aria tutti e due quei carri armati. Difatti…
Dopo tre giorni…allora a casa avevo una figlia malata. E’ morta nel ’46, è stata due anni ammalata perché era stata presa sotto i bombardamenti nel ’44…Aveva 22 anni…..

Ma, a proposito, del vuoto sui Gdd , la lacuna da colmare “..All’interno della resistenza, infatti, hanno assunto rilievo alcuni episodi che non sono forse i più importanti rispetto alla guerra guerreggiata, ma che hanno avuto un peculiare significato per il loro carattere di movimento e di azione organizzata condotta da donne in quanto tali, senza riscontro, credo, nel passato. Mi riferisco alle diverse manifestazioni dei Gdd e fra queste, esemplare a Torino, quella che avvenne al cimitero in occasione del funerale delle sorelle Vera e Libera Arduino, che appartenevano ai Gdd e che furono trucidate dai fascisti nella notte tra il 12 e il 13 marzo 1945.
Questa manifestazione per la data in cui avvenne, il 16 marzo 1945, per l’adesione che ottenne (raccogliere pubblicamente qualche centinaio di donne in pubblica protesta non era, allora, fatto indifferente, per le conseguenze che ne seguirono (un centinaio di arresti), per le finalità cui era destinata, ha assunto nel ricordo di molte particolare rilievo. Rappresentava infatti il risultato di un lungo e tenace lavoro condotto per tanti mesi, tendente a unificare la partecipazione delle donne.
E le donne vennero e con degli evidenti simboli comuni: mazzi di fiori, corone con “scritte”, “tutte con qualcosa di rosso”.
Espressione di un movimento femminile organizzato che pur muovendosi nel contesto generale, ha saputo esprimere anche un’ autonoma capacità di lotta…” (1)
E’ il caso di rendere onore alle sorelle Vera e Libera Arduino – Dal ricordo/commemorazione contenuto nel  “Rapporto dei Gruppi di difesa della donna”(2)
 “Barbara uccisione di due giovani dirigenti -  A Torino verso la fine di marzo il padre e due giovani ragazze erano prelevate da una squadra di fascisti, portate alla Pellerina e barbaramente uccise. Vera e Libera Arduino, due giovani di diciannove e ventun anni, lavoravano per l’organizzazione con tanta fede e volontà, riscuotendo le simpatie e l’ammirazione di tutte le donne con le quali erano in contatto. Una grande manifestazione di affetto verso le vittime e di esacrazione per l’atroce delitto ebbe luogo al cimitero. Una fiumana di popolo, più di duemila persone, si recarono con fiori e corone ad attendere le salme per dar loro l’estremo saluto….” (2)


  • Formazione rivoluzionaria delle donne 1^ parte:

ENGELS: "L'origine della famiglia, della proprieta' privata e dello stato"


  • Premessa

Scopo di questo studio è rafforzare la teoria, le basi storico materialistiche della condizione delle donne, come indispensabile arma di lotta della battaglia rivoluzionaria, teorica, ideologica, pratica, delle donne.Ma appunto perchè lo studio per noi è un arma di lotta esso ha lo scopo anche di criticare altre teorie o idealiste o parziali, che o vedono la lotta contro la condizione di doppio sfruttamento e oppressione delle donne principalmente e a partire dal campo delle idee, e quindi, in ultima analisi lasciano alle intellettuali borghesi il ruolo principale; o vedono l'albero e non la foresta di cui l'albero è parte e prodotto, l'effetto (il maschilismo) e non le cause (il sistema sociale che lo produce); o che vedono il genere e non la classe (come altre concezioni e politiche vedono la classe e nascondono e soffocano la condizione delle donne). Teorie che in ultima analisi portano ad una stessa conseguenza politica e pratica: il riformismo, che nel campo del movimento delle donne è ancora più criminale.Senza lo studio di questo importante testo di Engels (come di altri testi di Engels, Marx, primo tra tutti “Il Manifesto del partito comunista”), la questione femminile viene posta in genere in modo totalmente rovesciato: prima ci deve essere il pensiero e poi questo pensiero deve produrre una pratica. Il problema è che la stessa ideologia, le concezioni non provengono dal cielo o da fatti individuali o sono innate, ma sono legate ad un processo storico, a una condizione di classe.


Engels tratta in primis dell'”origine della famiglia”. Nel libro la questione centrale è la dimostrazione storico materialistico di come l'evoluzione della famiglia e della condizione della donna, siano andate di pari passo con la nascita e lo sviluppo della proprietà privata; e, di conseguenza, di come l’oppressione della donna e il suo ruolo subordinato nella famiglia rispetto all'uomo siano andate altrettanto di pari passo con l'”origine della proprietà privata” e della divisione del lavoro, in cui l'uomo è il proprietario e la donna è ad esso asservita.

Questo da un lato dimostra come l'oppressione della donna, la famiglia, come luogo centrale di questa oppressione, non nascano “dal cielo”, non sono una “maledizione” inevitabile, non hanno la loro origine nella contraddizione, biologica, di genere; dall'altro indica le condizioni materialistico dialettiche del loro superamento e fine.



Il periodo in cui c'è una divisione dei sessi, che implica l'oppressione della donna e il suo ruolo subordinato, tutto sommato è un periodo molto piccolo, tanto rispetto al periodo precedente quanto rispetto al periodo futuro. In questo senso non è una situazione immutabile ma transitoria.

L'analisi storico materialistica di Engels ne “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” dimostra che c'è stato tutto un lungo periodo in cui questa divisione dei sessi fondata sulla subordinazione della donna non c'era perchè non c'era una divisione del lavoro, la proprietà privata. C'è stato tutto un periodo, dallo stato selvaggio alle barbarie, in cui era affermato il diritto materno e veniva riconosciuto il ruolo centrale della donna, come determinante nel sistema sociale.

Quando appare la proprietà privata subentra il patriarcato. Per cui c'è un cambiamento, dal diritto materno si passa a quello paterno, perchè nasce la necessità di tramandare la proprietà individuale. E la prima divisione del lavoro è la divisione tra uomo e donna.



Engels quindi dimostra che non è la divisione sessuale origine della condizione di subordinazione della donna; ma che essa è conseguente alla divisione del lavoro.



Questo ha profonde conseguenze. Una tra tutte: L'oppressione della donna non è immutabile.



Nella prossima formazione rivoluzionaria delle donna – tra un mese – entreremo all'interno del testo di Engels.


  • Nuovo Lavoro su "donne e Resistenza" a cura del Mfpr - presentazione e introduzione 
Nel seminario di Palermo del 6- 7 giugno 2015 per il 20° anniversario del movimento femminista proletario rivoluzionario ci siamo rese conto di aver prodotto poco sulle donne nella Resistenza antifascista, considerazione che non poteva sfuggirci proprio nel 70° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.Pertanto, abbiamo deciso di colmare questa lacuna partendo da un lavoro di ricerca della pubblicistica disponibile “perché per la nostra lotta è essenziale, perché una parte delle cose che diciamo si sono già fatte. Quindi è una ricchezza e ce la dobbiamo riprendere tutta e riconsegnarla” (vedi gli atti del seminario di Palermo del 6-7 giugno 2015)
Iniziamo, quindi, a presentare un lavoro su donne e Resistenza, una sorta di work in progress. Certamente un lavoro  non ordinato, in questa prima fase, ma necessario per non ricominciare sempre da zero. Senza memoria non c’è futuro e questo, per le donne, vale doppiamente. Ci baseremo su raccolte di testimonianze orali, atti di convegni, memorialistica delle operaie, studentesse, casalinghe, intellettuali che hanno dato il loro contributo nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza partigiana, testi che, oggi, a 70 anni di distanza dalla Liberazione sono di fondamentale importanza per la ricchezza di elementi di conoscenza, la comprensione anche delle contraddizioni interne, la doppia, tripla  lotta che le donne hanno dovuto fare sia all’interno della famiglia e contro le convezioni sociali sia contro  la diffidenza nell’accettarle nella lotta partigiana. Del resto le concezioni oscurantiste e reazionarie contro le donne profuse a piene mani dal regime fascista avevano avuto tutto il tempo di attecchire e permeare profondamente la società.

In molti dei racconti orali si dipana un filo rosso da inizio secolo con le lotte contro la guerra, la miseria, i bassi salari, le condizioni di lavoro, insomma un forte conflitto di classe sia nelle campagne che nelle fabbriche, sfociato nelle occupazioni delle fabbriche- il biennio rosso-, con una successiva forte repressione con licenziamenti delle avanguardie e le “liste nere”, gli attacchi squadristi, la repressione fino a carcere, confino, messa fuori legge dei partiti, censura della stampa, il lavoro clandestino durante il fascismo con un grosso sforzo di propaganda. Ritroveremo le comuniste, le donne comunque che avevano riferimenti ideologici ed organizzativi prima del fascismo attive e instancabili nell’ attività clandestina e poi, appena uscite dal carcere o “liberate” dal confino o rientrate dall’estero, nell’organizzare la Resistenza. A tante di loro dobbiamo il lavoro teorico fatto negli anni successivi la Liberazione sul ruolo delle donne nella Resistenza.






Serve, quindi, inquadrare brevemente, per comprendere l’enorme contributo che le donne diedero alla lotta contro il fascismo, come il regime fascista abbia intrecciato la difesa degli interessi della borghesia con l’impianto ideologico dell’inferiorità delle donne, la centralità della famiglia e il ruolo, in essa delle donne, di mere riproduttrici della razza italica (si veda anche il dossier Donne fascismo Resistenza a cura del mfpr). Le donne della Resistenza portano un forte vento di ribellione contro l’odiosa oppressione subita durante il fascismo e istanze di un mondo migliore, contro le discriminazioni, vita misera dal punto di vista economico e sociale, negazione di accesso alla cultura, orizzonti angusti in cui sprecare le proprie vite.

Naturalmente, il fascismo organizzò anche il consenso femminile. Inizialmente “attrae” il femminismo democratico con l’ accoglimento delle istanze del diritto di voto alle donne e del divorzio: con le leggi speciali successive viene definitivamente smentito; sarà soprattutto con l’ Unione delle massaie rurali, prima, e della Sezione Operaie e Lavoratrici a Domicilio poi, che il regime “irreggimenta” le grandi masse femminili, ma, soprattutto, sarà l’opera del femminismo cattolico con la mistica della “missione materna” a dare al fascismo  un pieno sostegno assumendo un ruolo attivo di diffusione degli “ideali fascisti”. “L’ organizzazione”, l’indottrinamento dei giovani, invece, avviene attraverso la scuola.



Queste brevi note basterebbero già da sole a far comprendere la necessità, oggi, di riprendere gli insegnamenti che ci vengono dalla Resistenza: gli attacchi ai diritti al lavoro e sul lavoro non hanno precedenti; gli attacchi al diritto d’aborto non si sono mai fermati; la centralità della famiglia viene tutti i giorni evocata e il suo ruolo di ammortizzatore sociale è un fatto materiale, “normale”, ancora una volta, soprattutto in tempi di crisi.

Nel primo dopoguerra, al ritorno dei soldati dal fronte, si scatena la prima “guerra” contro le operaie, lavoratrici che avevano sostituito gli uomini nelle fabbriche, nelle campagne, in diversi comparti. La disoccupazione, anche per effetto della crisi, oltre che per il ritorno dei soldati dal fronte si cerca di “risolverla” prima con il dimezzamento del salario delle operaie che, in questo modo venivano spinte a lasciare il lavoro agli uomini poi con le famose leggi discriminatorie verso il lavoro delle donne, ma, soprattutto, con la centralità della famiglia e la divisione dei ruoli in essa. Non è un caso che, durante il regime fascista, si hanno scioperi nelle fabbriche tessili, delle tabacchine e delle mondariso. Ricordiamo, pertanto, l’ esclusione delle donne dall’insegnamento delle lettere e della filosofia nei licei, perché non idonee alla formazione ideologica della nuova gioventù littoria, a cui farà seguito l’esclusione delle donne dal ruolo di preside e direttore delle scuole; l’aumento delle tasse universitarie per le donne che contribuirà ad aumentare il divario nell’ accesso all’ istruzione; il Codice Rocco che istituzionalizza l’inferiorità della donna e il suo ruolo subordinato nella famiglia, introducendo la distinzione tra adulterio e concubinato con cui le donne che tradivano venivano condannate a pene molto più severe dell’uomo; ma, soprattutto nell’ambito della politica demografica, l’aborto viene considerato un crimine contro lo Stato. Un insieme di eventi contribuiscono a creare malcontento, a incrinare il consenso al fascismo.

Le leggi razziali, la partecipazione alla guerra di Spagna prima e alla seconda guerra mondiale poi con i soldati morti, ma anche i bombardamenti delle città con morti, fame, mancanza di legna e carbone-tutte le risorse devono essere canalizzate al sostegno dello “sforzo bellico”- mancanza di case…sempre più il fascismo viene riconosciuto come responsabile del disastro verso cui sempre più rapidamente stava precipitando un intero paese.

Ma sono soprattutto gli scioperi del marzo 1943, le proteste di gruppi di donne sempre più numerosi contro la penuria di viveri danno visibilità, diremmo oggi, alla volontà di farla finita col fascismo. Il 10 luglio 1943 gli americani sbarcano in Sicilia e in breve tempo la conquistano. Il 16 luglio il re chiama Badoglio e gli prospetta la possibilità di sostituire Mussolini. Il 24 luglio viene presentato, durante la riunione del Gran Consiglio l’ordine del giorno per chiedere le dimissioni di Mussolini. Il 25 luglio il governo viene affidato a Badoglio, Mussolini arrestato. Le manifestazioni di gioia popolare sono immediate con assalti alle case del fascio. I fascisti cercano di rendersi invisibili. Cortei, manifestazioni per chiedere la liberazione immediata dei detenuti politici. In tutte c’è una grande partecipazione delle donne. Già il 27 luglio il generale Roatta emana una circolare contro queste manifestazioni e si hanno arresti di manifestanti, in alcuni casi la forza pubblica spara contro i dimostranti.

Partiamo dal lavoro di Bianca Guidetti Serra e la sua preziosissima raccolta di testimonianze orali di partigiane, tutte proletarie e che hanno vissuto ed operato in Piemonte. “Nei libri di Storia della Resistenza, e sono ormai molti, si legge che nel dicembre del 1943 si costituirono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà. Non si dice però che cosa fossero, che cosa facessero, quali finalità perseguissero…” (1)









Già questa considerazione basta a spiegare, da un lato, il fiorire, in particolare, intorno agli anni ’70 di lavori con al centro la partecipazione delle donne alla Resistenza, l’urgenza e la necessità di salvaguardare la memoria storica, dall’ altro dimostra che le donne devono lottare doppiamente, sempre, per non essere ricacciate indietro, marginalizzate, sminuite nel loro contributo e ruolo effettivo; parte della necessaria lotta contro la sottovalutazione delle donne, anche nel contesto di una guerra di popolo, come fu la Resistenza. L’aspetto che accomuna tutte le testimonianze, anche di dirigenti di alto livello, che generosamente, da subito hanno scritto pagine importantissime ed impareggiabili non solo sulla loro diretta esperienza e contributo alla lotta, è il contestualizzare il loro racconto riportando anche la loro vita vissuta che non è separata dall’attività ora sindacale ora più squisitamente politica

“..Hanno raccontato queste cose per la prima volta, almeno ai fini di una pubblicazione e hanno accettato di farlo perché convinte che la loro esperienza poteva servire ad altri, ai giovani soprattutto..”(1)

“La scelta antifascista, infatti, nata negli anni remoti per le più anziane, nel 1943-1945 per le più giovani, aveva trovato ragione d’impegno prima della “resistenza”, durante e, per quasi tutte, anche dopo. La militanza nei Gdd o in altre organizzazioni appariva insomma il naturale e necessario anello di un’unica catena rappresentante la tenacia e la coerenza di una scelta di campo..”(1)



Guidetti Serra raccoglie le testimonianze di operaie, comuniste, socialiste e, in un caso, di una donna anarchica, tutte di origine proletaria della Torino industriale; un filo rosso si dipana dalle testimonianze, nell’intreccio tra storia personale ed eventi storici di cui sono state parte attiva, delle più anziane che, ancora giovanissime, partecipano alle lotte contro la guerra, la miseria, della 1^ Guerra mondiale, alle occupazioni delle fabbriche, molte subiscono la repressione del regime fascista con licenziamenti, carcere, esilio, confino, ma anche gli assalti, le aggressioni delle squadre fasciste,  in condizioni durissime continuano con la costruzione della rete clandestina in primis del PCI clandestino, la diffusione della stampa che avrà, negli anni bui del fascismo prima e del nazifascismo poi, un’ importanza straordinaria.. le stesse fabbriche degli scioperi del ’43 e dello sciopero insurrezionale del 18 aprile del ’45. Testimonianze “che tengono a dare prova della non passiva accettazione delle donne, di certe donne, dei fatti della storia, come singole e come collettività..” (1)



Ma anche un racconto vivo della vita delle proletarie: tutte smettono giovanissime di andare a scuola per occuparsi dei fratelli più piccoli e/o per andare a lavorare troppo precocemente. “..Destino di donne che da un lato inibisce loro di formarsi culturalmente, dall’altro le costringe però a contribuire al sostentamento della famiglia. Ma neppure la relativa autonomia economica le rende più libere. Il condizionamento sociale le costringe all’accettazione di regole di costume mutuate o imitate, tra l’altro, dalla classe di cui sono subalterne… Destino di donne che si perpetua nell’età matura. A “casa” dal lavoro con destinazione “casalinga”, resteranno molte, dopo il matrimonio e, in un certo senso, le più fortunate. Il numero delle ore lavorate infatti, cumulato a quelle necessarie per raggiungere il posto di lavoro, la pesantezza del medesimo, la totale mancanza di servizi di sostegno erano tali da rendere angoscioso il contemporaneo espletamento dei due ruoli…….quale era la scelta alternativa al lavoro di fabbrica? Quello artigianale o il lavoro cosidetto terziario, talvolta quello a domicilio”(1)



(1) Bianca Guidetti Serra, Compagne (Einaudi), La Resistenza italiana spiegata ai ragazzi (NdA press)

Effetti immediati dell’industria meccanica sull’operaio… donne e bambini, famiglia, contratti formali, atrofia morale, desolazione intellettuale…
In questo capitolo, “Prima di vedere da vicino come a questo organismo obiettivo” e cioè al “sistema organizzato delle macchine nella fabbrica”, “venga incorporato materiale umano, esaminiamo alcuni effetti generali coi quali quella rivoluzione reagisce sull’operaio stesso.”
Ricordiamoci sempre che Marx analizza fin nei particolari l’essenza del Capitale, di questo sistema sociale, e l’essenza è ancora questa e questa sarà finché vive il sistema capitalistico. Come si può ben comprendere quelle che sono cambiate sono le dimensioni e le forme del fenomeno… ma gli “Effetti immediati” sono sempre lì.

Torino, 1917. Operaie nello stabilimento FIAT di via Cigna

3. EFFETTI IMMEDIATI DELL’INDUSTRIA MECCANICA SULL’OPERAIO

Uno degli effetti è l’”Appropriazione di forze-lavoro addizionali da parte del capitale. Lavoro delle donne e dei fanciulli.
“In quanto le macchine permettono di fare a meno della forza muscolare, esse diventano il mezzo per adoperare operai senza forza muscolare o di sviluppo fisico immaturo, ma di membra più flessibili.” Quindi… un’affermazione molto importante: “Quindi lavoro delle donne e dei fanciulli è stata la prima parola dell’uso capitalistico delle macchine!”

Con questa affermazione cadono i luoghi comuni che pretendono in maniera interessata che le donne siano entrate nel mondo del lavoro “tardi” - a parte il fatto che le donne hanno sempre lavorato nelle forme in cui si sono sviluppate tutte le società - per esempio quando si mette l’accento sulle cause scatenate dalle guerre mondiali… per non parlare del lavoro dei fanciulli le cui statistiche odierne ci danno ancora una visione orribile in cui sono costretti a “produrre”…


“Questo potente surrogato del lavoro e degli operai si è così trasformato subito in un mezzo per aumentare il numero degli operai salariati irreggimentando sotto l’imperio immediato del capitale tutti i membri della famiglia operaia, senza differenza di sesso e di età. Il lavoro coatto a vantaggio del capitalista ha usurpato non solo il posto dei giuochi fanciulleschi, ma anche quello del libero lavoro nella cerchia domestica, entro limiti morali, a vantaggio della famiglia stessa.”

Come abbiamo già visto, dice Marx: “Il valore della forza-lavoro era determinato dal tempo di lavoro necessario non soltanto per mantenere l’operaio adulto individuale, ma anche da quello necessario per il mantenimento della famiglia dell’operaio. Le macchine, gettando sul mercato del lavoro tutti i membri della famiglia operaia, distribuiscono su tutta la famiglia il valore della forza-lavoro dell’uomo, e quindi svalorizzano la forza- lavoro di quest’ultimo. L’acquisto della famiglia frazionata p. es. in quattro forze-lavoro costa forse più di quanto costasse prima l’acquisto della forza-lavoro del capofamiglia, ma in cambio si hanno ora quattro giornate lavorative invece di una, e il loro prezzo diminuisce in proporzione dell’eccedenza del pluslavoro dei quattro sul pluslavoro dell’uno. Ora, affinché una sola famiglia possa vivere, quattro persone devono fornire al capitale non solo lavoro, ma pluslavoro.” 
È così che “le macchine allargano fin dal principio anche il grado di sfruttamento, assieme al materiale umano da sfruttamento che è il più proprio campo di sfruttamento del capitale.”

E ora tutta la famiglia è “sotto contratto”. E su questo Marx introduce un altro argomento forte dell’effetto della grande industria anche sul “contratto” che si stipula tra padrone e operaio… 

“Le macchine rivoluzionano dalle fondamenta la mediazione formale del rapporto capitalistico, cioè il contratto fra operaio e capitalista.” Ricordiamo dai primi capitoli che “Finché si rimase sul fondamento dello scambio di merci, il primo presupposto era che il capitalista e l’operaio stessero di fronte l’uno all’altro come persone libere, come possessori di merci, indipendenti, l’uno possessore di denaro e di mezzi di produzione, l’altro possessore di forza-lavoro. Ma ora il capitale acquista dei minorenni o dei semimaggiorenni. Prima l’operaio vendeva la propria forza-lavoro della quale disponeva come persona libera formalmente.” (Ricordiamolo ancora una volta: formalmente! Perché ancora oggi c’è chi fa finta di credere che l’operaio sia libero). 

Ora vende moglie e figli. Diventa mercante di schiavi.” Marx continua: “La richiesta di lavoro infantile rassomiglia spesso anche nella forma alla richiesta di schiavi negri, come si era avvezzi a leggerla nelle inserzioni dei giornali americani. Un ispettore di fabbrica inglese racconta per esempio: «La mia attenzione fu richiamata su un annuncio del giornale locale d’una delle più importanti città industriali del mio distretto; ed eccone la trascrizione: Abbisognasi di dodici-venti ragazzi, non più giovani di quel che può passare per tredici anni. Salario, quattro scellini alla settimana. Rivolgersi ecc..”». La frase «di quel che può passare per tredici anni» si riferisce al fatto che, secondo il Factory Act, [Legge sulle fabbriche] fanciulli al di sotto dei tredici anni potevano lavorare soltanto sei ore. [E questa era una conquista! - ndr]. Un medico ufficialmente qualificato (certifying surgeon) deve attestare l’età. Dunque il fabbricante pretende dei ragazzi che abbiano l’aspetto di esser già tredicenni. Quella diminuzione talvolta saltuaria del numero dei fanciulli al di sotto dei tredici anni impiegati dai fabbricanti, che sorprende nelle statistiche inglesi degli ultimi venti anni, è stata in gran parte, a detta degli stessi ispettori di fabbrica, opera di certifying surgeons i quali spostavano l’età dei fanciulli in conformità della brama di sfruttamento dei capitalisti e del bisogno di sordido traffico dei genitori.”
Oggi i capitalisti, le multinazionali, questo continuano a farlo nei paesi del Terzo Mondo, ma non solo, nascondendo le loro responsabilità dietro i fabbricanti locali.

Nel capitalismo come si sa è tutto un gran mercato: “Nel famigerato distretto londinese di Bethnal Green si tiene ogni lunedì e martedì mattina pubblico mercato dove i fanciulli di ambo i sessi, dai nove anni in su, si dànno in affitto alle manifatture londinesi di seta. «Le condizioni abituali sono uno scellino e otto pence alla settimana (che appartengono ai genitori), e due pence per me, oltre il tè». I contratti valgono solo per una settimana. Le scene e il linguaggio, mentre si svolge questo mercato, sono veramente rivoltanti. In Inghilterra accade sempre ancora che delle donne prendano «dei ragazzi dalla workhouse (“case di lavoro” dove si rinchiudevano poveri, soprattutto ragazzi,) e li affittino poi al primo acquirente che capita per due scellini e sei pence alla settimana». Nonostante la legislazione, [nonostante la legislazione!!! Quante volte da allora dobbiamo ripetere ancora questa frase! - ndr] ci sono ancora per lo meno duemila ragazzi in Gran Bretagna che sono venduti dai propri genitori come macchine viventi per spazzare i camini (benché esistano macchine per sostituirli). La rivoluzione operata dalle macchine nel rapporto giuridico fra compratore e venditore della forza-lavoro, tale che l’intera transazione perde perfino la parvenza di un contratto fra persone libere, offrì in seguito al parlamento inglese il pretesto giuridico per l’intervento dello Stato nelle fabbriche.” Lo Stato ha bisogno dei “pretesti”, degli “scandali”, degli “orrori” per intervenire con delle leggi!

“Tutte le volte che la legge sulle fabbriche limita a sei ore il lavoro dei fanciulli in branche d’industria fino ad allora lasciate tranquille tornano a risuonare le lamentose grida dei fabbricanti: una parte dei genitori sottrae ora i fanciulli alla industria disciplinata per legge e li vende a quelle dove domina ancora la «libertà del lavoro», ossia dove fanciulli al di sotto dei tredici anni sono costretti a lavorare come adulti e dove quindi si possono anche vendere a prezzo più caro. Ma poiché il capitale è per natura un leveller (Livellatore. Allusione al movimento puritano integrale con tendenze di comunismo agrario nella rivoluzione di Cromwell), cioè pretende come proprio innato diritto dell’uomo l’eguaglianza delle condizioni di sfruttamento del lavoro in tutte le sfere della produzione, la limitazione legale del lavoro infantile in una branca dell’industria diventa causa della stessa limitazione nell’altra.”

Uno dei sicuri effetti che saltano agli occhi è quello del deterioramento fisico dei lavoratori: “Abbiamo già accennato in precedenza al deterioramento fisico dei fanciulli e degli adolescenti, come pure delle operaie, che le macchine assoggettano allo sfruttamento del capitale, prima direttamente nelle fabbriche, che sulla base delle macchine spuntano rapidamente, e poi indirettamente in tutte le altre branche dell’industria. Qui ci fermeremo quindi su un punto solo: la enorme mortalità tra i figli degli operai nei loro primi anni di vita.”
E la causa, dice Marx, è proprio il modo in cui il capitale fa lavorare le donne nell’industria, che assorbendole e abbrutendole, trasforma in donne impossibilitate a prendersi cura dei propri bambini, sia per le donne delle città che per le donne di campagna, laddove arriva il “il sistema industriale” che rivoluziona il modo di coltivare. 

«Donne sposate, che lavorano in bande assieme ad adolescenti e ragazze, vengono messe a disposizione del fittavolo, in cambio di una certa somma, da un uomo che è chiamato il “capobanda“ [ma guarda quanto è vecchio il nostro “caporale”! - ndr] che affitta la banda in blocco. Queste bande vanno spesso lontano dai loro villaggi per molte miglia, e si possono incontrare la mattina e la sera sulle strade maestre, le donne vestite di corte sottovesti e sottane e stivali corrispondenti, talvolta in calzoni, molto robuste e sane d’aspetto, ma rovinate dalla scostumatezza abituale, e senza preoccupazioni per le conseguenze disastrose che la loro preferenza per questa vita attiva e indipendente porta ai loro rampolli che deperiscono a casa». [Questo è il commento “scandalizzato” di un ispettore del lavoro che non condivide la “preferenza per questa vita attiva e indipendente”!] 

L’atrofia morale che deriva dallo sfruttamento capitalistico del lavoro delle donne e dei fanciulli è stata esposta in maniera così esauriente da F. Engels nella sua Situazione della classe operaia in Inghilterra e da altri scrittori che qui basta farne menzione. Ma la desolazione intellettuale, prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi in semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore, da tenersi ben distinta da quella ignoranza naturale e spontanea che tiene a maggese senza corromperne la capacità di sviluppo, cioè la stessa fecondità naturale, ha finito per costringere perfino il parlamento inglese a fare dell’istruzione elementare condizione obbligatoria per legge del consumo «produttivo» di fanciulli al di sotto dei quattordici anni di età, per tutte le industrie soggette alla legge sulle fabbriche.”

Ma come ha ben spiegato Marx la “legge” non basta: “Lo spirito della produzione capitalistica traluce splendidamente dalla sciatta formulazione delle cosiddette clausole sull’istruzione delle leggi sulle fabbriche, dalla mancanza di un meccanismo amministrativo, la quale rende a sua volta in gran parte illusoria questa istruzione obbligatoria, dalla opposizione dei fabbricanti perfino contro quella legge sull’istruzione, e dai loro trucchi e sotterfugi pratici per eluderla. «Il biasimo va esclusivamente alla legislazione perché ha emanato una legge illusoria (delusive law), la quale, sotto l’apparenza di curare l’educazione dei fanciulli, non contiene neppure una disposizione singola per garantire il raggiungimento di quello scopo che professa di avere. Non dispone nient’altro che questo: i fanciulli debbono venir chiusi per un determinato numero di ore (tre ore) al giorno fra le quattro pareti di un luogo chiamato scuola, e colui che impiega il fanciullo deve ricevere ogni settimana un certificato attestante questo fatto da una persona che come maestro o maestra sottoscrive con il proprio nome». 
Prima che fosse emanato l’Atto sulle fabbriche emendato del 1844, non erano rari certificati di frequenza scolastica firmati con una croce da maestri o maestre che non sapevano essi stessi scrivere. «Nella visita che feci a una di queste scuole che rilasciavano certificati, rimasi così colpito dalla ignoranza del maestro che gli dissi: Scusi, signore, Lei sa leggere? La risposta fu: Aye, summat (Sì, un poco. La risposta del maestro è in dialetto). A giustificazione, aggiunse: in ogni caso sono più avanti dei miei scolari». Durante la preparazione dell’Act del 1844, gli ispettori di fabbrica denunciarono lo stato vergognoso dei luoghi chiamati scuole, i cui certificati essi in virtù della legge dovevano accettare come validi … Si aggiunga lo scarso mobilio scolastico, la mancanza di libri e di altro materiale didattico e l’effetto deprimente d’una atmosfera chiusa e nauseabonda sui poveri ragazzi stessi. Sono stato in molte di tali scuole, dove ho visto file intere di fanciulli che non facevano assolutamente nulla: e ciò viene attestato come frequenza scolastica, e questi bambini figurano come educati (educated) nella statistica ufficiale».” Si rimane senza parole, ma ancora non basta: “In Scozia i fabbricanti cercano di escludere in tutti i modi i ragazzi soggetti all’obbligo scolastico. «Questo basta per dimostrare il grande sfavore dei fabbricanti nei confronti delle clausole sull’istruzione». Questo si vede in maniera orribile e grottesca nelle stamperie di cotonine e simili, che sono regolate da una propria legge sulle fabbriche. Secondo le disposizioni della legge, «ogni fanciullo, prima di essere impiegato in una di tali stamperie, deve aver frequentato la scuola per almeno trenta giorni e per non meno di centocinquanta ore durante i sei mesi che precedono immediatamente il primo giorno del suo impiego…"

Tutto questo implicava un altro effetto immediato: “con l’aggiunta di una quantità preponderante di fanciulli e di donne al personale di lavoro combinato, le macchine spezzano la resistenza che l’operaio maschio ancora opponeva al dispotismo del capitale nella manifattura.”
LAVORATRICI DOMANDANO - POI UN PO' DI CAPITALE A FUMETTO  

Una lavoratrice di Milano  - Rileggendo la prima parte della Formazione Lavoro quella su "lavoro salariato e capitale" di Marx. 
Qui si scrive: "..Ora l'operaio ha venduto la sua forza-lavoro al capitalista... Ma come viene determinato il salario, cioè il prezzo della forza-lavoro? il salario è il prezzo di una merce determinata, del lavoro. Il salario è dunque determinato dalle stesse leggi che determinano il prezzo di qualsiasi merce"... Ma quali sono i costi di produzione della forza-lavoro? Sono i costi necessari per conservare l'operaio come operaio e per formarlo come operaio..." 
In merito ai costi necessari per formare l'operaio: l'alternanza scuola-lavoro (potremmo dire l'apprendistato in forma mascherata) non rappresenta, oltre al ruolo di "addomesticamento" dei giovani, una sorta di scaricare i costi della formazione, che dovrebbero essere dei capitalisti, sulla società?

Effettivamente è così. Il capitalista una parte dei costi per la riproduzione della forza lavoro li scarica sullo Stato, essendo questo al servizio del capitale. 

Su questo riportiamo un breve estratto da Libro di Engels "Antiduhring" dal VI capitolo su "lavoro semplice e lavoro composto:
"...Nella società dei produttori privati, i privati o le loro famiglie fanno fronte alle spese per l'istruzione dell'operaio qualificato; spetta allora anzitutto ai privati il più alto prezzo della forza-lavoro qualificata: lo schiavo abile è comprato a più caro prezzo, il salariato abile ha un salario più alto. Nella società organizzata socialisticamente queste spese sono affrontate dalla società, ad essa appartengono perciò anche i frutti, i valori maggiori che vengono prodotti dal lavoro composto...". 

Una lavoratrice precaria di Taranto - Marx dice che l'operaio deve essere assunto a tempo determinato, poichè se viene assunto a tempo indeterminato diventa schiavo per tutta la vita. La domanda che mi pongo è: quale differenza c'è tra le due tipologie di contratto, in rapporto alla schiavitù? E come si può rapportare questa analisi di Marx con il concetto odierno applicato al mondo del lavoro, dove lo sfruttamento passa direttamente da un lavoro determinato, quindi precario mentre l'operaio o il proletariato in genere è alla ricerca spasmodica di un lavoro indeterminato. Quindi vorrei capire in ambedue i casi non vedo di quale libertà si stà parlando.

Di questo concetto di "libertà" dell'operaio ne abbiamo già parlato. Ci torniamo con questa domanda. 
Marx quando parla che il proprietario di denaro deve trovare sul mercato il lavoratore libero, intende "libero" nel senso che disponga della propria forza-lavoro e che sia sprovvisto di mezzi di sussistenza e di produzione, dalla cui mancanza è obbligato a cedere l'unica merce di cui dispone la sua forza-lavoro; quindi un lavoratore "libero" venditore della sua forza-lavoro. 
Lo schiavo non era libero di vendere la sua forza lavoro, perchè non ne era proprietario, dato che di tutta la sua esistenza, della sua vita come della sua morte, era proprietario il suo padrone. 
Quindi la prima questione non è tra "tempo determinato" e "tempo indeterminato", ma tra un uomo che non è libero di vendere le sue braccia - perchè, ripetiamo, non sono "sue" ma del suo padrone, che, quindi, non è affatto tenuto a pagare allo schiavo un salario perchè è come se pagasse qualcosa che è già suo; è un uomo che l'unica cosa che ha da vendere sono le sue "braccia" - la forza-lavoro, che il capitalista deve pagare e paga. 
Certo che nel periodo, un giorno, un mese, un anno, in cui l'operaio viene messo a lavorare per il capitalista è sfruttato, quindi si può dire non è "libero". Ma, tornando al discorso "tempo determinato e tempo indeterminato", se l'operaio si vendesse per sempre, torneremmo paradossalmente nella condizione di "schiavitù"

Per arrivare al concetto odierno: in entrambi i contratti di lavoro l'operaio è sfruttato; non è che nel lavoro a tempo determinato l'operaio non è libero, mentre in quello a tempo indeterminato sarebbe libero. La differenza, per cui l'operaio è alla ricerca di un lavoro indeterminato, sta fondamentalmente (a parte alcuni maggiori diritti contrattuali) nella garanzia per l'operaio di tornare il giorno, il mese dopo a lavorare.

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