29/11/16

Grande manifestazione Delle donne/ragazze del 26 - nostra speranza...

MARTEDÌ 29 NOVEMBRE 2016- GRANDE MANIFESTAZIONE DELLE DONNE/RAGAZZE DEL 26 - LA NOSTRA SPERANZA... E' CHE LA QUANTITA' SI TRASFORMI IN QUALITA'/ROTTURA

E' stata sicuramente una grande manifestazione quella di sabato 26 nov. a Roma contro la violenza sessuale. 200mila è un dato realistico, ed è stata veramente nazionale, erano presenti grandissimi o piccoli gruppi di donne, come donne singole venute da tutte le Regioni e da tutte le province, città, anche piccole.
Non dagli anni '70 come scrive erroneamente "Il manifesto", ma dalle grandi manifestazioni a Milano, Roma del 2006 e 2007, non c'era stata una mobilitazione così ampia.
Vi erano, insieme a donne non giovani o anziane, tante ragazze, giovani, vi erano in migliaia le universitarie della Sapienza di Roma, ecc.
Un corteo che è iniziato a muoversi quando sono arrivate tutte, tutti i pulmann - fermati ancora una volta (dopo la manifestazione nazionale dei migranti) dalla polizia/carabinieri, su una nuova direttiva del Ministero degli Interni che bisogna subito contrastare, non accettare (una direttiva che si aggiunge al divieto di cortei a Roma dal lunedì al venerdì, vergognosamente accettata dai sindacati), perchè se non contrastata diventerà un modo per impedire le manifestazioni, come vi sarà una terza, una quarta direttiva repressiva...
E' stato un corteo che ha occupato come un fiume le strade centrali di Roma.

Noi speriamo che tutta questa quantità - come succede nelle leggi delle natura - si trasformi in qualità. Sia in termini di continuità, estensione di una mobilitazione che tocchi tutti i nodi della violenza reazionaria contro le donne, sia soprattutto in termini di elevamento della lotta, di agirla contro tutti i nemici delle donne, non solo gli uomini che odiano le donne ma i padroni, governo Renzi, Stato che odiano sistematicamente le donne e hanno pure il potere di mettere in pratica questo odio che diventa attacco quotidiano.
Ma questo sarà possibile se la quantità produca anche al suo interno delle "rotture".
Perchè la manifestazione è stata bella e grande, ma la sua organizzazione/direzione nei contenuti, negli scopi di essa è stata, dall'inizio fino alla fine, al di là delle affermazioni, nelle mani dei centri antiviolenza, di associazioni paraistituzionali, di aree che fino a poco fa gravavano nell'area dell'attuale partito di governo (vedi Udi).

Queste realtà hanno reso una potenzialità di lotta di massa delle donne che poteva far preoccupare i veri nemici delle donne, una manifestazione che non poteva dare fastidio e non ha dato fastidio - "Con i complimenti - scrive Il Manifesto - del questore per l'organizzazione".
Lo stesso giornale il giorno dopo si sorprende che il premier Renzi non ha detto "neanche una parola. Neanche in onore della delega alle pari opportunità che si è tenuta fino allo scorso giugno". E perchè avrebbe dovuto dirla? Quella manifestazione, per lui, per il governo, non faceva paura, non era "contro". Era veramente un'impresa trovare un cartello, uno striscione
contro Renzi, nonostante con il suo Jobs act abbia reso permanente la precarietà, di cui le donne sono state e continuano ad essere le prime colpite, e stia permettendo ai padroni di licenziare tantissime lavoratrici, o nonostante questo governo, per i suoi interessi imperialisti, stia uccidendo ogni settimana centinaia di nostre sorelle migranti e bambini, ecc. ecc., nonostante processi e incarceri le donne che lottano (dalla No Tav a L'Aquila); come erano rari i cartelli contro le ministre che tagliano il diritto allo studio alle ragazze, tagliano o peggiorano asili, servizi sociali, che chiudono interi reparti ospedalieri, anche di maternità - e poi la Lorenzin, fa le campagne per la fertilità aprendo la strada a un nuovo attacco al diritto d'aborto; come era impossibile vedere cartelli contro i padroni che tolgono pure i minuti di pausa alle donne che devono correre tra lavoro e casa - ma qui chi li avrebbe potuti portare fondamentalmente non era presente in questa manifestazione...
E, allora, perchè meravigliarsi che Renzi, la stampa dei padroni non abbia parlato della manifestazione di sabato?
Il corteo non esprimeva, non poteva esprimere tutta la rabbia, il dolore, la ribellione delle donne che non ce la fanno più, non esprimeva la necessità di una guerra di classe e di genere, contro la guerra di bassa intensità e continua che subiamo.
Esprimeva una "marea", come è stata chiamata, ma tranquilla.
Da cui vengono "richieste" al governo, "richiami al suo dovere" per avere "più soldi, più servizi sociali, più educazione di genere, leggi migliori"", ma non certo viene un messaggio di lotta che faccia paura e preoccupi. E nei fatti, al massimo le richieste a cui questo governo moderno fascista potrà rispondere, sono soltanto una elemosina di fondi ai centri antiviolenza. Un governo che col suo Ministro degli Interni proprio nella giornata mondiale contro al violenza sulle donne, in un paese dove sono state uccise (per quelle che si sanno) 116 donne finora e tante ferite nel corpo e nell'anima, tante stuprate, ha sciorinato, a suo merito, presentando il calendario della polizia, cifre che dimostrerebbero una riduzione delle violenze sessuali.

Infine, due, ma veramente due, parole sul fatto della presenza degli uomini - tanto sottolineata, invece. Un bel cartello di una ragazza diceva: "In questo giorno tanti uomini sono pubblicamente solidali poi arriva domani, chiudono le porte e ti alzano le mani".
La questione non è uomini sì o uomini no, ma la necessità della lotta autonoma, separata delle donne, una lotta dura, che ponga chiaro la priorità del contro, non pacifica, accogliente (gli uomini hanno potuto partecipare e prendere la parola anche il giorno dopo, ai Tavoli). Questa lotta può e deve porre anche tra gli uomini, anche tra i proletari, rotture reali che continuino il "giorno dopo", non adesioni o sostegno, comprensione, o "battiture sul petto" che restano molto ma molto in superficie senza una rivoluzione.
Lenin - come abbiamo ricordato ieri - scriveva: "Pochissimi uomini - anche tra i proletari - si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano al "lavoro della donna". Ma no, ciò è contrario ai "diritti e alla dignità dell'uomo"; essi vogliono pace e comodità..."; "Gratta un comunista (un compagno, diremmo oggi) e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".

Questa manifestazione non ha posto all'OdG la necessaria guerra come classe e come donne; ma è stata sì di classe, cioè espressione di una classe, quella della piccola e media borghesia, che vuole, appunto, miglioramenti, non rovesciare questo sistema capitalista che, come 100 anni fa, sempre e di più, si basa sulla proprietà privata, sulla famiglia, sulla conservazione dell'ordine statale esistente, e per questo non potrà che attaccare le condizioni di vita, di lavoro, opprimere sempre più le donne. Certo anche il 26 tante lavoratrici, precarie, disoccupate, immigrate, ecc. stavano alla manifestazione, ma non potevano stare come voce, come ideologia, come bi/sogni, come necessità di rompere tutte le catene, di rivoluzione.

La voce di queste donne proletarie stava ed era rappresentata il giorno prima, il 25, a piazza Montecitorio, nell'assedio al parlamento.
A queste donne, la polizia non ha fatto "i complimenti", ma è giunta in forze, con uomini e blindato, minacciando quando una parte di loro si è recata al giornale Il Messaggero.
Queste donne non sono entrate in parlamento per creare un "clima positivo e collaborativo" (come ha detto la Boldrini sull'incontro con le organizzatrici della manifestazione del 26), ma hanno imposto con l'assedio, espressione delle lotte di ogni giorno nelle loro realtà, di entrare in Parlamento, rompendo le regole sulle modalità e partecipazione agli incontri e ponendo subito, con gli interventi di forte denuncia delle lavoratrici, disoccupate, che noi non vogliamo sentire chiacchiere e false promesse, ma che dovete voi starci a sentire e noi vi giudicheremo sui fatti.

Queste donne, il giorno 26 hanno chiamato tutte ad un nuovo, più grande, esteso e forte sciopero delle donne - dopo quello da noi cominciato nel 25 novembre 2013 e nell'8 marzo di quest'anno e come hanno cominciato a fare anche in Argentina, Polonia, Islanda, Francia.

Ora lo "sciopero delle donne" nella giornata dell'8 marzo 2017, è diventata una parola d'ordine e un impegno assunto anche nei Tavoli del 27 novembre.
Ma sono e devono essere le donne proletarie, più sfruttate e oppresse, quelle che subiscono non una ma tutte le violenze fasciste, sessiste, razzista di questo sistema ad essere l'avanguardia e il riferimento, per contenuti, pratica, prospettiva.

LO SCIOPERO DELLE DONNE È OGGI L'ARMA DELLE DONNE LAVORATRICI, PRECARIE, DISOCCUPATE, DI CHI LOTTA OGNI GIORNO, PERCHÈ VI SIA UNA LOTTA GENERALE CONTRO TUTTO QUESTO SISTEMA BORGHESE, LOTTA RIVOLUZIONARIA.

Per questo non basta dire "facciamo come l'Argentina", ma anche capire e dire quello che hanno detto le donne argentine:
"In mezzo all’aumento della flessibilizzazione e ai licenziamenti, in un contesto dove la disoccupazione giunge al 9,3%, arrivando al 10,5% nel caso delle donne, con una crescente inflazione, in mezzo alla perdita di potere d’acquisto e al congelamento del consumo, noi donne ci siamo riappropriate della parola sciopero come uno strumento storico di lotta ma che, risignificandolo, lo usiamo noi doppiamente oppresse per rifiutare questa oppressione. Scioperiamo sia come classe e sia come donne, scioperiamo mentre i “ragazzi” della CGT vanno di riunione in riunione, civettando con il governo e difendendo i loro propri interessi, scioperiamo in mezzo a tagli, mancanze, precarietà... Oggi, noi donne dimostriamo che siamo molto più coscienti e, per questo, occupiamo le strade per mandare un messaggio chiaro: non siamo sole, siamo organizzate e daremo battaglia. Questo sciopero non farà finire i femminicidi. Non farà finire la violenza che esercitano su di noi, con la discriminazione che subiamo nel lavoro, con la criminalizzazione di quelle di noi che abortiscono, con la stigmatizzazione di quelle di noi che non sono madri, né vogliono esserlo, o con la repressione che colpisce quelle di noi che si organizzano contro il patriarcato.
Ma dopo questo 19 ottobre staremo un po’ più insieme, un po’ più organizzate, saremo un po’ più coscienti… Continueremo a trasformare l’ingiustizia, la rabbia e il dolore in più lotta".

Non ci avete fermato e non ci fermerete. Ora lo sciopero delle donne!

Contro tutte le violenze di padroni, governo,
Stato, uomini che odiano le donne
le donne proletarie chiamano allo sciopero delle donne!

 
 
il 25 novembre lavoratrici, precarie, disoccupate, immigrate, di varie città, dal sud al nord, in nome di tutte le donne più sfruttate, oppresse da questo sistema sociale, hanno fatto una manifestazione in piazza Montecitorio combattiva e vivace, piena di interventi, denunce, piena delle loro esperienze di lotta.

Affermando che “Noi donne proletarie siamo contro tutte le violenze, e la prima violenza è quella sistemica di padroni, governo, Stato capitalista, imperialista che alimenta e produce le orribili stupri e femminicidi”, abbiamo assediato il palazzo del parlamento, rappresentativo di tutti i Palazzi del potere, e abbiamo detto “Basta! Non ci fermeremo! Noi lottiamo e lotteremo fino in fondo per mettere fine a questo orrore senza fine”. E' questo sistema capitalista che va rovesciato, dalla terra al cielo, e come donne dobbiamo rompere non una ma mille catene perchè tutta la nostra vita deve cambiare, perchè non ci sia oppressione, doppio sfruttamento delle donne, violenze sessuali.

il 25 novembre abbiamo fatto anche altro. Abbiamo sintetizzato tutte le istanze che vengono dalle nostre lotte in una piattaforma, in un “quaderno” in cui abbiamo raccontato, raccolto le nostre condizioni di lavoro/non lavoro, di vita, tutti gli attacchi verso noi donne, dai padroni grandi e piccoli sui posti di lavoro, dai governi di questi anni che con le loro leggi hanno peggiorato la condizione della maggioranza delle donne sui posti di lavoro, nei quartieri, nelle case, tagliando spese e servizi sociali essenziali - dagli asili alle pensioni, ai diritti alla loro salute sul territorio, pensiamo alle donne dei quartieri di Taranto e delle città inquinate, mentre riprendono attacchi al diritto di aborto e attacchi razzisti che colpiscono due volte le nostre sorelle immigrate.

Questa Piattaforma/quaderno l'abbiamo portata come sfida ai Palazzi.  questo ha prodotto due primi incontri, in parlamento e col ministero del lavoro, risultato solo della forza delle nostre lotte.

Ma in questi incontri, dove “rompendo le loro regole” siamo andate in ampie delegazioni, e tante lavoratrici disoccupate hanno fatto duri interventi, abbiamo detto che noi donne non vogliamo sentire le loro parole ipocrite, siamo noi donne che vogliamo parlare e pretendere risposte ai nostri bi/sogni, porre le nostre condizioni. E la loro mancata risposta o falsa risposta sarà anche la ragione dell'innalzamento, indurimento della nostra lotta.

Ai giornali abbiamo detto: non “parlate su di noi” una volta all'anno, con grigie statistiche o articoli scoop che ci offendono, ma “parlate con noi!” E a dimostrazione che la maggior parte di essi sono contro le donne, ieri “Il Messaggero”, dove era andata una delegazione di lavoratrici per parlare, ha chiamato la polizia, venuta in forza con uomini e camionette, per impedirci di entrare.

il  26 novembre siamo con tutte le donne alla manifestazione nazionale per dire:

E ora lo sciopero delle donne!
Come in Argentina, in Polonia, in Francia...

Nel nostro paese lo sciopero delle donne è già cominciato: 20mila donne, lavoratrici, precarie, disoccupate, immigrate, hanno partecipato finora, nel novembre 2013 e quest'anno, allo sciopero indetto dal Movimento femminista proletario rivoluzionario.

Lo sciopero delle donne è una forte arma di lotta. E' lo sciopero delle donne che fa paura a padroni, governi, sindacati collaborazionisti, agli uomini!

le donne proletarie che hanno acceso in Italia questa “scintilla” e hanno lanciato un messaggio anche in altri paesi, chiamano tutto il movimento delle donne a prenderla in mano.


Grandi manifestazioni di donne, come questa, non bastano per cambiare i rapporti di forza tra i nostri veri nemici e la maggioranza di noi donne, se non sono all'interno di un percorso di lotta continua contro l'intero sistema sociale, i padroni, il governo, lo Stato, i loro maschi fascisti, sessisti, razzisti.

Lo sciopero delle donne, l'autorganizzazione del femminismo proletario sono le tappe attuali del percorso della nostra liberazione, che deve essere rivoluzionario.

Perchè senza rivoluzione non c'è liberazione!


26.11.16
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

mfpr.naz@gmail.com -3475301704
 
 


 



28/11/16

Un film sulla condizione delle donne operaie

Una recensione
Se sette minuti vi sembran pochi…
di Riccardo Tavani

Undici donne, undici operaie, chiuse in uno spogliatoio, dentro una fabbrica vuota, deserta, attorno a un tavolo, tra gli armadietti metallici. Devono decidere della loro condizione ma – soprattutto – di quella delle loro compagne e compagni di lavoro che sono di fuori con cartelli e striscioni ai cancelli. Questo è il contesto di 7 minuti, l’ultimo film di Michele Placido. Un film tratto da una storia vera, accaduta in Francia, a Yssingeaux, nell’Alta Loira, dalla quale Stefano Massini, uno degli sceneggiatori del film, aveva tratto un suo precedente lavoro teatrale con la regia di Alessandro Gassmann. 
L’azione è spostata in Italia e ambientata nella zona delle piccole e medie fabbriche di Latina, per farne un racconto cinematografico tratto da situazioni e caratteri umani della nostra attuale condizione operaia, e femminile in particolare. La vicenda, d’altronte, ha tratti ormai comuni non solo a tante fabbriche ma anche a molti altri posti di lavoro con contratti sia a tempo indeterminato sia – soprattutto – soggetti al frastagliato arcipelago di contratti o non contratti del precariato.
Quella di questo film è la fabbrica tessile dei Fratelli Varrazzi (uno dei quali interpretato dallo stesso Placido) che stanno cedendo il pacchetto di maggioranza azionaria a una multinazionale francese. Da Parigi giunge, con il primo volo della mattina, Madame Rochette per stipulare l’atto formale di accordo con la vecchia proprietà. Questo dovrà essere poi approvato dal Consiglio di Fabbrica e quindi ratificato dal resto del personale. Le operaie delegano una loro rappresentate a partecipare come osservatrice alla stesura dell’accordo padronale. È Bianca – interpretata da Ottavia Piccolo, come nella precedente pièce teatrale di Massini –, l’operaia più esperta, con trenta anni di anzianità aziendale alle spalle. Madame Rochette ha molta fretta di concludere il tutto entro le cinque del pomeriggio, per essere la sera di nuovo a Parigi, a festeggiare il compleanno di un suo nipote.
Quando Bianca torna nello spogliatoio, tra le sue dieci compagne del Consiglio di Fabbrica, ci sono dunque poche ore di tempo per votare sì o no a quell’accordo. L’atto di cessione prevede questo: la fabbrica non chiude, non ci sarà alcun licenziamento, i turni di lavoro rimarranno immutati. La nuova proprietà chiede il taglio di soli sette minuti di pausa. Sembra un grande risultato, le delegate telefonano all’esterno, dove iniziano canti e balli, e vogliono immediatamente, compattamente votare sì, per chiudere subito l’intera vicenda e tornarsene a casa. L’unica che annuncia il suo voto contrario è proprio Bianca. Quando lei è entrata in fabbrica, la pausa era di 45 minuti, ridottasi progressivamente fino a 15. Tolti questi sette, ne rimarranno solo 8. Bianca invita le compagne a ragionare, a riflettere, prima di precipitarsi a votare sì, perché quei sette minuti in meno si trascinano inevitabilmente dietro molte altre rinunce.
Inizia una discussione tesa, drammatica, acre, a tratti violenta, con accuse, recriminazione reciproche che spacca l’organismo di fabbrica e contrappone le singole compagne di lavoro l’una all’altra. Attraverso questo aspro confronto, Placido ci mostra, anzi, compie una vera e propria vivisezione dell’attuale composizione di classe umana dentro questa realtà industriale italiana. Donne sposate, single, separate, con molti, nessun figlio, immigrate dall’Africa, provenienti dall’ex Est europeo, condizionate, ricattate, soggette ad attenzioni padronali di tipo sessuale. Una composizione umana frammentata, dispersa, i cui vuoti neanche gli slanci di affetto e solidarietà cementati in anni di lavoro in reparto riescono autenticamente a superare. Su questa divisione strutturale punta il padronato per affermare le proprie imposizioni. 
Sta divenendo sempre più un fatto di cronaca quotidiana la recrudescenza padronale su controllo, rigida regolamentazione, riduzione, negazione delle pause lavorative, siano esse tra i turni, per il pasto o per i bisogni corporali. Una recrudescenza che tocca dunque non più soltanto la sfera fisico-meccanica esterna della forza lavoro, ma direttamente quella biopsichica più intima. Un bio-potere pervasivo che vuole appropriarsi dell’accresciuta componente sensibile, culturale, intellettiva e immateriale che ogni lavoratrice, lavoratore porta oggi all’interno del processo lavorativo, senza che essa sia loro minimamente riconosciuta.
Una vicenda cinematografica resa viva dalle undici attrici che formano questo sfrangiato ventaglio di classe e che sono: Cristiana Capotondi (Isabella), Ambra Angiolini (Greta), Fiorella Mannoia (Ornella), Violante Placido (Marianna), Ottavia Piccolo (Bianca), Clémence Poésy (Hira), Maria Nazionale (Angela), Balkissa Maiga (Kidal), Luisa Cattaneo (Sandra), Erika D'Ambrosio (Alice), Sabine Timoteo (Micaela). A completare un cast tutto al femminile c’è inoltre Anne Consigny nel ruolo di Madame Rochette. Donne che – riprendendo il celebre canto di protesta delle mondine tra le risaie “Se otto ore vi sembran poche” – potrebbero ora intonarlo ai più intimi minuti di vita che vorrebbero loro strappare via.
È importante che un regista e un attore italiano di successo come Michele Placido – invece di dedicarsi a copioni che sarebbero certamente più redditizi per lui – porti sullo schermo temi legati alla condizione della resistenza operaia sul fronte del lavoro. Se pensiamo anche a un altro film operaio, quello del regista inglese Ken Loach I, Daniel Blake, vincitore di Cannes 2016, una cosa colpisce: il lavoro vivo non appare più sullo schermo cinematografico. Appare invece, e come, in un film sul lavoro precario più crudele ambientato tra Nettuno e la zona Tuscolana di Roma. È Sole Cuore Amore di Daniele Vicari, presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma. Un altro film da non mancare e del quale Stampa Critica ha già scritto.

27/11/16

25 NOVEMBRE PIAZZA MONTECITORIO... E NOI CONTINUIAMO... E NOI TORNEREMO!

Le lavoratrici, precarie, le ragazze disoccupate, le donne proletarie che sono venute, da Milano, Taranto, L'Aquila, Roma, Bologna, Bergamo, ecc, e in tante da Palermo, in piazza Montecitorio, insieme ad altre che volevano stare a Roma, ma non sono potute venire per mancanza di soldi, per i padroni che non le concedono neanche in questo giorno una ferie, per le tante varie catene che le legano all'assistenza dei familiari, ecc. ma che comunque hanno mandato messaggi, foto, hanno fatto, come a Palermo, un presidio in contemporanea, tutte hanno detto nella manifestazione del 25 novembre: "NOI TORNEREMO!".
Noi che ogni giorno siamo in lotta contro tutte le violenze reazionarie contro le donne, contro i padroni, contro il governo Renzi, contro lo Stato, in tutte le sue Istituzioni, contro gli uomini fascisti che stuprano e uccidono, anche a Roma abbiamo appena iniziato ad assediare i Palazzi del potere,i responsabili di questo sistema di guerra infinita contro noi donne.


Noi non vogliamo solo una "marea",  vogliamo che la marea di donne vi sommerga...
E gli interventi, gli slogan, fatti ininterrottamente, sono stati come delle lance di sfida contro i veri nemici della nostra vita.


A Piazza Montecitorio sono state anche rappresentanti delle madri coraggiose, che di fronte alle figlie uccise portano avanti la battaglia... e in questa maniera le figlie VIVONO..., è stata la madre di Nicole uccisa a 23 anni a Roma, come è stata, sia pur con una sua lettera, la madre di Federica, uccisa con il suo bambino a Taranto.




Abbiamo portato la voce forte delle donne che resistono alla repressione, e la solidarietà a chi denuncia gli stupratori e i loro avvocati e viene processata, alle compagne decine e decine di volte arrestate, condannate della No Tav, a Nicoletta Dosio, che non accetta la (in)giustizia borghese.


Le donne proletarie hanno dichiarato ancora una volta il loro impegno al fianco delle sorelle che combattono in prima fila nella lotta, nelle guerre popolari contro i regimi fascisti, massacratori, "stupratori e torturatori legali", contro l'imperialismo, come inIndia.
*****
E' stata questa manifestazione diversa, combattiva, ha "convinto" nei Palazzi a fare gli incontri, che fino al giorno prima ci avevano negato (di cui parleremo a parte).

Ora verso un nuovo sciopero delle donne!

Noi in Italia abbiamo già lanciato questa scintilla, presa in mano da più di 20mila lavoratrici, precarie, immigrate... Questa ora comincia ad estendersi in altri paesi, dalla Polonia, all'Argentina, alla Francia.

Anche il 25 novembre in tante realtà, Bologna, Genova, Venezia, Gorizia, Milano, Modena, Reggio Emilia, ecc. (solo per quelle di cui abbiamo avuto notizie ufficiali) le lavoratrici hanno scioperato, scuole sono state chiuse per sciopero... (benchè fosse stato indetto in questo caso lo sciopero solo per dare copertura sindacale alle lavoratrici che non andavano al lavoro), mostrando come questa arma di lotta sia voluta dalle donne.
Chi oggi esalta lo sciopero delle donne degli altri paesi, in Italia quando c'è stato ha voltato la testa dall'altra parte. Si agita lo slogan 'facciamo come..', poi, quando concretamente queste forme di lotta 'storiche' si fanno in Italia, non si supportano o non vengono valorizzate o, ancora peggio, vengono contrastate.
Ma ora, non può essere ancora così.


Per questo, nella grande manifestazione del 26, abbiamo portato l'indicazione: "Contro tutte le violenze di padroni, governo, Stato, uomini che odiano le donne, le donne proletarie chiamano allo sciopero delle donne". 

Lo sciopero delle donne, l'autorganizzazione del femminismo proletario sono le tappe attuali del percorso della nostra liberazione, che deve essere rivoluzionario. 

24/11/16

Volantino lavoratrici del policlinico di Palermo

Alle lavoratrici del Policlinico

25 NOVEMBRE 2016

SCIOPERO GENERALE NAZIONALE DELLE LAVORATRICI E DELLE DONNE
proclamato da SLAI Cobas s.c. e USI

In occasione della “GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE”, delegazioni di lavoratrici, operaie, precarie,braccianti, disoccupate, giovani…, del sud, del centro e del nord del Paese, manifesteranno a Roma, sotto i palazzi del potere, contro la doppia violenza che si vive quotidianamente dai posti di lavoro, alla famiglia, al sociale.

Oramai da tempo assistiamo ad un sempre più crescente peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita delle donne, grazie a politiche governative moderno fasciste, come quelle di Renzi e CO,che attaccano  sistematicamente i diritti e le conquiste delle lavoratrici/donne. Infatti : si  bloccano i contratti e si tagliano i salari, mentre aumentano incessantemente le tasse, i prezzi e le tariffe; si precarizza selvaggiamente il lavoro e aumentano i licenziamenti, grazie al jobs act; cresce  il supersfruttamento e la schiavizzazione, a cominciare dalle operaie e dalle braccianti; la sicurezza sul lavoro è inesistente, mentre aumenta notevolmente lo stress lavoro-correlato e le malattie professionali; le discriminazioni, i ricatti e il mobbing sul lavoro sono una costante; andare in pensione è divenuto una vera e propria chimera, mentre vi è una massiccia crescita della disoccupazione femminile;  i tagli ai servizi sociali (sanità, scuola ecc.) continuano indisturbati, e sono tesi a spingere le lavoratrici a ritornare a casa e a fungere da ammortizzatori sociali ancor più, oltre che da incubatrici, in nome di “Patria Chiesa e Famiglia”, di mussoliniana memoria.

La scellerata politica dei tagli, che colpisce anche la sanità pubblica, si è abbattuta e continua ad abbattersi pesantemente  pure sui dipendenti del Comparto, ma soprattutto sulle lavoratrici che, oltre a non riuscire più a tirare avanti la carretta, a causa del carovita e del  blocco degli stipendi,  vedono anche accrescere giorno dopo il giorno il proprio carico di lavoro, gli infortuni, le vessazioni, lo stress, con gravi conseguenze per lo stato di salute soprattutto per quelle addette all’assistenza (infermiere,OSS,OTA, ecc.) .
 
ANCHE TUTTO QUESTO E’ VIOLENZA SULLE DONNE!

Contestualmente a quanto sopra, si assiste ad una vera e propria recrudescenza della violenza sessuale e di ogni genere sull’universo femminile  (molestie, aggressioni fisiche e psicologiche, stupri, femminicidi),consumata per il 90% all’interno della “sacra famiglia”, per mano di mariti,fidanzati,conviventi,figli, padri,parenti, spasimanti. Violenza che oltre le mura domestiche, vede teatro anche i luoghi di lavoro, le strade, le scuole ecc.

Pertanto questo SCIOPERO, parte dal lavoro, ma si estende all’intera condizione di vita dell’altra metà del cielo, ed è un’ARMA per unire  e scatenare, dal sud al nord, la RIBELLIONE delle donne, principalmente di quelle proletarie- italiane e migranti- le più povere,  sfruttate ed oppresse. Donne che devono prendere nelle loro mani la LOTTA per i diritti, la dignità e la libertà, contro il MODERNO MEDIOEVO e questo sistema economico,politico,culturale e sociale, che avvelena quotidianamente la vita delle donne, che vuole subalterne,remissive e schiave dei padroni, della famiglia, degli uomini e di questa infame, maschilista, oscurantista ed assassina società.


CONTRO VIOLENZA, FEMMINICIDI, MISERIA, SFRUTTAMENTO E CAROVITA,
CON QUESTO GOVERNO E QUESTO SISTEMA, FACCIAMOLA FINITA!


Pa, 20.11.2016

Lavoratrici SLAI Cobas sc. Policlinico Palermo

nel retro la Piattaforma dello sciopero che sarà portata ai ministeri

Da Milano a Roma il 25 novembre

Da tavolo4
 
Ciao Compagne,

vi mando un mio piccolo contributo per domani 25 Novembre 2016, è la 
testimonianza di ieri sera con alcune compagne del collettivo Soy Mendel di 
Milano di cui io ne faccio parte, purtroppo domani non potrò partecipare 
personalmente per una situazione molto delicata e faticosa che ho in famiglia..

Con il cuore vi sono vicina.................nonostante le difficoltà presenti 
nella mia famiglia da oltre un anno, continuerò a lottare insieme a voi contro 
ogni ingiustizia, contro tutte le violenze, farò sentire SEMPRE la mia voce.

Un caro saluto a pugno chiuso a tutte, 

NESSUNA GABBIA POTRA' SPEGNERE IL NOSTRO BISOGNO DI LIBERTA'

maria (mfpr milano)

23/11/16

Le ragioni dello sciopero e della manifestazione nazionale delle lavoratrici il 25 novembre a P.zza Montecitorio

Da Tavolo 4, una donna ci scrive:

Salve,
Vorrei delucidazioni sui motivi dello sciopero di venerdì,
Grazie 

La risposta del MFPR
I motivi dello sciopero sono nell'appello lanciato dalle lavoratrici delle cooperative di Palermo (in allegato) e raccolto da varie altre realtà di lavoratrici, precarie, disoccupate, donne proletarie, dal sud al nord; sono nella piattaforma delle lavoratrici portata nei due scioperi delle donne, che tocca tutti gli aspetti della condizione di attacco, oppressione verso la maggioranza delle donne, e in particolare delle donne proletarie;
ma soprattutto sono nella necessità che si lotti contro tutte le violenze di padroni, governo, Stato, di cui quella degli uomini che odiano le donne è la punta di iceberg di una violenza che è sistemica, quotidiana, e che, per questo, non può trovare soluzione in riforme, ma in un trasformazione generale di tutto l'odierno barbaro sistema sociale capitalista.

In questa battaglia sta il ruolo delle donne proletarie che sempre hanno non una ma mille catene da spezzare, che subiscono ogni giorno violenza di ogni tipo, discriminazioni, oppressione, peggioramenti della loro vita; e che per questo hanno bisogno che tutta la vita cambi.
Questa battaglia le donne lavoratrici, disoccupate, le immigrate, ecc. che già lottano, in alcune realtà ogni giorno, non possono delegarla ai movimenti femministi piccolo borghesi che chiedono solo dei cambiamenti parziali, ma prenderla nelle proprie mani, nei contenuti - intrecciando le ragioni della lotta di classe e della lotta di genere, e nelle forme - non a caso la mobilitazione delle lavoratrici si fa venerdì 25 per assediare il parlamento, i Palazzi del potere.
E' attraverso questa iniziativa del 25 che noi porteremo le istanze di tutte le donne che vogliono realmente ribellarsi a questa società. E il 26 ci uniremo a tutte le donne che scenderanno in piazza, portando la nostra voce, esperienza per continuare una lotta che ponga fine all'orrore senza fine che subiamo.

MFPR


22/11/16

Le donne di Taranto a Roma il 25Novembre!

 
Da tarantocontro
sabato 19 novembre 2016
Oggi, iniziativa al mercato dei Tamburi: la violenza sistemica e quotidiana delle donne a Taranto - scateniamo la nostra ribellione! 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, da Taranto a ROMA! 
 
 

UIKI: Violenza contro le donne a tutti i livelli, Resistere insieme contro il fascismo – ora più che mai!

Di seguito il comunicato di UIKI onlus. Invitiamo le compagne curde ad essere presenti anche il 25 in Piazza Montecitorio, contro il governo moderno fascista e filo turco di Renzi!

In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza maschile sulle donne nella quale ricordiamo l’assassinio delle tre antifasciste Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal il 25.11.1960 nella Repubblica Dominicana, chiamiamo tutte le donne del mondo a resistere contro la violenza, il fascismo e lo sfruttamento.
Ogni momento in cui una donna resiste contro la violenza e l’oppressione è un momento nel quale rivive la storia delle innumerevoli lotte delle donne. Ogni luogo nel quale le donne resistono contro la violenza e lo sfruttamento è un luogo in cui divampa lo spirito combattivo delle donne di tutto il mondo.

Che sia la violenza tra le proprie quattro mura, che è apparentemente inosservata, o la violenza di criminali di guerra, soldati, mercenari di Stati terroristi o imprese davanti agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, l’obiettivo è di rendere le donne arrendevoli, di spezzare la resistenza delle donne per poterle sfruttare meglio!

A Kobane le donne si sono organizzate per costruire attivamente una società nuova fondata sulla democrazia dal basso e liberata dai ruoli di genere. Si sono organizzate anche per difendere queste nuove strutture sociali contro una rete di mercenari reazionaria e nemica dell’umanità. A Shengal le donne yezide si sono organizzate per non essere di nuovo esposte senza protezione a un brutale femminicidio/genocidio come il 3 agosto 2014. Perché allora hanno visto che né i peshmerga, né l’esercito irakeno, né la US-Army che in Iraq di sicuro osserva ogni metro quadro, le hanno difese. Tutte e tutti abbiamo potuto seguire come solo le e i combattenti auto-organizzati/e delle YGJ e YPG sono corsi in aiuto a yezide e yezidi e hanno salvato la vita a migliaia di loro.

Che la violenza e la resistenza delle donne a questo livello guerresco sia in un chiaro nesso con la violenza contro le donne all’interno della società, possiamo riconoscerlo anche dal fatto che lo Stato turco – che in Siria come in Iraq vuole far valere interessi di grande potenza – in questo mese ha fatto chiudere molteplici progetti di donne. Ci mostra chiaramente che anche la violenza domestica deve impedire alle donne di organizzarsi, di opporre insieme resistenza – contro la propria oppressione e contro lo sfruttamento di altri e altre, contro il fascismo e il colonialismo.

Per una forte auto-organizzazione delle donne!
Salutiamo voi donne in tutto il mondo, nelle carceri, quelle statali così come quelle sociali!
Sappiamo che lì molte oppongono quotidianamente resistenza, anche se spesso non arriva all’esterno.
Viva la resistenza delle donne in tutto il mondo!  Rendiamo visibile la nostra resistenza!
Con questo spirito ci troviamo in piazza il 26 novembre a Roma!

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LA CONDIZIONE E LA DENUNCIA DELLE BRACCIANTI SARANNO A ROMA IL 25 NOVEMBRE

Pubblichiamo una raccolta di inchieste tra le braccianti, soprattutto della Puglia, che mostrano l'intreccio quotidiano tra sfruttamento e oppressione/violenza. 
Una condizione che non può affatto essere cambiata dalle nuove norme del governo, ma da una ripresa della lotta, unitaria ed estesa, delle donne nei campi.
 
 
(Da GdM) - "Soprattutto in campagna le donne sono sfruttate. Paola (di S. Giorgio provincia di Taranto) è morta per sfamare la famiglia e crescere bene i figli, lavorava anche il pomeriggio al ritorno da Andria, qui nelle campagne di San Giorgio. Quelli che lavorano come lavorava Paola dovrebbero prendere 52 euro al giorno; mi disse che ne prendeva poco più della metà e arrotondava il pomeriggio per altri 15 euro... Paola lavorava anche 30 giorni in un mese. A giugno dello scorso anno sono segnate 25 giornate, di cui 21 consecutive. Chiaramente la busta paga di quel mese non corrisponde a quanto appuntato. Nonostante siano bollate da un'agenzia interinale.
Paola veniva pagata due euro per ogni ora di lavoro, nonostante però avesse un regolare contratto.
Venivano contabilizzate meno giornate di quelle effettivamente lavorate in modo da dribblare i controlli, come dimostrano i diari. E anche perché in busta spesso erano appuntati degli anticipi che in realtà la lavoratrice non aveva mai ricevuto.

Dall'opuscolo del Mfpr sulla "condizione di (in)sicurezza delle lavoratrici":
"...Provate a chiedere l’età alle braccianti e l’80% delle volte, soprattutto tra le donne non giovanissime, diranno un’età che è inferiore a quella che sembra guardandole in faccia.
Alla fatica si aggiunge il sole o il freddo che rovina la pelle. Ma non basta, le lavoratrici rischiano
altre malattie, anche respiratorie, anche dell’apparato riproduttivo per le sostanze chimiche tossiche usate in agricoltura.
Queste operaie sono nella maggior parte dei casi capifamiglia, separate; altre hanno il marito disoccupato, o in famiglia ha un proprio caro da curare con terapie e visite specialistiche costosissime. Riguardo al loro stato di salute, ognuna di esse è affetta da patologie, chi soffre di artrosi, chi di vene varicose, chi di ernia, chi di cervicale.
Le ore di lavoro sono infinite, (dalle 12 ore, ma più frequentemente alle 14 ore), non hanno una vita sociale, la loro vita si svolge: lavoro-letto letto-lavoro, si lavora 7 giorni su 7.
Le ferie non esistono, andare in bagno è un lusso, non si deve sostare più di due minuti. Finanza e questura vanno per controlli ma le operaie giustamente sono indignate perchè sanno benissimo che le aziende non saranno mai colpite in prima persona, o al massimo pagheranno qualche multa.
In più aziende, oltre le condizioni di lavoro alcune operaie devono anche subire molestie verbali e bullismo dalle operaie più anziane.
Una denuncia che si aggiunge è quella dell'uso di casse denominate in gergo tecnico G.P.R. Questi sono dei contenitori in cui vengono poste cassette di frutta del peso di 2 kg l'una per un totale di 20 kg che vengono sollevate per svariate volte al giorno fino allo sfinimento del personale.

Da inchieste di giornaliste
Inizia a parlare Maria, cinquantadue anni, un matrimonio naufragato alle spalle, senza figli. Lavora in campagna da quando era poco più che una bambina, aveva tredici anni. “Per poter andare avanti e sopportare i soprusi subiti ogni giorno in campagna prendo gli antidepressivi. Due gocce quando iniziano a insultarmi e ho di nuovo la forza di sopportare e guadagnarmi da vivere”.
“Prima si lavorava meglio, i sindacati erano dalla parte dei braccianti. Bastava una parola ed era sciopero. Altri tempi, c’erano grandi sindacalisti; ci tutelavano e potevamo incrociare le braccia, dire no al padrone e ai caporali. Oggi il sindacato dovrebbe tornare alle origini e non aver timore di farci fare le vertenze. Dei caporali non bisogna aver paura né si può pensare di dialogare con loro. Dovreste vederli quando gridano: più in fretta, più in fretta; mentre ci rompiamo la schiena” continuano nel loro racconto corale le braccianti: “Lavoriamo tutti i giorni, anche la domenica che non è considerata straordinario. Possiamo prendere un giorno di pausa, avvisando il caporale con due settimane di anticipo. Lavoriamo dalle 7 ore in poi, senza una pausa per mangiare il panino.”
In molti casi sono loro a mantenere la famiglia: i figli, i loro mariti disoccupati. Sono loro a mostrare una forza capace di sfidare tutto, soprattutto la solitudine.
Possono fare i propri bisogni solo sotto l’albero più vicino. Intimità zero: “Non possiamo allontanarci, altrimenti viene il caporale e si arrabbia perché abbiamo impiegato troppo tempo”. Il tempo in campagna e nelle aziende dove si confezionano i prodotti della terra si è trasformato in un demone. La bilancia su cui le donne pesano il raccolto è sincronizzata: se non viene utilizzata per più di cinque minuti, si spegne. “E se passano cinque minuti arriva la capo squadra a sbattere sul banco di lavoro il cestino con la frutta. Un gesto che brucia”. In campagna come sotto i tendoni “non possiamo portare più di una bottiglietta d’acqua. E’ vietato e non sono ammesse eccezioni, non si può discutere”, il sole è alto e anche nei magazzini di confezionamento la temperatura è elevata, insopportabile.
A comandare le braccianti (il lavoro al femminile è più richiesto perché, ricordano le donne: “Costiamo meno”) non ci sono solo i caporali, ma anche le “vice-caporali”. Sono donne, a detta delle braccianti, capaci in poco tempo di “far carriera con successo”. Sono una sorta di kapò al femminile con una funzione di ricatto. È lei la persona di fiducia del caporale che controlla le lavoratrici sul campo. “Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti. Alla minima protesta, rimostranza o insubordinazione si resta a casa per punizione”. Le lavoratrici sono sotto il loro controllo e non c’è ombra di solidarietà femminile. La solidarietà è quasi impossibile anche fra braccianti: “Non possiamo aiutare le ultime arrivate. Il caporale non vuole. Chi è veloce e sveglia e impara subito il lavoro va avanti, altrimenti viene sostituita dal giorno dopo”.
Il salario è di 5.60 euro netti all’ora, “ma quasi la metà la trattiene il caporale. Così loro possono comprarsi il fuori strada, mentre noi non riusciamo ad arrivare a fine mese. Non sempre riusciamo a pagare tutte le bollette.”
“In provincia di Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga ‘ufficiale’ di 47 euro lordi, però in realtà me ne arrivano 27, massimo 28 a giornata. L’azienda ci dà il foglio di assunzione, noi dobbiamo portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo. L’autista del pullman risulta essere un dipendente dell’agenzia di viaggio”. I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull’assegno che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale la sua parte in nero.
“Ora si raccoglie l’uva, quindi c’è lavoro per tutti, ma tornate d’inverno quando da raccogliere ci sono solo le arance, fa freddo, c’è il ghiaccio, e rischiamo di scivolare e romperci una gamba per 27 euro lordi al giorno”.
(da Emanuela Carucci)

Braccianti pugliesi raccontano la loro vita, tra campi e magazzini - di Francesca Buonfiglioli

ISPEZIONATE SOLO IL 4,5% DELLE AZIENDE. Rischio che, in Puglia, è basso. Nel 2014 i controlli sono stati 1.818 su 40 mila imprese. Nel 55% dei casi è stata denunciata una qualche inadempienza. E di questi l'80% era per lavoro nero.
«Ci svegliamo alle 2 di notte. La caporale passa con il bus alle 3», il luogo di lavoro che spesso viene comunicato la sera prima. Finite le ore, si riprende il pullman: un'ora e mezzo, due di strada e si torna a casa. «Dove cerco di sbrigare le faccende domestiche, solo l'essenziale», dice Maria, quasi giustificandosi.

IL TRASPORTO A CARICO DELLA LAVORATRICE. E con i chilometri, aumenta anche il prezzo del passaggio. Dai 5, 10 euro arrivano fino a 10, 15, detratti naturalmente dalla paga giornaliera di 36 euro circa. Si lavora sodo, fino a 10 ore al giorno, contro le 6 e mezzo contrattuali. Di straordinari nemmeno l'ombra
IL RICATTO QUOTIDIANO. Lamentarsi, o solo chiedere chiarimenti su orari, contratti e buste paga non conviene: «La caporale trova il modo di punirti. Per esempio non ti fa lavorare per due, tre giorni di fila». Si vive quotidianamente sotto ricatto. Per questo «è quasi impossibile che una bracciante italiana denunci una caporale», precisa Maria, «la voce si spargerebbe in giro, e per lei non ci sarebbe più lavoro».

Solo in Puglia sono tra le 30 e le 40mila le donne gravemente sottopagate, a cui vanno aggiunte diverse altre migliaia in Campania e in Sicilia. I caporali intascano 12 euro per ogni donna che hanno “procurato”. Anche se hanno un regolare contratto, vengono pagate 20-25 euro al giorno. Mentre sulla busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel Salernitano. “Mentre lavorano le donne vengono controllate da un guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più veloci. Per andare in bagno hanno 10 minuti a turno. E se qualcuna si rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto, viene ‘punita': per qualche giorno non la fanno lavorare”. E se una ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne selezionate vengono caricate sui furgoni o ammassate – anche in 30 – in camion telonati. Per questo trasporto bestiame ogni lavoratrice paga fino a 7 euro a viaggio.

STRONCATE DALLA FATICA. «Sotto i tendoni a 50 gradi senza acqua». «Se finisce l'acqua», spiega Maria, «nessuno te la dà. Non si beve e basta». Una vita dura, durissima. Che lei ha cominciato a fare a 11 anni. «Allora le condizioni erano anche peggiori, soprattutto per il trasporto. Negli Anni 80 molti braccianti sono morti in incidenti per arrivare sul posto di lavoro». Le cose sono poi migliorate, ma per poco. «Adesso siamo tornati indietro”
Paradossalmente, in passato si lottava di più. «C'era un maggiore senso del gruppo, più solidarietà. Adesso ognuna pensa a se stessa, a portare a casa la pagnotta. Se puniscono una di noi lasciandola a casa per due o tre giorni, le altre si voltano dall'altra parte». La crisi, soprattutto al Sud, ha giocato un ruolo importante.
A fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell’Europa a 28 in età 35-64 anni, il Mezzogiorno si ferma al 35,6%. Le percentuali sono più preoccupanti se si considerano le under 34: l'occupazione al Sud si ferma al 20,8% contro una media nazionale del 34% (il Settentrione segna un 42,3%) ed europea del 51%. Per le donne del Sud non ci sono molte alternative. «Siamo costrette ad accettare quello che troviamo, anche a condizioni disumane».

«LO STATO SI È DIMENTICATO DI NOI». «Ogni notte partono centinaia di bus dai paesi della Puglia, e ogni pomeriggio fanno rientro, proprio nell'ora della pennichella, quando tutti - carabinieri e polizia compresi - possono vederci. Ma nessuno alza un dito, nessuno fa qualcosa per fermare questa piaga. Siamo come dei fantasmi». E si arrabbia anche quando sente il presidente del Consiglio Matteo Renzi accusare i meridionali di piangersi addosso. «Che venisse a fare il mio lavoro», lo invita, «ma alle stesse condizioni. E anche solo per una settimana».
Per mascherare di legalità il caporalato, l’intermediazione illecita avviene usando importanti agenzie di somministrazione del lavoro.

LE BRACCIANTI STRANIERE schiavizzate in agricoltura sono 15mila (contro i 5mila uomini). Sono quasi sempre giovani mamme, ricattabili proprio perché hanno figli piccoli da mantenere.
Ad Amina hanno raccontato che tutti i soldi guadagnati in un mese servono per pagare il viaggio, gli spostamenti, l’acqua, il vitto. E che, anzi, è lei ad essere in debito. E che deve continuare a lavorare fino a quando non sarà saldato. Altrimenti niente paga e niente documenti. “Fai quello che ti diciamo, oppure ti ammazziamo”. Si è dovuta anche prostituire in cambio della libertà. Molte altre restano a spezzarsi la schiena fino a 14 ore al giorno.
Ragazze reclutate in Romania. I caporali che operano in Puglia vanno a reclutare le ragazze soprattutto nelle zone agricole della Romania. Qui non si tratta di caporali e basta, si tratta di organizzazioni criminali. Malavita. Il caporale è solo un anello della catena. Gli annunci per questi lavori escono addirittura su un giornale romeno.
In Campania ad essere schiavizzate sono le donne africane. “Se non accettano di avere rapporti sessuali con il datore di lavoro (quasi sempre italiano, ndr) non vengono pagate. Non hanno permesso di soggiorno, ed essendo clandestine sono le più ricattabili”.

Le donne proletarie il 25 a Roma solidali con le donne NOTAV colpite dalla repressione - mfpr.naz@gmail.com


ALLE DONNE MIGRANTI: UNIAMO IL 25 NOV. LE NOSTRE RIBELLIONI

Alle donne migranti,

voi subite una doppia, tripla violenza, dai vostri Stati, regimi, come dal nostro Stato, governo imperialista; dagli schiavisti e oppressori dei vostri paesi, come dai moderni schiavisti in giacca e cravatta dei padroni italiani; dalla mentalità, pratiche patriarcali come dai nostri moderni uomini che stuprano e uccidono le donne.
Qui in Italia abbiamo gli stessi nemici, padroni, governo, Stato, uomini razzisti e fascisti.
Uniamo le nostre mani, le nostre voci, le nostre ribellioni!

Il 25 novembre manifestazione nazionale delle lavoratrici, disoccupate, immigrate a Roma – dalle ore 9,30 a p.zza Montecitorio – assediamo i Palazzi del potere, portiamo con forza i nostri bi/sogni.

DA ALCUNE DENUNCE che porteremo il 25 in piazza e nei Palazzi:

Nei centri di raccolta nel deserto ai confini con la Libia, in attesa del viaggio a Lampedusa dove la maggiorparte troverà la morte, tante donne vengono stuprate.
Ma i responsabili di questi orrori non sono solo gli aguzzini che gestiscono le tratte, i centri di raccolta e i viaggi dei migranti, i responsabili sono, anche e di più, gli Stati imperialisti, l'Italia che
sanno e non fanno nulla, che stabiliscono accordi con i governi reazionari; è lo Stato italiano che,prima ha fatto la guerra, e ora ha il compito di addestrare l'esercito fascista della Libia, che è fino in fondo colpevole dell'orrore che le donne, gli uomini devono subire per poter venire in Italia e in Europa.

Dalle migranti che lavorano nei rifiuti: «Potevamo mangiare soltanto al cesso. Un quarto d’ora di pausa. Con la puzza di escrementi sotto il naso. Poi bisognava di nuovo tornare a lavorare, sempre a testa bassa sui rifiuti».

L'attacco alla loro salute e vita delle lavoratrici immigrate. Vengono nascosti – anzi “non esistono” - gli infortuni, le malattie, mentre molto elevati sono gli infortuni per le donne “provenienti da Ucraina (51%), Polonia (41,8%) e Ecuador (37,9%), occupate prevalentemente nei servizi alle imprese e alle famiglie (pulizie, badanti, colf, ecc.)”.
Per le badanti, costrette, come sono, a stare chiuse in case per lunghe ore con un rapporto solo con l’assistito, a badare spesso ad anziani malati anche di notte, il lavoro è anche usurante sia fisicamente che mentalmente.
Tra le immigrate, le lavoratrici del sesso, perseguitate, offese, cacciate, come “portatrici” di malattie, sono invece quelle che si prendono le peggiori malattie dagli uomini-clienti per la loro concezione di uso/abuso del corpo delle prostitute.

Per la casa, contro gli sfratti. Nei quartieri a Roma, come a Milano, ecc. sul fronte degli sgomberi, continua lo stillicidio, con la novità che vengono effettuati a qualsiasi ora: “nella notte tra venerdì e sabato scorsi uno sgombero è stato effettuato, quando nonna e nipote di soli tre anni erano soli in casa. Ma qui donne immigrate e italiane spesso sono unite nella lotta per il diritto alla casa e contro gli sfratti.

DALLA PIATTAFORMA PER IL 25 NOVEMBRE

- Diritto di residenza, cittadinanza, casa, reddito per tutte le migranti
- uguali diritti lavorativi, salariali e normativi per le immigrate che lavorano
- NO alla detenzione nei Cie, hotspot luoghi di violenza, stupri da parte delle forze dell'ordine

Lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe – slaicobasta@gmail.com
Movimento femminista proletario rivoluzionario - mfpr.naz@gmail.com - 3475301704