10/11/14

Kader, attivista curda, uccisa dal regime turco! Mobilitiamoci!

Chiniamo tristissime la testa in onore di Kader uccisa dall'esercito del regime turco amico dell'Isis, MA alziamo forte le nostre voci e le nostre mani e mobilitiamoci come donne al fianco delle combattenti curde contro l'Isis, la Turchia, l'imperialismo complice compreso quello italiano.
Anche per Kader e per tutte le donne che vengono uccise in questa giusta lotta che è di tutte noi, prepariamo insieme il presidio del 22 novembre a Roma. L'Mfpr aveva proposto di realizzarlo sotto l'ambasciata turca per denunciarne il ruolo di appoggio all'Isis nella lotta contro i combattenti e le eroiche combattenti curde a Kobane; in risposta vi è stata, poi, nei giorni scorsi la proposta di realizzarlo sotto una delle sedi governative dell'Italia perchè venga fatta  pressione sulla Turchia (che è membro della Nato) da parte dell'Italia e dell'Ue - di cui l'Italia ha la presidenza - perchè smettano di dare sostegno a Isis. L'Mfpr ha detto: va bene. ORA ORGANIZZIAMOLO!

Fiorella, lavoratrice del mfpr Taranto

(da Contropiano) - Giovedì scorso Kader Orta­kaya, una giovane atti­vi­sta curda della Piat­ta­forma Col­let­tiva per la Libertà  e stu­den­tessa all’Università di Mar­mara (ad Istanbul), è stata uccisa con un colpo alla testa spa­rato da alcuni militari turchi contro un gruppo di persone che manifestava pacificamente, realizzando una catena umana a Suruc, cittadina gemella di Kobane sul lato turco del Kurdistan. Una frontiera ipermilitarizzata dall’esercito di Ankara, con migliaia di soldati che assistono all’eroica battaglia dei guerriglieri e delle guerrigliere curde che difendono da parecchie settimane la città del Rojava assediata e bombardata dai miliziani dello Stato Islamico.
Il regime islamista turco ha più volte affermato di considerare la guerriglia di sinistra curda peggiore dell’Isis e non sono mancate scene di fraternizzazione e collaborazione tra i militari di Ankara e i jihadisti che pure Erdogan afferma di considerare un nemico, anche se non prioritario.
Negli ultimi mesi l’esercito turco è ricorso più volte alla forza contro sfollati curdi, attivisti politici e giornalisti che cercavano di attraversare la frontiera per andare a documentare cosa accadeva a poche centinaia di metri, a Kobane, oppure per unirsi ai combattenti delle Ypg e delle Jpg. Più volte i cannoni ad acqua e le pallottole di gomma hanno mostrato plasticamente al mondo da che parte sta la Turchia, con numerosi feriti nei combattimenti contro i miliziani jihadisti morti a pochi metri dagli ospedali di Suruc perché Ankara ha negato loro di oltrepassare la frontiera.
Ma quanto è accaduto giovedì ha dell’incredibile: alcune decine di atti­vi­sti hanno for­mato una catena umana lungo il confine, insieme ad arti­sti e musi­ci­sti dell’Iniziativa per l’Arte Libera. Per tutta risposta i soldati turchi li hanno prima attaccati con lacri­mo­geni e pal­lot­tole di gomma e poi improvvisamente hanno iniziato a sparare pal­lot­tole vere. La 28enne Kader è stata col­pita alla testa ed è morta sul colpo.
La rabbia per quanto è accaduto è stata tale che dall’altra parte del filo spinato alcuni guerriglieri dell’Ypg che stavano assistendo alla scena hanno sparato contro le postazioni dell’esercito turco.
Incredibilmente il prefetto turco di Suruc, Abdullah Ciftci, ha negato che ciò che tutti hanno visto e che è stato anche ripreso in alcuni video sia mai avvenuto, ed ha parlato solo dell’uso di lacrimogeni da parte dei poliziotti che sorvegliano il confine...

La giovane Kader Ortakaya, che era arrivata alcune settimane fa a Suruc e stava prestando la sua assistenza ai profughi di Kobane e di altre zone del Rojava costretti a fuggire dalle proprie case e dai propri villaggi a causa delle persecuzioni degli estremisti sunniti, nei giorni scorsi aveva scritto una lettera indirizzata alla sua famiglia avvertendo che avrebbe cercato di andare a Kobane per combattere a fianco dei suoi fratelli e sorelle.
Ecco la lettera scritta da Ortakaya alla sua famiglia:
“Cara famiglia,
Sono a Kobanê. Questa guerra non è solo una guerra del popolo di Kobanê, ma una guerra per tutti noi. Mi unisco a questa lotta per la mia amata famiglia e per l’umanità. Se oggi manchiamo nel vedere questa guerra come una guerra per noi, resteremo soli quando domani le bombe colpiranno le nostre case. Vincere questa guerra significa che vinceranno i poveri e gli sfruttati... Auguro a tutte e tutti di vivere liberamente e da uguali. Non voglio che nessuno venga sfruttato per tutta la vita per avere un pezzo di pane o un riparo. Perché questi desideri si avverino, bisogna lottare e combattere.
Ritornerò quando la guerra sarà finita e Kobanê sarà riconquistata...
Se volete fare qualcosa per me, sostenete la mia lotta. Siete rimasti in silenzio rispetto a tutti i malfunzionamenti dello stato. Dite basta al fatto che la gente viene uccisa per la strada, esposta a bombardamenti con gas, bombardata come è successo a Roboski... Vi affido la mia lotta fino a quando tornerò...
Vi abbraccio con tutti i miei sentimenti rivoluzionari...".
 

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