16/10/14

Modernità capitalistica e modernità democratica, dal convegno donne kurde di Roma

Dall'intervento di Dilar Diri:
 
"Dopo gli attacchi di IS a Kurdistan, Siria e Iraq, i media mainstream e il discorso politico hanno dato attenzione alla resistenza del popolo curdo contro gli atti brutali e genocidi di IS, e più in particolare al ruolo delle donne in questa lotta.
Il mondo si è accorto della notevole lotta delle donne curde che hanno preso le armi per combattere il gruppo jihadista ultra-patriarcale, cosa che viene percepita come inusuale, dato che il Kurdistan si trova in una parte del mondo che è nota per essere straordinariamente patriarcale, feudale e sotto il dominio maschile. Il fatto che queste donne, in una società altrimenti conservatrice, dominata dagli uomini, combattano militarmente e sconfiggano un’organizzazione brutale, ha affascinato molti osservatori esterni.

Tuttavia affermazioni sensazionaliste come “IS teme le donne curde perché se uccisi da una donna non andranno in paradiso” si concentra su elementi superficiali di una situazione profondamente complessa, ignorando che in questa lotta c’è più del solo combattimento con le armi, ovvero un progetto di emancipazione politica più ampio.

Di seguito vorrei parlare di due sistemi opposti che al momento si combattono in Kurdistan. L’organizzazione assassina IS con le sue intenzioni, ambizioni e azioni monopoliste, egemoniche, ultra-patriarcali e repressive è la personificazione della modernità capitalista. La resistenza e il movimento delle donne curde che lotta per un sistema di società alternativa basato sulla modernità democratica, una significativa lotta per libertà, giustizia e democrazia oltre gli stati-nazione, economia capitalista e potere egemonico.

[...] Tradizionalmente le donne sono viste come parte delle terre che gli uomini devono proteggere. La violenza sessuale viene usata come strumento di guerra per “dominare” il nemico, in particolare dove il concetto di “onore” viene costruito intorno ai corpi e comportamenti sessuali delle donne. Le donne militanti vengono accusate di violare la “santità della famiglia” perché osano uscire dalla prigione centenaria che è stata loro assegnata. Il fatto ce le donne curde prendano le armi, simboli tradizionali del potere maschile, per molti versi è una devianza radicale dalla tradizione. Anche questa è una ragione per la quale molte donne che lottano, ovunque nel mondo, sono soggette ad una violenza sessuata, sia come combattenti, che come prigioniere politiche. Nel contesto delle donne militanti, lo scopo della violenza sessuata, fisica o verbale, è di punirle per essere entrate in una sfera riservata al privilegio maschile.


IS ha dichiarato esplicitamente una guerra contro le donne. Usa sistematicamente la violenza sessuata attraverso rapimenti, matrimoni forzati e stupro. Strumentalizza la religione per i suoi scopie sfrutta il concetto di “onore” prevalente nella religione. Secondo rapporti, migliaia di donne yezide di Shengal (Sijnar) sono state catturate, vendute nei mercati degli schiavi o “date” agli jihadisti come bottino di guerra, Questa sistematica distruzione delle donne è una forma specifica di violenza: il femminicidio.
L’ideologia sciovinista di IS non solo strumentalizza la religione per i suoi scopi egemonici, ma mira inoltre a stabilire un sistema di monopolismo completo. (…)
Nonostante il fatto che i media parlino delle donne al fronte, le motivazioni politiche della loro lotta sono spesso tralasciate. Per esempio, nonostante le ragioni della militanza delle donne curde siano molteplici, la maggior parte dei combattenti delle Unità di Difesa del Popolo (YPG) e delle Forze di Difesa delle Donne (YPJ) del Rojava (Kurdistan occidentale/Siria settentrionale) che stanno combattendo IS da due anni, sono leali all’ideologia del Partito del Lavoratori del Kurdistan, il PKK.

Il PKK nonostante venga definito “organizzazione separatista”, da tempo è andato oltre i concetti di stato e nazionalismo e ora sostiene un progetto do liberazione alternativo in forma di autonomia regionale e autogoverno, il “confederalismo democratico”, basato su parità di genere, ecologia e democrazia dal basso, messo in pratica attraverso i consigli popolari. Nelle sedi delle YPG/YPJ, che ora insieme al PKK aiutano anche le forze dei peshmerga dei curdi del sud (curdi irakeni) a difendere la regione da IS, in genere si trovano ritratti di Abdullah Öcalan, l’ideologo del PKK in carcere, le cui teorie hanno contribuito in larga parte alla liberazione delle donne in Kurdistan. Il PKK sfida il patriarcato e pratica la co-presidenza, che divide l’amministrazione in modo paritario tra una donna e un uomo, dalla presidenza dei partiti fino ai consigli di quartiere e ha quote di genere 50-50 a tutti i livelli delle amministrazioni. Queste politiche sono meccanismi per garantire la rappresentanza delle donne in tutti gli ambiti della vita, consigli, accademie, partiti e cooperative, oltre alla decostruzione patriarcato a livello teorico, mirano a dare significato a questa rappresentanza.

L’amministrazione del Kurdistan occidentale (Rojava) che ha dichiarato tre cantoni autonomi nel gennaio del 2014, ha applicato la co-presidenza e le quote, creato unità di difesa delle donne, consigli delle donne, accademie, scuole e cooperative. Le sue leggi mirano a democratizzare la famiglia e a eliminare la discriminazione di genere. Uomini che usano violenza contro le donne non possono far parte dell’amministrazione. Uno dei primi atti di governo è stato di mettere fuori legge matrimoni forzati, violenza domestica, delitto d’onore, poligamia, matrimoni con bambine, prezzo della sposa e scambio di spose. Le amministrazioni dei partiti, dei comuni, i consigli e comitati sono gestiti da una donna e un uomo, co-presidenti che condividono l’incarico. Ma i cantoni del Rojava vengono marginalizzati a livello internazionale attraverso embargo economici e politici.

Oppresso e marginalizzato in molte forme, etnia, classe, genere, il movimento delle donne curde è consapevole che la libertà deve comprendere tutti gli aspetti della vita. In questo modo la liberazione delle donne è diventata un prerequisito nella resistenza curda contro l’oppressione e non sorprende che le donne in tutta la regione, arabe, turche, armene e assire, partecipino sia alle unità armate che nelle amministrazioni.
È interessante notare che nonostante il fatto che il movimento delle donne sembri essere sull’agenda di oggi, le motivazioni e l’ideologia del movimento sembrano essere omesse a bella posta. Per esempio mentre alcuni articoli hanno iniziato ad ammirare il coraggio delle donne che lottano contro il regime e le forze legate ad Al-Qaeda nel Kurdistan occidentale, gli stessi autori spesso non citano il fatto che queste donne affermano in modo esplicito che la forza motrice dietro a questa mobilitazione è l’ideologia di Abdullah Öcalan, “L’uomo è un sistema. L’uomo è diventato stato e ha trasformato questo nella cultura dominante. Oppressione di classe e di genere si sviluppano insieme; la mascolinità ha prodotto il genere che comanda, la classe che comanda e lo stato che comanda. Se il maschio viene analizzato in questo contesto, è chiaro che la mascolinità deve essere uccisa. In effetti, uccidere il maschio dominante è il principio fondamentale del socialismo. Ecco cosa significa uccidere il potere: uccidente il dominio unilaterale, la disuguaglianza e l’intolleranza. Inoltre uccide fascismo, dittatura e dispotismo”.

E che piaccia o meno, l’ideologia del PKK è un fattore cruciale per raggiungere questo,
Analizziamo gli attacchi a Kobane in questo contesto. Molti attori della regione, in particolare Turchia, Qatar e Arabia Saudita hanno usato IS per i propri interessi e per molto tempo gli hanno fornito sostegno militare, finanziario e politico. Larga parte della comunità internazionale ha contribuito alla crescita di IS, se non altro con la passività e la tolleranza silenziosa. IS ha beneficiato dal sistema dello stato-nazione con le sue implicazioni capitalistiche (…).
In effetti molti sono stati contrari a chiamare IS “Stato Islamico” perché gli da una legittimità. Va messa in discussione la validità di questa affermazione, considerando che IS di fatto prende in prestito tutti gli elementi oppressivi dell’attuale sistema capitalista, patriarcale, orientato allo stato-nazione, ma in versione estremista.
Le strutture di autogoverno del Rojava sono state marginalizzate fin dall’inizio da tutto il mondo. I curdi sono stati esclusi da Ginevra II, vi sono embargo economici e politici contro i cantoni. E mentre Kobane è completamente assediata da IS, la comunità internazione ancora esita, perché la Turchia fa parte della NATO. Va detto che gli attacchi a Kobane sono un attacco al movimento delle donne, a un sistema alternativo, all’unica soluzione sostenibile alla crisi IS. Il sistema alternativo è sotto attacco perché ha il potenziale di sfidare radicalmente lo status quo. Sia l’ideologia del movimento delle donne che quella di IS sono classificate a livello internazionale come organizzazioni terroristiche, svelando la vera natura dell’ordine internazionale, che non vuole che il sistema alternativo del movimento curdo abbia successo, perché ne metterebbe in pericolo l’egemonia.

Le donne di tutte le parti del Kurdistan stanno lottando contro lo stato turco che ha il secondo più grande esercito della NATO e un governo conservatore che dice alle donne di non sorridere e di fare almeno tre figli, il regime iraniano che priva le donne dei loro diritto fondamentali, presuntamente in nome dell’Islam, e gli jihadisti radicali ai quali vengono promesse 72 vergini quando vanno in paradiso per le loro atrocità, dichiarando “halal” violentare le donne del nemico. Ma le donne curde sottolineano che continueranno a lottare contro il patriarcato in Kurdistan, contro i matrimoni di bambine, contro i matrimoni forzati, i delitti d’onore, la violenza domestica e la cultura dello stupro. Per le istituzioni patriarcali, accettare le donne come alla pari in combattimento, significherebbe mettere in discussione la loro egemonia. Così per IS, le donne curde combattenti sono il maggiore nemico.

IS non ha paura delle donne curde perché meglio equipaggiate o addestrate militarmente, ma perché l’ideologia di liberazione delle donne ha il potenziale di distruggere completamente l’egemonia del califfato patriarcale.
IS è solo la forma attualmente più estrema non solo di oppressione fisica delle donne; ma cerca anche di distruggere ideologicamente tutto ciò che la liberazione delle donne rappresenta. La lotta delle donne curde non è solo una lotta militare contro IS per l’esistenza, ma una posizione politica contro l’ordine sociale e la mentalità patriarcale alla base dell’ordine sociale e della mentalità patriarcale. Sfidare le strutture sociali attraverso la mobilitazione politica e l’emancipazione sociale, insieme all’autodifesa armata, è un contropotere sostenibile a lungo termine per sconfiggere la mentalità di IS.

Le donne del Kurdistan si percepiscono come le garanti di una società libera. È facile usare adesso le combattenti curde per dare un’immagine simpatetica di un nemico di IS, senza riconoscere i principi che stanno dietro alla loro lotta. L’apprezzamento per queste donne non dovrebbe essere correlato soltanto alla loro lotta militare contro IS, ma anche al riconoscimento della loro politica, delle loro ragioni e visioni. Se ci sarà una vittoria contro IS, avverrà per mano delle donne curde."

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