30/04/14

da lunedì 28 tenda di lotta per il lavoro a Taranto: lettera di una disoccupata organizzata



Noi disoccupati Organizzati siamo stanchi di restare senza un lavoro, abbiamo bisogno di vivere.Per poter vivere serenamente e' necessaria un'occupazione fissa. Noi disoccupati non vogliamo il sole, le stelle, ma uno stipendio per poter avere quella sicurezza che da pace al nostro cuore, garantendo anche la serenita' ai nostri figli che vivono una sofferenza peggiore della nostra... noi possiamo fare a meno di qualcosa ma i nostri piccoli no!!
Noi vogliamo avere i nostri diritti e lotteremo fino alla fine. Non vogliamo assolutamente mollare perche' non si puo' andare avanti provando questa sofferenza lavorativa; ce la faremo usando la nostra forza e la nostra unione che portera' a una svolta per la nostra vita futura. Noi ci facciamo sentire e chiediamo a chi ci ascolta di non abbandonarci perche' l'abbandono e l'essere soli ci porta alla morte. Questo non deve succedere, non lo permetteremo! Continueremo a lottare per ottenere lavoro restando insieme, sperando che questa difficolta' si sblocchi per il bene di tutti i Disoccupati Organizzati. La disperazione porta a fare gesti che non vogliamo fare stare, senza lavoro si stressa la mente di ogni essere umano.
Ma noi non vogliamo disperarci vogliamo e dobbiamo lottare!

Lupoli Donatella

**************

SI' LA DISPERAZIONE A VOLTE PUO' ESSERE AD UN PASSO, MA NON VOGLIAMO E NON DOBBIAMO "FARE UN FAVORE" A PADRONI E GOVERNI VOGLIAMO E DOBBIAMO RIBELLARCI E LOTTARE!
FORTE SOLIDARIETA' 

LAVORATRICI E PRECARIE IN LOTTA SLAI COBAS S.C. PALERMO

**********************

.MAI E POI MAI MOLLARE O FARSI PRENDERE DALLO SCONFORTO ..... FORZA E CORAGGIO 
COMPAGNE E COMPAGNI NON SIETE SOLI E ANCHE SE SIAMO LONTANI OGNI QUALVOLTA 
SCENDERETE IN PIAZZA PONETE LO SGUARDO IN PROFONDITA' ...ECCOCI ACCANTO A VOI  
....... SOLO LA LOTTA PAGA !!!

GIORGIA PRECARIA COOP SOCIALI
IN LOTTA PALERMO

*********************

27/04/14

il 25 aprile delle operaie cambogiane

Cambogia, la protesta delle operaie tessile

Le operaie tessili cambogiane stanno lottando per avere un trattamento migliore. Sono stufe di essere sottopagate e, attraverso i sindacati, chiedono un salario mensile minimo di 160 dollari (115 euro), il doppio di quello attuale.

La protesta scoppiata all'inizio dell'anno a Phnom Penh, però, era stata brutalmente repressa: il bilancio tragico è stato di cinque morti e decine di feriti.

Da allora qualsiasi manifestazione è stata vietata, ma sotto la cenere cova un profondo malcontento. I rappresentanti delle lavoratrici hanno invitato a forme di protesta, astenendosi dall'entrare nelle fabbriche.
Il settore tessile e confezione è cruciale per il paese asiatico, e cresce al ritmo del 7% all'anno. Vi trovano impiego 500 mila persone direttamente, più altri 3 milioni di posti indiretti. Il problema è nato dal fatto che negli ultimi quattro anni la Cina, attirata dal basso costo del lavoro, ha cominciato a spostare fabbriche in Cambogia. In media un'operaia è pagata un quarto che nell'ex Celeste impero. E, a mano a mano che la domanda di prodotti proveniente dall'Europa e dagli Stati Uniti aumentava, la situazione diventava esplosiva.
Il panorama locale è variegato, ma per semplificare si può dividere la produzione in due grandi gruppi: quella alla luce del sole, con attività registrate e centinaia di donne all'opera in immensi capannoni per dieci ore al giorno e sei giorni a settimana, e quella clandestina, che si trova spesso in campagna e sfugge a qualsiasi controllo. A colpire sono soprattutto i luoghi dove sono alloggiate le lavoratrici, nei pressi delle aziende. Per risparmiare, le donne condividono in 10 o 15 piccoli spazi di 10 metri quadrati. Il bagno è costituito da un rubinetto, dal quale esce acqua fredda, e da un secchio.
Per loro un innalzamento dello stipendio sarebbe di vitale importanza, ma gli investitori stranieri vedono questa misura come il fumo negli occhi. L'economista Ou Virak, presidente del Centro per i diritti umani della Cambogia, è realista e spiega che passare a un salario minimo di 160 dollari dall'oggi al domani farebbe scomparire immediatamente il 20% dei posti di lavoro. Molte giovani operaie rischiano di avere come unica alternativa la prostituzione. Meglio, piuttosto, procedere gradualmente: per esempio, 10 dollari in più ogni sei mesi, così da dare ai fornitori il tempo per adattarsi e negoziare con i clienti.

25 aprile 2014

26/04/14

Milano, è emergenza aborti: il caso Niguarda

l' articolo pubblicato su repubblica di oggi cerca di fare il punto sull'obiezione di coscienza prevista dalla L.194 a milano e in Lombardia. Probabilmente, questo articolo, è stato "sollecitato" anche da diverse iniziative che ci sono state a Milano sulla questione L. 194, obiezione di coscienza e, ultimo, ma significativo, simbolicamente e praticamente importante attacco ideologico alla libertà di scelta delle donne il corteo dei fondamentalisti cattolici NO 194 che si è svolto a Milano il 12 aprile.
Si analizza il dato tecnico, i tentativi di garantire, come la legge stessa prevede, nelle strutture pubbliche l'interruzione volontaria della gravidanza. Manca l'aspetto del ruolo e delle conseguenze dell'obiezione di coscienza, come spada di Damocle che incombe sulla vita delle donne, ad ammonire, a mettere in discussione la libertà di scelta delle donne che, sempre, allude a mettere in discussione la libertà di scelta delle donne in ogni ambito della loro esistenza.

Questo elemento le compagne del mfpr di Milano l'hanno fortemente posto nelle mobilitazioni del 1° febbraio- in concomitanza e solidarietà e sostegno alla lotta delle donne spagnole contro il disegno di legge Gallardon che intende criminalizzare le donne che abortiscono e riportare indietro la condizione delle donne in Spagna- ma sopratutto il 12 aprile contrastando la macabra marcia dei NO 194.
Nell'opuscolo S/catenate!,  abbiamo scritto: "...Per le donne ogni attacco alle condizioni di lavoro e di vita significa più oppressione, più subordinazione, più attacchi ideologici, più legittimazione di un clima generale da moderno medioevo - vera fonte delle violenze sessuali; ogni attacco aumenta la condizione di oppressione familiare, in una famiglia che diventa sempre più sia il più grande "ammortizzatore sociale" per il sistema capitalista sopretutto nella fase di crisi, ma anche strumento di controllo, normatività. Ogni peggioramento della condizione delle donne, quindi, non è solo materiale ma anche ideologico, mira a riaffermare costantemente la posizione di "debolezza" e subalternità delle donne in questa società capitalista.....Contro questa condizione generale delle donne, il nostro discorso, il nostro programma, la nostra lotta è all'insegna: "noi la crisi non la paghiamo-le doppie catene unite spezziamo", "tutta la vita deve cambiare", "contro il doppio sfruttamento e oppressione, doppia ribellione", ecc.
Uno "sciopero delle donne", quindi, non solo economico/sindacale, ma che, sia pur partendo dalle ragioni concrete di attacco e ponendo delle concrete rivendicazioni, è espressione e si carica della condizione generale delle donne.
Senza questo tipo di sciopero delle donne, le donne sono invisibili in quanto classe e genere, e non possono imporre il loro punto di vista..."
per questo nella piattaforma dello storico sciopero delle donne del 25 novembre abbiamo posto la necessità, tra l'altro, di un miglioramento della 194 con l'abolizione, in essa, dell'obiezione di coscienza. In distinzione e contro chi parla di "piena applicazione della 194", perchè significa voler, come abbiamo affermato "..riaffermare costantemente la posizione di "debolezza" e subalternità delle donne in questa società capitalista....."

mfpr- Milano


Milano, è emergenza aborti: Niguarda deve chiedere aiuto ai colleghi del Sacco

I medici non obiettori sono rimasti soltanto in due. Collaborazione necessaria per evitare lunghe attese. Il dg Trivelli: "Il progetto sta andando in porto, così riusciremo a garantire l’applicazione della 194"

di LAURA ASNAGHI
26 aprile 2014

Emergenza aborto all’ospedale di Niguarda. I medici non obiettori si sono ridotti a due e i vertici dell’ospedale, per garantire l’applicazione della 194, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, hanno chiesto aiuto ai ginecologi del Sacco. È la prima vota che succede a Milano. I medici non obiettori scarseggiano e così Marco Trivelli, il direttore generale del Niguarda, ha deciso di fare appello ai colleghi. «Il progetto sta andando in porto — spiega Trivelli — e grazie alla collaborazione tra i due enti, riusciamo a garantire la corretta applicazione della 194».

Nell’ultimo anno al Niguarda la situazione si era fatta molto critica per le donne che chiedevano di abortire. «Ci siamo ridotti ad accettare una media di venti richieste alla settimana e non di più — spiega Maurizio Bini, medico non obiettore del Niguarda, sempre in prima linea in difesa dei diritti delle donne — quando si è in pochi, far fronte a tutte le richieste è davvero difficile». E visto che, nonostante l’aiuto di un medico 'gettonista' (il cui contratto è in scadenza) molte finivano in lista d’attesa per l’aborto con interventi che venivano fatti a ridosso della scadenza della dodicesima settimana (il tetto imposto dalla legge), i medici hanno lanciato l’allarme e sollecitato i vertici a prendere provvedimenti.

Niguarda è l’ospedale che più soffre per la carenza di medici non obiettori: sono due su 16, che garantiscono 780 interruzioni l’anno. Negli altri enti le cose vanno meglio. In Mangiagalli ci sono 20 medici su 60, che garantiscono 1.300 interventi l’anno. Al Fatebenefratelli, a cui fa capo anche la Macedonio Melloni, i medici non obiettori sono otto su 26, ed eseguono 1.200 aborti l’anno. Al Sacco, l’ospedale che darà una mano al Niguarda, il rapporto è sei medici non obiettori su 12 (con 420 interruzioni di gravidanza). Al Buzzi cinque camici bianchi su 20 fanno aborti (1.000 all’anno), al San Paolo, otto su 18 sono pro 194 e garantiscono 400 interventi, mentre al San Carlo sette medici su 13 sono abortisti, con circa 700 interruzioni l’anno.

A Milano, rispetto al resto della Lombardia, la legge sull’interruzione della gravidanza è abbastanza tutelata. Fuori dal capoluogo lombardo, gli obiettori sfiorano percentuali del 76 per cento, come è stato denunciato di recente da Sara Valmaggi, consigliera del Pd e vicepresidente del Consiglio regionale. Ma il caso Niguarda dimostra che qualche crepa si sta aprendo anche a Milano. «Certo la collaborazione non si nega mai — spiega Irene Cetin, il primario di ginecologia del Sacco — i medici che accetteranno di andare a fare interruzioni di gravidanza al Niguarda lo faranno su base volontaria e fuori dall’orario di servizio. Altrimenti si rischia di impoverire il nostro servizio». E Mario Meroni, il primario della ginecologia ostetricia del Niguarda, spiega: «Con due medici non obiettori e un 'gettonista' è complicato applicare la 194 e coprire ferie, malattie e i turni notturni in corsia. La convenzione con il Sacco è un’ancora di salvezza».

Ma da cosa nasce il connubio tra i due ospedali? Secondo un piano, non ancora ufficializzato dalla Regione che prevede la riduzione delle direzioni generali degli ospedali, Sacco e Niguarda dovrebbero finire sotto lo stesso tetto e diventare parenti. E così in vista di questo nuovo capitolo della spending review sanitaria, i due ospedali fanno le provegenerali. «La cosa importante di tutta questa operazione — conclude Maurizio Bini — è che alla fine le donne che decidono di ricorrere all’aborto possano farlo in tempi brevi. L’attesa di una interruzione di gravidanza è sempre fonte di angosce».

24/04/14

25 Aprile...Onore alle partigiane

“...La partecipazione delle donne alla Resistenza fu dovuta principalmente a motivazioni personali. A differenza di molti uomini che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all'arruolamento dell'esercito di Salò, nessun obbligo militare costringeva le donne ad una scelta di parte. Potevano starsene a casa, insomma. La Resistenza fu anche occasione per affermare qui diritti che non avevano mai avuto. Mai come in quei mesi ci siamo sentite pari all'uomo. Paradossalmente con la guerra si crearono le condizioni di una libertà personale mai sperimentata prima. Molte di noi con la Resistenza si guadagnarono la loro autonomia...”

Onorina Brambilla detta Nori, nome di battaglia SANDRA   


Il pane bianco


La storia partigiana di Onorina Brambilla, “Sandra”, giovane milanese figlia di operai, è un coraggioso esempio del percorso compiuto da tante donne italiane che dopo l’8 settembre del 1943 non esitarono a battersi per la libertà. Un memoir autobiografico, privo di accenti retorici, minuzioso nelle ricostruzioni temporali e ambientali, che ripercorre a ritmo incessante questo tragitto, cogliendo i momenti più intensi della vita di una ragazza schierata con il minuscolo ma temibile esercito dei Gap, votato alle imprese più disperate nel cuore della metropoli.
Segue il dramma della prigionia a Bolzano in mano alle SS italiane a causa di una delazione e tanto agognata Liberazione, giunta il 30 aprile 1945. L’inizio di un lungo cammino che si concluderà, dopo una marcia a tappe forzate con altri compagni, attraverso la Val di Non e il passo del Tonale, in una Milano distrutta dalla guerra, dove riabbraccerà la famiglia e il suo comandante, Giovanni Pesce, “Visone”, di cui diverrà il 14 luglio 1945 la compagna di una vita.
In appendice le lettere scritte durante la prigionia a Bolzano e le testimonianze inedite del suo lungo impegno politico nel dopoguerra con il sindacato. Raccolta negli ultimi anni di vita di Onorina Brambilla, questa toccante testimonianza ha il valore del documento storico, ma è al tempo stesso un poetico testamento civile dei valori che hanno animato la Resistenza in Italia.

Giovanni e Nori - una storia di amore e resistenza

Libro di Daniele Biacchessi
Postfazione di Tiziana Pesce
Recensione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Presidente ANPI Sezione di Nova Milanese

Editori Laterza 2014

“Giovanni e Nori. Una storia di Amore e di Resistenza” è il libro di cui l'Autore, il caro amico Daniele Biacchessi, va molto fiero, perché lo considera il più bel testo che abbia mai scritto. E insieme a Tiziana Pesce, figlia dei protagonisti della storia narrata, il comandante partigiano Giovanni Pesce e la sua staffetta partigiana Onorina Brambilla, presenta questa opera dettagliatissima e di ampio respiro storicistico e storiografico, ovunque venga richiesta testimonianza. Un libro intenso ed avvincente che ripercorre gli anni della Storia dilaniata dalle dittature, attraverso le leggendarie imprese di Giovanni, durante la Guerra Civile Spagnola e, in seguito, durante la Resistenza al nazismo e al fascismo nel nostro Paese. Due storie, quelle di Giovanni e della sua staffetta Nori, che si dipanano parallelamente in un periodo tra i più oscuri della Storia mondiale. Nori subì anche la deportazione nel campo di concentramento e di smistamento di Bolzano e la sua Testimonianza citata nel libro, viene tratta dall'Archivio Audiovisivo delle Città di Nova Milanese e Bolzano, contenuto nel sito istituzionale “Lager e Deportazione”, nell'ambito del Progetto “Per non dimenticare”. Daniele Biacchessi, con questo libro, tramite la narrazione e il racconto, inserisce la storia dei due protagonisti nella Storia mondiale - “una storia nella Storia”- in sequenze molto intense, ricche di date, eventi, riferimenti storiografici documentati e nomi e cognomi dei protagonisti delle vicende narrate.

Giovanni, spinto dalla povertà, dalla precarietà esistenziale, si trasferisce da Visone, nel Piemonte, in Francia, per lavorare nelle miniere fin da bambino. Nel contempo, Nori trascorre la sua esistenza nella Milano fascista, assediata dalle truppe militari, ed entrambi prendono consapevolezza della propria appartenenza di classe e maturano un forte sentire di cambiamento rivoluzionario, una profonda coscienza comunista, un sentimento di condivisione di alti ideali di pace, libertà e democrazia, uniti dal filo rosso dell'Antifascismo che fa incontrare e innamorare i due giovani. Giovanni intraprende un percorso di rivoluzione nelle Brigate Internazionali nella Spagna assediata dalle truppe fasciste di Franco. Tornando in Italia, viene condannato al confino di Ventotene, dove conosce importanti intellettuali, da Curiel a Pertini, per citarne alcuni. Dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, i detenuti di Ventotene si organizzano e cominciano a tornare nei luoghi di origine. Giovanni inizia la clandestinità a Torino, dove assume il comando delle azioni dei GAP (Gruppi Armati Patriottici).

Nori e Giovanni si conoscono a Milano.

Sono uniti da alti ideali antifascisti di libertà, democrazia e pace che li accompagneranno per tutta la vita, percorrendo insieme anche le tappe storiche del dopoguerra e vivendo la cosiddetta “Resistenza tradita”. Gli ideali resistenziali sono elusi dalla realtà politica di fatto: la vittoria della Democrazia Cristiana, il terrorismo, gli anni di piombo, gli apparati burocratici statali intrisi di retaggi fascisti. Giovanni e Nori sono stati idealmente sempre uniti, anche prima di conoscersi personalmente, dal filo rosso di nobili principi condivisi che non si è mai spezzato, ma si è tenacemente consolidato negli anni, diventando così un simbolo della lotta per la Pace, perseguita sia sotto la devastazione nazifascista, sia in seguito, in difesa dei diritti sanciti della Costituzione, nata dalla Resistenza. Finita la guerra, la loro Resistenza è continuata con la coerenza e con l'ottimismo della volontà, tipici delle persone che hanno pagato con il proprio sacrificio per le scelte compiute, sopportando prove durissime, con cui hanno affermato la speranza in un mondo di pace e di impegno contro tutte le guerre e le violenze, contro tutte le dittature, i totalitarismi e a favore dell’emancipazione e dell’attuazione dei diritti di tutti gli esseri umani.

22/04/14

In Puglia aumentano le "dimissioni" per maternità

Una recente analisi dell'Ipres mostra che la situazione delle donne lavoratrici è peggiorata, e la Puglia in questo fa da apripista nel sud.
Le dimissioni per maternità sono raddoppiate nella nostra regione dal 2009 al 2013: 5 anni fa sono state 666, l'anno scorso 1098. Il dato più alto di tutto il sud.

Le donne che devono farsi carico del doppio lavoro, fuori e in casa, della famiglia sono costrette a dover rinunciare al lavoro, che poi significa rinunciare ad un reddito, ad un'indipendenza dall'uomo.

Si tratta di una "scelta" obbligata, imposta sempre più dalla mancanza di servizi sociali, di asili, dalle tariffe troppo alte, dai servizi di cura, di assistenza tutti scaricati sulle donne.

A questo si aggiungono le odiose "dimissioni in bianco" imposte da padroni alle donne, per poterle cacciare appena entrano in maternità; o le discriminazioni lavorative, salariali, di aumento di livelli, le lavoratrici in Puglia guadagnano il 20-30% in meno dei lavoratori maschi pur a pari lavori, con una differenza di circa 300 euro al mese; e "inevitabilmente" le donne si trovano collocate a posti di lavoro inferiori.

Le donne, poi, sono quelle che meno trovano lavoro.

Una condizione lavorativa che, per le donne, unisce sempre attacchi materiali, economici ad aumento di dipendenza troppo spesso accompagnata da una condizione di oppressione in famiglia.


Contro tutto questo non bastano gli "sportelli" delle consigliere di parità, non bastano le denunce che ogni tanto compaiono sulla stampa, occorre la lotta delle lavoratrici, delle disoccupate, la loro unità, organizzazione.


LE DISOCCUPATE, LE LAVORATRICI PRECARIE GIA' IN LOTTA A TARANTO STANNO PREPARANDO UN CONVEGNO SU DONNE-LAVORO, SU UNA PIATTAFORMA DI LOTTA, a cui chiamano tutte le donne che non vogliono essere solo un numero con il meno affianco nelle statistiche di questo Stato.


lavoratrici, disoccupate slai cobas per il sindacato di classe
TARANTO

Con Rosalba... se toccano una toccano tutte - sit-in all'ospedale

SIT-IN DI COMPAGNE, DONNE, STUDENTESSE OGGI ALL'OSPEDALE DI VILLA SOFIA IN SOLIDARIETA' A ROSALBA, LA GIOVANE DONNA ACCOLTELLATA E QUASI UCCISA DAL SUO EX LA SCORSA SETTIMANA A PALERMO PERCHE' LEI LO AVEVA LASCIATO.




UN'INIZIATIVA DI SOLIDARIETA', DENUNCIA E LOTTA SCATURITA DALL'ASSEMBLEA, PROMOSSA DAL COLLETTIVO ANILLO DE FUEGO, CHE SI SI E' TENUTA GIOVEDI' SCORSO ALL'AULA ROSTAGNO PRESSO IL COMUNE DI PALERMO, IN CUI COME COMPAGNE DEL MOVIMENTO FEMMINISTA PROLETARIO RIVOLUZIONARIO E LAVORATRICI/PRECARIE SLAI COBAS PER IL S.C. ABBIAMO PARTECIPATO.

ROSALBA E' UN'ALTRA DONNA OFFESA GRAVEMENTE CHE SI AGGIUNGE PURTROPPO AD UN LUNGO ELENCO DI DONNE UCCISE, VIOLENTATE, MOLESTATE, AGGREDITE NEL NOSTRO PAESE... UNA VIOLENZA AMPIA, SISTEMICA CHE E' IL FRUTTO PIU' MARCIO DI QUESTA SOCIETA' CAPITALISTA CHE FACENDO A 360 GRADI DELL'OPPRESSIONE DELLA MAGGIORANZA DELLE DONNE UN SUO CARDINE/BASE SPARGE IN OGNI AMBITO, FAMILIARE, LAVORATIVO, CULTURALE, SESSUALE..., UN HUMUS REAZIONARIO, SESSISTA, MASCHILISTA CHE ALIMENTA LA VIOLENZA SULLE DONNE
UNA SOCIETA' BARBARA CHE NON PUO' ESSERE RIFORMATA MA ROVESCIATA, CONTRO CUI LA MAGGIORANZA DELLE DONNE E' CHIAMATA AD ESSERE IN PRIMA FILA NELLA DOPPIA LOTTA, CONTRO LA DOPPIA VIOLENZA DI CLASSE E DI GENERE. PER OGNI DONNA STUPRATA, UCCISA, OFFESA SIAMO TUTTE PARTE LESA PER OGNI DONNA OFFESA NON BASTA IL LUTTO PAGHERETE CARO PAGHERETE TUTTO IL CORPO DELLE DONNE NON SI TOCCA LO DIFENDEREMO CON LA LOTTA

ALCUNI TRA GLI SLOGAN LANCIATI DALLE DONNE ALTERNATI AD INTERVENTI AL MEGAFONO PER FARE SENTIRE INNANZITUTTO FORTE LA VICINANZA A ROSALBA MENTRE CI SI SPOSTAVA FACENDO UN BREVE CORTEO DALL'INGRESSO DELL'OSPEDALE VERSO IL REPARTO IN CUI SI TROVA RICOVERATA ROSALBA LA QUALE TRAMITE PERSONALE DELL'OSPEDALE E' STATA AVVISATA DELLA PRESENZA DELLE DONNE E HA FATTO SAPERE DI ESSERE CONTENTA E CHE AVREBBE VOLUTO AFFACCIARSI DALLA FINESTRA.

UN FORTE APPLAUSO E' STATO LANCIATO VERSO DI LEI E VERSO TUTTE LE ALTRE DONNE CHE SONO STATE UCCISE, VIOLENTATE, CHE SONO OPPRESSE... LA NOSTRA DOPPIA LOTTA DOPPIA E' LUNGA E ARTICOLATA MA CERTAMENTE NON SI FERMA!


 
COMPAGNE DEL MFPR LAVORATRICI/PRECARIE SLAI COBAS S.C.

continua l'iniziativa del fondamentalismo cattolico contro il diritto d'aborto

Continua l'iniziativa del fondamentalismo cattolico- che il 10 aprile a Bruxelles ha presentato la raccolta firme "Uno di Noi", dove l'uno è l'embrione che sarebbe già Uno e quindi portatore di diritti e le donne che abortiscono delle assassine- contro il diritto di scelta delle donne in tema di maternità, ma è un attacco a tutto tondo perchè attiene al ruolo che vuole le donne subordinate in famiglia, a svolgere un ruolo di supplente per servizi di cura e assistenza sempre più ridotti al lumicino e\o perchè, quando disponibili, non se ne possono sostenere i costi, sopratutto dentro la crisi, la precarietà del lavoro o il non lavoro. Insomma si vogliono riportare le donne a un Moderno Medioevo. Ecco perchè l'attacco al diritto d'aborto che vede il fondamentalismo cattolico svolgere un ruolo di testa d'ariete e che trova come controaltare l'iniziativa delle istituzioni che in modi diversi tendono ad affermare la centralità della famiglia, l'incentivazione alle nascite-preferibilmente italiani- ma a cui non importa nulla della vita concreta, in primis, delle donne, : perchè simbolicamente rappresenta la libertà di scelta delle donne in tutti i campi della vita, contiene il germe della ribellione e di "tutta la vita deve cambiare", contro l'insopportabilità di una condizione che non ha nulla di naturale.

Dopo le veglie di preghiera davanti agli ospedali e la marcia dei fondamentalisti cattolici NO 194 a Milano che vogliono l'abrogazione della 194, ora il movimento per la vita presenta le firme per il riconoscimento giuridico dell'embrione e si prepara per la manifestazione annuale che si terrà il 4 maggio a Roma, con tanto di convegno "scientifico".


In Italia, il riconoscimento giuridico dell'embrione è già stato introdotto nell' art. 1 della L.40 sulla fecondazione: riconoscimento che, insieme all'obiezione di coscienza prevista nella 194, costituiscono una spada di damocle concreta contro il diritto d'aborto in questo paese. Per questo nella piattaforma dello sciopero delle donne abbiamo posto la necessità di migliorare la 194 con l' abrogazione, in essa, dell'obiezione di coscienza.

Di seguito un articolo sulla campagna Uno di noi .
mfpr- milano

No all’aborto: la follia oscurantista sfida l’Europa

Bookmark and Share
Approfondimenti
Attacco frontale ai diritti delle donne: no ai finanziamenti per le attività di tutela della salute riproduttiva, sì al riconoscimento giuridico dell'embrione.

di Cecilia M. Calamani, da Cronache Laiche


http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2014/04/aborto-diritto.jpg 
 Dopo la bocciatura, lo scorso dicembre, di una risoluzione a tutela della salute riproduttiva della donna - che comprendeva il diritto all'aborto sicuro, l'accesso alla contraccezione e la necessità di educazione sessuale per i ragazzi - il parlamento europeo si trova di fronte a una nuova prova che ci farà capire in quale misura l'ultraconservatorismo bigotto sta prendendo piede tra gli scranni del vecchio continente.

Con un'audizione pubblica, il 10 aprile sono state presentate a Bruxelles le firme raccolte nei 28 paesi membri per la campagna
Uno di noi, che chiede all'Unione europea di porre fine al sostegno politico ed economico di attività che potrebbero comportare la distruzione di embrioni umani, inclusa la ricerca sulle cellule staminali embrionali e i servizi di aborto sicuro erogati da organizzazioni non governative nei Paesi in via di sviluppo. Il caposaldo della petizione è la richiesta di riconoscimento giuridico dell'embrione umano, che comporterebbe il diritto «alla vita e dell'integrità» sin dal momento del concepimento.

Nell'attesa della risposta del parlamento europeo, prevista entro il 28 maggio, possiamo provare a capire cosa succederebbe se una simile petizione venisse accolta. Intanto c'è da osservare che l'Italia ha fornito da sola il numero più alto di
firme valide
(circa 624mila su un totale di un milione e 700mila, contro le 145mila della Spagna, 83mila della Francia, 138mila della Germania), a dimostrare quanto da noi i sedicenti movimenti "per la vita" siano radicati e attivi. E d'altronde ciò non stupisce, se si pensa che la media degli obiettori di coscienza alla legge 194 sull'interruzione di gravidanza si attesta al 70 per cento su scala nazionale.

Ma veniamo all'embrione e al suo riconoscimento giuridico. La mira è chiara: equiparare l'aborto e la ricerca sugli embrioni in sovrannumero (quelli crioconservati senza alcuna possibilità di impianto) all'omicidio. Perché se l'embrione avesse la dignità giuridica di persona, il suo diritto alla vita si contrapporrebbe a quello della donna di interrompere la gravidanza e tra i due diritti prevarrebbe, come di solito in giurisprudenza, quello del soggetto più debole, l'embrione. Si arriverebbe così al paradosso di una guerra di diritti tra due entità non paragonabili se non nella testa degli integralisti religiosi: un embrione (una persona che ancora non è) e una donna (una persona che è). Ovvio che l'Europa non possa violentare le legislazioni nazionali definendo l'aborto un omicidio, ma chiedere di riconoscere la dignità giuridica dell'embrione è il primo passo, nella testa dei prolife, per togliere alle donne il diritto basilare di decidere sul loro corpo.

Il problema però esiste nei Paesi in via di sviluppo: l'iniziativa Uno di noi prende di mira in particolare i fondi (circa 120 milioni di dollari ogni anno) che l'Ue eroga a organizzazioni non governative per la protezione della salute riproduttiva delle donne. Secondo quanto afferma la Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione legge 194), in questi Paesi muoiono quasi 800 donne al giorno per problemi legati alla gravidanza o al parto. Ecco quindi che chi dice di "difendere la vita" (come se chi è a favore dell'aborto difendesse la morte) in realtà è interessato solo a "difendere" il concepimento, intoccabile per dogma di fede qualsiasi cosa ciò comporti per la madre.

Il ruolo della Chiesa, responsabile di questi deliri antiumanitari che ledono la libertà di scelta e il diritto alla salute delle donne, è enorme e senza scuse. L'11 aprile, il giorno dopo la consegna delle firme a Bruxelles, Bergoglio ha ricevuto in udienza prima i rappresentanti dell'Ufficio internazionale cattolico dell'infanzia e poi quelli del Movimento della vita, una delle associazioni promotrici della campagna Uno di noi. Ai primi ha detto: «Mi sento chiamato a farmi carico di tutto il male che alcuni sacerdoti, abbastanza in numero ma non in proporzione alla totalità, e a chiedere perdono per il danno che hanno compiuto, per gli abusi sessuali sui bambini». Ai secondi, elogiando la loro opera di difesa della vita dal concepimento alla morte, ha citato testualmente il Concilio Vaticano II: «L'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli».

Il messaggio è chiaro. Abusare sessualmente di un bambino è un «male», mentre abortire è un «delitto abominevole». Nonostante la presunta innovazione di Bergoglio, nulla si discosta da ciò che è sempre stato inciso a fuoco nella dottrina cattolica: l'aborto è un peccato talmente grave da meritare la scomunica latae sententiae (ossia d'ufficio) per la donna, mentre la violenza su un bambino, peccato meno grave, si risolve con il pentimento e la preghiera. In altri termini ancora, violare l'infanzia lasciando tracce indelebili per la vita è molto meno grave che distruggere un'entità biologica senza terminazioni nervose. Il prodotto del concepimento vale più di un essere umano, insomma. Più di un bambino, più di una donna, e i prolife diffondono questa "verità" per il mondo con la benedizione del papa. Che poi l'embrione, diventato persona, possa essere abusato per mano di un pastore di anime o morire di parto è solo una spiacevole casualità.

19/04/14

Strette a Rosalba... presidio donne all'Ospedale Villa Sofia oggi a Palermo

In delegazione parteciperanno le donne del movimento femminista proletario rivoluzionario e le precarie/lavoratrici dello Slai Cobas s.c.

*****

Se toccano una toccano tutte, la violenza sulle donne ci riguarda tutt*! 

A volte, pensandoci, ci sembra assurdo dover parlare di violenza sulle donne come un urgenza del Bel Paese. Poiché tale fenomeno non è un allarme sociale improvviso ma, come molte di noi hanno condiviso all’Assemblea cittadina convocata presso l’aula Rostagno di Palazzo delle Aquile da Collettivi e Associazioni, la violenza contro le donne è sistemica e strutturale e molto andrebbe fatto per sconfiggerla e destrutturarla. Basta pensare all' uso che la pubblicità fa del corpo delle donne, rappresentato sempre e soltanto come oggetto del desiderio maschile, alla rappresentazione che delle donne " meritevoli" viene fatta dai maggiori organi di informazione come angelo del focolare, madre e moglie amorevole, basta pensare agli attacchi alla legge 194 che dovrebbe garantire il diritto all' aborto delle donne sempre piu messo in discussione dall' obiezione di coscienza e alle discriminazioni che le donne subiscono sui luoghi di lavoro, per capire che la violenza contro le donne è un fenomeno sociale che viene perpetrato quotidianamente su ognuna di noi.
Anche per questo ci sembra urgente oggi nella nostra città dare una risposta forte a ciò che è accaduto nei giorni scorsi.
Lunedi in via Marchese di Villabianca, Rosalba Guicciardi è stata aggredita con tre fendenti allo stomaco e al collo con un grosso coltello da cucina dall’ex compagno mentre si trovava nella sua auto, in pieno giorno. Oggi si trova in terapia intensiva presso l’ospedale Villa Sofia e le sue condizioni dopo un difficile intervento chirurgico stanno migliorando. L’aggressore è stato arrestato dopo 5 ore dal fatto.
Ciò a cui assistiamo oggi dunque è ancora una volta una storia di violenza sulle donne, che i media non hanno perso occasione di raccontare in termini di delitto passionale: ciò che ci è stato trasmesso dagli organi ufficiali d’informazioni è l’ennesimo delitto avvenuto per “il troppo amore”, per mano di un uomo che stava per perdere il lavoro e dunque definito “instabile” (come se ciò bastasse a giustificare il tentato omicidio nei confronti dell’ex compagna, oggetto di sfogo del possidente).
Tra l’altro, anche Rosalba come tante altre, aveva già denunciato il suo aggressore per stalking un mese prima della violenza subita pubblicamente per strada, un fatto questo che palesa come lo stato che afferma di voler ergersi a difesa delle donne in nome del securitarismo, in realtà ancora oggi non è in grado nemmeno di garantire coloro che allo stato si rivolgono.
Crediamo dunque che scendere in piazza Sabato 19 Aprile, con un presidio davanti l’ospedale Villa Sofia a fianco di Rosalba, ancora in gravi condizioni, significa ancora una volta scendere in piazza per tutte le donne, perché la violenza di genere ci riguarda tutte e le donne palermitane non accettano di restare ancora indifferenti a ciò che succede nei nostri territori.
ASSEMBLEA PALERMITANA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

SE TOCCANO UNA TOCCANO TUTTE!
NON E’ TEMPO PER VITTIME, E’ ORA DI LOTTARE!

SABATO 19 APRILE ORE 10.00 – OSPEDALE VILLA SOFIA

18/04/14

Femen, protesta a Parigi contro Le Pen e l'epidemia fascista'

PARIGI, 22 APR - Un gruppo di attiviste del collettivo femminista Femen, a seno nudo e con disegni di bandiere europee e croci celtiche sul petto, hanno manifestato oggi davanti all'edificio parigino in cui si teneva la presentazione ufficiale della campagna del Front National per le elezioni europee. Gli slogan scanditi e scritti sul corpo delle Femen denunciano l' "epidemia fascista" dei partiti nazionalisti ed euroscettici che "contamina" il Parlamento europeo nelle prossime elezioni.


Le badanti: le nuove schiave

Sono una vittima del badantaggio. A testimoniare questa triste condizione di sfruttamento potrei chiamare anche tante altre, incluse le migranti che arrivano qui grazie al decreto flussi, ovvero alla tratta delle addette ai cosiddetti “ruoli di cura”. Impieghi definiti “necessari” alla sostituzione dello Stato sociale che viene sempre più smantellato. 
Il punto è che, dalle mie parti, se mai uno Stato sociale sia esistito non l’abbiamo proprio visto. Mi hanno detto: “Smantellano lo Stato sociale”. Io ho risposto: “Ah sì, e dove stava di preciso?”.
Tra meridionali e migranti si trova infatti un’immediata intesa perché in realtà sono viste più come colleghe e vittime dello stesso progetto di ingegneria sociale. Le donne, private della libertà di scelta, economicamente dipendenti, a fare le badanti e gli uomini nei cantieri
Sono una vittima dello sfruttamento del badantaggio e delle sue strategie motivazionali (“sei tanto brava, empatica, migliore se ti prendi cura del mondo intero!”) e vorrei testimoniare che di questa triste condizione sono stata vittima fin da bambina. Perché vedete: in ogni famiglia c’è almeno una persona bisognosa, disabile o anziana della quale qualcuno all’interno del nucleo deve prendersi cura. Solitamente la parentela latita e i figli spariscono. Poi ci sono le ingenue, quelle che non solo devono badare al sangue del proprio sangue, ma anche alle suocere e ai parenti dei mariti. 
In qualità di figlia femmina vieni addestrata già per questa evenienza perché ti tocca a prescindere da quello che vuoi fare nella vita. Fin da bambina devi aiutare la mamma - vittima a sua volta – a nutrire e cambiare persone anziane e tutta la tua vita può ruotare attorno a quel ruolo. Da noi, d’altronde, la tratta di colf e badanti è una questione abbastanza controversa. A volte sono vissute perfino come concorrenza sleale e non mancano pregiudizi e stigmi su quelle che arrivando dall’est vengono temute e viste come le “comari” vedevano “bocca di rosa” nella celebre canzone di Fabrizio De Andrè. 
Se hai un lavoro o stai benino economicamente puoi permetterti di sgravarti dai compiti di assistenza e assegnarli a prezzi da fame a donne migranti che per dormire a casa dell’anzian@ devono mollare la propria vita, storia, figli, identità, privacy e intimità. Prendi un corpo e lo piazzi a fare raccolta di merda dei vecchi invece che di batuffoli di cotone e la storia pare sempre uguale. Ci sono quelle che vengono assunte da premurosi figli che dei genitori non vogliono saperne e vengono lasciate per anni a gestire la vita di questi anziani. Tuttavia, nel caso in cui il vecchio padre decida di risposarsi, lasciare beni e mostrare riconoscenza a questa donna che lo ha accudito, i discendenti non solo si sorprendono, ma si arrabbiano non poco. 
Allora quaggiù nel meridione si diffonde la fobia della straniera che “se si piazza in casa poi se la fa intestare e con la crisi galoppante i figli si fanno furbi”. Per questo si torna al vecchio cliché della nuora disponibile, anche lei privata del diritto a scelte, figli, storie, identità e futuro, così da tenere occupato il fortino prima che una migrante prenda il malloppo e scappi. Quando il vecchio o la vecchia muore, la parentela torna, concede alla nuora/badante una pacca sulla spalla e poi si apre la guerra di successione per ottenere “la roba”
Fosse ancora vivo Giovanni Verga su queste vicende scriverebbe tomi. A me tocca sintetizzare in un post l’oscenità di una condizione che non consente scelta e spazio alle donne, soprattutto, perché la società immagina di poter ipotecare le esistenze di ciascuno con l’obiettivo di far procedere senza intoppi la macchina capitalista. Ed è in quel caso che si scorgono le contraddizioni di un sistema in cui i paternalismi smettono di sentire l’urgenza di salvarti seppure tu chieda spazio per compiere altre scelte.
Che dite: si può parlare dell’abolizione del badantaggio o dobbiamo ancora tenere in vita questo mestiere – il più vecchio del mondo – che non ci lascia alcuna possibilità di scelta? E se le migranti volessero emanciparsi, essere libere di scegliere ed essere “salvate” dallo sfruttamento a cura del racket del badantaggio voi dite che avranno possibilità di fare un altro lavoro? Vedersi riconosciuto un titolo di studio? Poter chiedere il ricongiungimento con i figli per non farci perire di calo demografico e per la gioia della nostra ministra alla salute Lorenzin?