28/10/11

YEMEN: le donne in piazza bruciano i burqa

Migliaia di donne yemenite sono scese in piazza per sfidare la brutale repressione delle proteste perpetrata da 9 mesi dal presidente Ali Abdullah Saleh (con il tacito appoggio degli Usa e degli altri paesi che hanno partecipato alla «liberazione» delle Libia). Ieri, a migliaia, si sono ritrovate nelle strade della capitale Sanaa e hanno dato fuoco ai loro burqaa, il velo integrale islamico, e innalzato cartelli in cui stava scritto: «Il macellaio Saleh uccide le donne ed è orgoglioso di questo» o «Noi donne non abbiamo alcun valore agli occhi di Ali Saleh». Era la prima volta che nei 9 mesi di rivolta contro il presidente a vita (è al potere da più di 30 anni e non vuole saperne di togliere le tende), con centinaia di morti e una guerra civile strisciante, che le donne hanno «alzato il livello dello scontro» a un punto molto sensibile della simbologia islamica. Il recente conferimento del Nobel per la pace alla attivista yemenita Tawakkol Karman ha dato ulteriore spinta alle donne yemenite impegnate in una lotta di liberazione che va al di là dell'uscita di scena di Saleh, uomo degli americani, pur nella sostanziale indifferenza della «comunità internazionale» così pronta a intevenire in difesa dei diritti umani e dei «civili» nella Libia di Gheddafi. Secondo una della leader della protesta, Ruqaiah Nasser, solo in ottobre più di 60 donne sono state «attaccate» dalle forze governative nel silenzio «lamentevole» dei leader tribali: «Noi non staremo in silenzio e ci difenderemo se i nostri uomini non sono in grado di difenderci». (IL Manifesto del 27.10.11)

SANAA - Sono ancora una volta le donne a scendere in piazza. Centinaia di donne yemenite hanno dato fuoco, ieri, ai tradizionali veli in segno di protesta contro la brutale repressione del governo alle rivolte popolari del paese.
Sarebbero rimasti uccisi 25 persone, secondo alcune fonti locali. Sarebbero morti durante la notte a Sanaa e nella città di Taiz, nonostante il cassate il fuoco annunciato da Saleh martedì.
"Questo è un appello di donne libere dello Yemen, qui si bruciano le nostre makrama (il tradizionale velo) di fronte al mondo per protestare contro i massacri sanguinosi del tiranno [presidente Ali Abdullah] Saleh,'' si legge sui volantini che le stesse donne scese in piazza hanno distribuito.
Le donne yemenite hanno assunto un ruolo chiave nella rivolta contro il regime di Saleh iniziate lo scorso marzo, e ispirata dalle rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia.(red. Il Mediterraneo)
YEMEN
Donne in piazza contro Saleh bruciano i burqa

Migliaia di donne yemenite sono scese in piazza per sfidare la brutale repressione delle proteste perpetrata da 9 mesi dal presidente Ali Abdullah Saleh (con il tacito appoggio degli Usa e degli altri paesi che hanno partecipato alla «liberazione» delle Libia). Ieri, a migliaia, si sono ritrovate nelle strade della capitale Sanaa e hanno dato fuoco ai loro burqaa, il velo integrale islamico, e innalzato cartelli in cui stava scritto: «Il macellaio Saleh uccide le donne ed è orgoglioso di questo» o «Noi donne non abbiamo alcun valore agli occhi di Ali Saleh». Era la prima volta che nei 9 mesi di rivolta contro il presidente a vita (è al potere da più di 30 anni e non vuole saperne di togliere le tende), con centinaia di morti e una guerra civile strisciante, che le donne hanno «alzato il livello dello scontro» a un punto molto sensibile della simbologia islamica. Il recente conferimento del Nobel per la pace alla attivista yemenita Tawakkol Karman ha dato ulteriore spinta alle donne yemenite impegnate in una lotta di liberazione che va al di là dell'uscita di scena di Saleh, uomo degli americani, pur nella sostanziale indifferenza della «comunità internazionale» così pronta a intevenire in difesa dei diritti umani e dei «civili» nella Libia di Gheddafi. Secondo una della leader della protesta, Ruqaiah Nasser, solo in ottobre più di 60 donne sono state «attaccate» dalle forze governative nel silenzio «lamentevole» dei leader tribali: «Noi non staremo in silenzio e ci difenderemo se i nostri uomini non sono in grado di difenderci». (IL Manifesto del 27.10.11)

SANAA - Sono ancora una volta le donne a scendere in piazza. Centinaia di donne yemenite hanno dato fuoco, ieri, ai tradizionali veli in segno di protesta contro la brutale repressione del governo alle rivolte popolari del paese.
Sarebbero rimasti uccisi 25 persone, secondo alcune fonti locali. Sarebbero morti durante la notte a Sanaa e nella città di Taiz, nonostante il cassate il fuoco annunciato da Saleh martedì.
"Questo è un appello di donne libere dello Yemen, qui si bruciano le nostre makrama (il tradizionale velo) di fronte al mondo per protestare contro i massacri sanguinosi del tiranno [presidente Ali Abdullah] Saleh,'' si legge sui volantini che le stesse donne scese in piazza hanno distribuito.
Le donne yemenite hanno assunto un ruolo chiave nella rivolta contro il regime di Saleh iniziate lo scorso marzo, e ispirata dalle rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia.(red. Il Mediterraneo)

NO TAV: Elena e Marianna libere!


Tav, stop agli arresti domiciliari per le due attiviste No Tav

Revocate le misure cautelari per Elena Garberi e Marianna valenti, arrestate per gli scontri del 9 settembre. Ma non possono andare nè a Chiomonte nè a GiaglioneIl gip Roberto Salerno ha revocato le misure cautelari degli arresti domiciliari per Elena Garberi, detta Nina, e dell'obbligo di dimora per Marianna Valenti, le due militanti del movimento No Tav arrestate a Chiomonte negli scontri al cantiere della Maddalena la sera dello scorso 9 settembre. Per entrambe, tuttavia, permane il divieto di ingresso nei Comuni di Chiomonte e Giaglione.
A chiedere la revoca della misura per Valenti, 20 anni, costretta fino a oggi nella casa della sua famiglia a Oglianico, era stato l'avvocato Marco Melano, che aveva chiesto in subordine il divieto di ingresso a Chiomonte e Giaglione.
Quest'ultimo provvedimento era invece stato chiesto da Gianluca Vitale, legale di Garberi, 39 anni, in sostituzione degli arresti domiciliari.
Soddisfazione per la revoca dei provvedimenti più restrittivi è stata espressa dal Movimento No Tav che, su alcuni siti, sottolinea che il divieto di ingresso a Chiomonte e Giaglione è una "prescrizione che limita la libertà di dissenso ed espressione".

23/10/11

Le donne della Val Susa si danno da fare, sanno cucire ma anche tagliare

Tav, primo confronto con la polizia /reti tagliate, manifestanti nei boschi


La testa del corteo fronteggia la polizia, una vecchietta taglia una rete, mentre arrivano altre donne valsusine con le cesoie.
Lo slogan: "Le donne della Val Susa si danno da fare, sanno cucire ma anche tagliare".
Diecimila persone - un migliaio per la questura, ventimila secondo un portavoce del centro sociale Askatasuna - sono partite dal campo sportivo di Giaglione verso le 11.30. Il corteo si è subito diviso in vari spezzoni: anziani, donne e bambini sono stati invitati a proseguire verso il blocco
della polizia, altri si sono incamminati sul sentiero Monaci per entrare nella "zona rossa". L'autostrada è stata chiusa a Rivoli. Fermati 14 giovani con sciarpe e paracolpi

La testa del corteo sul sentiero Balcone sta fronteggiando la polizia. Un'anziana ha tagliato simbolicamente la prima rete eretta a difesa del blocco. Altre donne valsusine con le cesoie stanno per raggiungere la recinzione che impedisce all'accesso alla val Clarea, mentre un gruppo di altri manifestanti si è separato dal corteo al bivio delle Gorgie con l'obiettivo di raggiungere la baita di Chiomonte passando attraverso i sentieri. Le donne si avvicinano scandendo lo slogan: "Le donne della Val Susa si danno da fare, sanno cucire ma anche tagliare". La manifestazione è
divisa in tre tronconi, tutti puntano per strade diverse ad arrivare alla baita, sono a una mezz'ora di cammino.
A difesa della recinzione sono schierate le forze dell'ordine, disperse anche tra le vigne per osservare i manifestanti che si dividono nei sentieri, senza intervenire. Il viadotto Clarea e' pieno di mezzi di polizia e carabinieri. Anche l'area del cantiere sottostante e' controllata da centinaia di uomini. I manifestanti affacciati dal costone della montagna invitano ironicamente gli uomini in divisa a "unirsi alla lotta e passare dalla loro parte"
Durante il fronteggiamento alle reti gli altri manifestanti si stanno disperdendo lungo i sentieri per aggirare il blocco.

Il corteo No Tav è partito alle 11.30 dal campo sportivo di Giaglione. Secondo gli organizzatori, sono in marcia 10mila persone, "ma moltissime devono ancora arrivare in valle e attualmente sono ferme ai posti di blocco". Secondo i dati della Questura, alla partenza il corteo era composto
da 700 manifestanti, mentre altre 500 persone, per lo più donne e bambini, erano ferme al campo sportivo e nella piazza di Giaglione. Un portavoce del centro sociale Askatasuna parla di 20mila. La testa del corteo è già entrata nella "zona rossa", ma non si registrano incidenti. La massa dei militanti sta cominciando a dividersi in vari spezzoni per provare a entrare nella
"zona rossa": per il momento due sono i tronconi, i primi proseguono sul sentiero balcone verso il presidio della polizia, un altro pezzo si è incamminato sul sentiero Monaci per aggirare il blocco. Con entrambi gli spezzoni ci sono gli avvocati del legal team. Le "istruzioni" al megafono:"Ognuno fa come si sente. Chi vuole sale sulla montagna verso la baita, chi vuole prende i sentieri successivi, altri possono proseguire fino al blocco". Anziani, donne e bambini sono stati invitati a prendere il sentiero più semplice per arrivare alla baita e scavalcare il blocco. Tutti sono comunque determinati ad andare avanti.


L'autostrada Torino-Frejus è stata chiusa "a scopo precauzionale" a Rivoli. Presidiate anche le due statali. E' una Val di Susa blindata. Un elicottero sorvola l'area in cui dovra' passare la manifestazione.

Drappelli delle forze dell'ordine controllano auto sospette alla ricerca di tutto ciò che potrebbe servire per un assalto violento: da questa mattina 419 sono stati gli identificati, 286 i veicoli controllati e tre persone denunciate a piede libero. La cautela è massima dopo la guerriglia a Roma una settimana fa. A Giaglione, dove sta per partire la marcia dei No Tav, la situazione è tranquilla e nella notte non ci sono stati i temuti incidenti. I primi gruppi di manifestanti sono già arrivati e si sono mischiati alle televisioni e ai giornalisti accorsi in valle per seguire il corteo. Alcuni gruppetti si sono staccati dalla piazza per "esplorare" i boschi circostanti
alla ricerca dei posti di polizia. Secondo il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, "è difficile che le forze dell'ordine riescano a controllare un afflusso di 30mila persone. Penso che la zona rossa potrà essere attraversata e credo che il movimento riuscirà a controllare la situazione con il proprio servizio d'ordine". A un banchetto No Tav, al campo sportivo di Giaglione, sono in vendita anche tronchesine. Ce ne sono di vari tipi, tra i 15 e i 30 euro. Al momento nessuno le ha comprate. Come sempre anche un gazebo che vende magliette, foulard, cappelli guanti e bandiere No tav.
Tra i manifestanti sono comparse anche alcune grandi cesoie in compensato con arrotolata una rete di plastica e tronchesi in cartongesso a simboleggiare il taglio delle recinzioni del cantiere.
(23 ottobre 2011)

ancora sul 15 ottobre: un punto di vista femminista

Pubblichiamo questi due interventi, che dopo le lavoratrici di Taranto e di Palermo, e nel prevalente silenzio o a fronte di posizioni sbagliate circolanti, portano invece giusti punti di vista anche "femminista" su Roma.

IL NOSTRO 15 OTTOBRE
Sabato 15 ottobre una generazione che si affaccia adesso alla vita e che non ha niente da sperare dai professionisti della politica ha preso la parola, una parola che può essere capita solo da chi parla il suo linguaggio e vive nel suo mondo. Una generazione che ha trasformato l'indignazione in collera.
Il nostro spezzone, quello dell’assemblea per l’autorganizzazione, ha sfilato per tutto il corteo compatto e determinato, esprimendo gioia e rabbia, distribuendo volantini e cercando interlocuzione con le tante e i tanti che incontravamo lungo il percorso poi….. all'incrocio fra via Merulana e via Labicana il corteo, invece di andare dritto sul percorso autorizzato, è stato fatto deviare dalle cariche delle forze dell’ordine ordinate al fine di spaccare il corteo e impedire così che le centinaia di migliaia di persone presenti si ritrovassero insieme in piazza.
Vogliamo però denunciare che, nonostante la pronta reazione del nostro spezzone abbia impedito che le cariche a via Merulana si risolvessero in una mattanza proteggendo così anche tutte quelle e quelli che ci stavano davanti, da uno dei TIR degli organizzatori siamo stati insultati e minacciati.
La carica ci ha investito in pieno ma grazie alla determinazione di tutti siamo riusciti ad arrivare a piazza San Giovanni dove in tante e tanti hanno resistito per ore al violentissimo e pericoloso attacco che le forze dell’ordine hanno messo in atto con gli idranti e i blindati lanciati a folle velocità sulle persone. Di questo comportamento criminale delle forze dell’ordine non c’è traccia nei resoconti dei mass media...
Non condividiamo i giudizi negativi sulla manifestazione al contrario siamo orgogliosi di aver partecipato ad una grande manifestazione:
- per la quantità di donne e uomini presenti, giunti in piazza in forma autorganizzata per esprimere la propria opposizione sociale, la propria rabbia, la gioia di ritrovarsi insieme per costruire conflitto, spesso ignari dei contenuti espressi nei comunicati degli organizzatori;
- perché nessun sindacato o partito ha pagato la scampagnata a Roma ma tutte e tutti
volevano esserci sapendo che nessuno li rappresenta e consapevoli, in molti, di volersi autorappresentare;
- per la determinazione e la forza con cui le molte ed i molti hanno voluto restare in piazza anche quando sono stati investiti dalle cariche o abbandonati dagli organizzatori.
E’ proprio da questa nostra diretta esperienza di lavoratrici, studenti, disoccupati e femministe, che nasce il rifiuto di ogni logica divisoria, criminalizzante e demonizzante all'interno dei manifestanti.
La voglia di lotta e determinazione a non subire passivamente per l'ennesima volta la cieca violenza di Stato sono stati un patrimonio di una parte corposa del corteo.
Se c'è un responsabile per quanto è successo, questo è unicamente il capitalismo che costringe milioni di uomini e donne nell'oppressione e nello sfruttamento e a condizioni di vita sempre più inumane.
Un nuovo strato sociale si sta facendo avanti. Dannati della terra di ogni età che fortunatamente si rendono conto dell'inconsistenza ai fini di un reale cambiamento sociale delle proposte e dei metodi di gran parte di gruppi, associazioni e movimenti che da parecchio tempo soffocano le lotte utilizzandole per i loro tornaconti personali, di potere ed economici. Decidono quindi di fare
in proprio, autonomamente, partendo da loro stessi e determinando tempi e luoghi della lotta. La crisi della rappresentanza e della politica non tocca solamente i grandi partiti ma anche il movimento. La domanda è: chi rappresenta queste persone? Siamo sicuri che si vogliano far rappresentare da qualcosa o qualcuno? I posti di lavoro, le scuole, i territori diventano i luoghi da cui ripartire per confrontarsi e organizzarsi con tali soggetti per costruire collettivamente percorsi di lotta , che sappiano andare oltre la rivolta episodica per ritrovarci in sempre più persone sul sentiero che porta ad un mondo di liberi ed uguali...
Sdegnamo di nascondere le nostre intenzioni.
Libertà per tutte e tutti!!

Assemblea per l’autorganizzazione: assemblea coordinata e continuativa contro la precarietà- c.s.o.a Ipò - collettivo femminista le mandragore - collettivo lavori in corso tor vergata - comitato di lotta quadraro

CONTRO LA COLONIZZAZIONE DELLA NOSTRA VITA E DELLE NOSTRE LOTTE.

I media si sono stupiti.
Non ce lo aspettavamo, hanno detto.
Perchè le arrestate/i nella manifestazione di sabato 15 ottobre, erano soprattutto donne e minorenni.

E che cosa accomuna, nel giudizio della società patriarcale, donne e minorenni?
L'incapacità di decisioni autonome, la superficialità delle scelte, l'inesperienza e la dabbenaggine politica, la facile plagiabilità, l'infantile credulità soprattutto negli ideali !

E, quindi, si sa, poi, le donne si buttano a capofitto quando credono in qualcosa, si fanno trascinare da sentimenti e istinto e, magari, diventano dure, votate alla causa. Possono, addirittura, comandare e organizzare!

Già, la società patriarcale pensa questo di noi, ma noi, sabato in piazza, ci siamo rese conto di molte novità importanti nello scenario politico-sociale.

Si sta tentando la colonizzazione, nei paesi occidentali, di aree geografiche, quartieri, ceti, ambienti che vengono trattati come i territori che il neocolonialismo occupa nel terzo mondo.

Vengono ridotti alla povertà, occupati militarmente e le loro ribellioni e resistenze vengono private di ogni connotato e valenza politica , represse, demonizzate e calunniate e oggetto di una lettura mediatica che propaganda la loro incapacità politica , violenza frutto di pochezza culturale e che necessita di una guida occidentale e, qui da noi, politicamente corretta.
E il ruolo di ascari, qui da noi, lo assolvono i partiti, partitini e associazioni della così detta "sinistra radicale".
C'è stato uno scontro in piazza, sabato 15, non solo tra manifestanti e forze di polizia, ma tra chi questo sistema lo vuole difendere, al di là delle frasi di rito, di comodo e di circostanza e chi, di questa società non ne può più.
Non permetteremo che le nostre vite vengano colonizzate, che i nostri spazi vengano occupati.
E' questo il senso di quello che è successo a Roma .....e in Inghilterra....e nelle banlieues francesi......e negli slums americani.... ormai l'abbiamo capito.

GLF-GRUPPO DI LAVORO FEMMINISTA-ROMA
contro i Cie e contro il controllo sociale

17/10/11

noi stiamo, e siamo, con la ribellione!

Il 15 ottobre vi è stata una protesta, un dissenso che va oltre i confini delle nazioni, una protesta globale, e che a Roma dove io c'ero, insieme a disoccupati/e, precari, lavoratrici, è giustamente esplosa.
Ho toccato con mano la rabbia di tantissimi giovani e meno giovani, ragazze, anche compagni e compagne di varie organizzazioni, che ignorando le direttive di partito o di sindacato, sono esplosi contro la violenza dello Stato, della polizia, rispondendo con la "violenza" di chi non ha più niente
da perdere, di chi ha solo sempre più miseria, oppressione, vera violenza quotidiana. E ha reagito, e resitito alla pioggia di lacrimogeni, agli idranti, alle camionette lanciate contro i manifestanti.
I mass media hanno parlato di black bloc, di gruppi violenti, ma le loro bugie sono solo frutto di ciò che non possono accettare.
Chi come me ha visto tanti giovani, addirittura disabili e persone anziane che si difendevano dagli attacchi della polizia e che soffocavano per i lacrimogeni, sa come è andata veramente a Roma.
La rivolta è scoppiata, gli scontri sono stati violenti, ma ho visto giovani, ragazze che nonostante l'aria irrespirabile non indietreggiavano, urlavano la loro rabbia, e colpivano perchè non avevano scelta, perchè non ci lasciano altra scelta,
Questo sistema marcio che ci affama, che con la crisi arricchisce pochi e fa impoverire ancora di più le masse, adesso deve fare i conti con noi!

Da una compagna del MFPR di Taranto

07/10/11

Barletta: "... le nostre vite valgono di più dei vostri affari e complicità"



Una delegazione di lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario da Taranto è andata ieri a Barletta, perchè, come abbiamo detto ai vari giornalisti e tv, la morte delle 4 operaie e della ragazzina Maria non è un “disastro”, ma un assassinio che mette tragicamente in luce una condizione delle donne operaie che per lavorare devono rischiare anche di morire; è un assassinio che grida ribellione, giustizia, necessità di unità e lotta non solo a Barletta ma per tutte le donne. Per questo era giusto esserci a Barletta (benchè oltre la nostra non vi erano altre presenze di lavoratrici da altre città).
Quando siamo arrivate, abbiamo trovato il primo grosso contrasto: da un lato arrivavano da varie vie nella piazza A. Moro tanti spezzoni di gente che sembravano quasi dei cortei, soprattutto gruppi di donne, la maggior parte giovani, tante ragazze che portavano il loro dolore, calore, rabbia; dall'altra una piazza resa volutamente ferma, silente dall'intreccio apparati della Chiesa – tutti presenti ai massimi livelli e che hanno imposto durante la cerimonia funebre un clima da “sepolcri imbiancati” - e apparati delle forze dell'ordine.
Da un lato le operaie delle altre fabbriche tessili, le operaie della fabbrica Vinci Shoes, una delle più grandi con 100 lavoratori, venute con il loro striscione, che volevano stringersi intorno alle loro compagne uccise e ai loro familiari, operai di fabbriche che erano usciti prima dal lavoro per partecipare al funerale, ma anche commercianti che avevano tutti chiuso per lutto, e poi migliaia e migliaia di persone, sicuramente più di 10 mila solo nella piazza, ma vi era tante gente anche nelle strade laterali, in particolare nelle 2 strade vicinissime alla piazza dove vi è stato il crollo; da un lato i familiari, i parenti, le amiche delle 5 donne che esprimevano la loro disperazione, ma anche, alcuni, la loro denuncia per quelle morti annunciate. Dall'altra arrivavano quelli in “giacca e cravatta”: gli amministratori con il sindaco di Barletta, complici, o forse di più, per questi omicidi e giustificatori della “normalità” del lavoro in quelle condizioni di tutto nero; arrivavano scortati i politici e rappresentanti delle istituzioni regionali, Vendola, e nazionali, Carfagna; e uguali a questi sono arrivati anche i segretari sindacali Bonanni e Camusso, che hanno detto parole scontate. E l'ipocrisia è andata in scena!
“Vendola – ci ha detto un'operaia correggendo il nostro volantino – non è vero che ha dato 200 mila euro a famiglia. Ha dato 200mila euro in tutto! E poi per pagare il funerale e le spese dell'albergo dove ora stanno le famiglie sgomberate dalle palazzine”. Quindi, soldi dovuti (ci mancava anche che le famiglie dovessero pagare), non certo un contributo di solidarietà espressione di una politica “diversa” della Regione Puglia.

Intanto, le gerarchie della Chiesa all'inizio ogni 5 minuti facevano dal palco appelli al “silenzio”, quasi preoccupati che così non potesse essere.
Ma la stessa preoccupazione aveva la polizia, ed essa si è subito manifestata verso la nostra delegazione che aveva aperto in piazza uno striscione che diceva: “CON MATILDE, GIOVANNA, ANTONELLA, TINA E MARIA. LE NOSTRE VITE VALGONO DI PIÙ DEI VOSTRI AFFARI E COMPLICITÀ”. Striscione davanti a cui si fermavano tante persone, donne, e soprattutto le operaie della Vinci Shoes, operaie di altre fabbriche tessili, delegate sindacali, per parlare, prendere il nostro volantino/messaggio, rimanere in contatto.
Ma quella scritta, "...le nostre vite valgono di più dei vostri affari e complicità", guastava il clima di “silenzio-rassegnazione” imposto; ad un certo punto è arrivata la polizia che si è accanita sullo striscione, ha provato a strapparlo e poi a sequestrarlo, cercando anche di portare in questura una compagna di Taranto. Solo la nostra ferma determinazione e l'isolamento del dirigente della polizia dalle donne e persone vicine lo ha impedito. Ma per far rimanere lo striscione nella piazza abbiamo dovuto mettere dello shock sulla frase "pericolosa", benchè, come si può vedere da alcune foto, la frase si leggeva bene lo stesso....

Con le operaie con cui abbiamo parlato, e nelle interviste rilasciate a Tv e stampa locale e nazionale, abbiamo insistito sul fatto che queste morti sono frutto sia della speculazione edile dei padroni, come della complicità del Sindaco di Barletta - e, forse, anche più che complicità. Visto quanto sta venendo fuori circa un piano esistente che prevedeva l'abbattimento di quelle palazzine non per fare abitazioni e locali a norma, ma per farci abitazioni di lusso; piano che potrebbe nascondere un intreccio affari/tangenti.

Ma queste morti sono soprattutto frutto del lavoro nero. Chi in questi giorni sta negando questo sbaglia, o volutamente in cattiva fede, o anche in buona fede come alcuni familiari, lavoratrici, gente di Barletta.
Le 4 donne sono morte in quanto operaie, sono morte sul lavoro e per il lavoro. Anche la piccola Maria è morta sul luogo di lavoro. E sono morte per le condizioni di lavoro a “nero”, che vuol dire taglio dei costi del lavoro, del salario come dei costi per la sicurezza. Se le operaie non fossero state in quelle condizioni, non si sarebbero neanche trovate in quel sottoscala a lavorare quasi di nascosto, in locali con le crepe nei muri, senza via d'uscita a norma, ecc., per gli affari del padroncino ma soprattutto per i profitti delle 'Grandi marche'. Se non sono queste morti per il lavoro, cosa sono? Non è sicuramente un caso che sono morte solo operaie e Maria che era andata da loro. Chi nega il rischio mortale del lavoro nero, intrecciato con la speculazione affaristica dei padroni edili e la mancanza di controlli di Ispettorato, Asl, ecc., il menefreghismo, o connivenza delle Istituzioni, di fatto, come sta facendo il sindaco di Barletta, lo vuole giustificare, normalizzare, renderlo ordinario e scontato, accettabile come unica prospettiva soprattutto al sud, soprattutto per le donne. Ma così non deve essere!
Con le operaie abbiamo parlato della necessità, anche di fronte alla morte di Giovanna, Matilde, Antonella, Tina, Maria – ma c'era stata un'altra morte pochi giorni fa in Puglia tra le braccianti – dell'unità, della lotta, di uno “sciopero delle donne”, per dire Basta!, per sentirci forti, per non accettare questa vita!

Purtroppo, a Barletta, chi non c'era, a parte le delegate operaie, erano i sindacati confederali locali, regionali. Ma questa non è una ragione in meno, ma un motivo in più per non delegare la nostra lotta di lavoratrici e di donne.

Il momento più emozionante è stato verso la fine della pomposa, lunga celebrazione religiosa.
Un grande, fortissimo applauso di tutta la piazza ha salutato le bare che andavano via.
Ma nello stesso tempo all'applauso si è unita la ribellione. Striscioni sono calati dai palazzi nella piazza: da un terrazzo, lo striscione nero “E ora vogliamo la verità!!”; da un balcone di un altro palazzo: “Muore chi fa il suo dovere per colpa di chi non ha mai fatto il suo”.
I rappresentanti istituzionali sono stati “accompagnati” alla fine dalle grida di gente comune, dal minimo “Bella figura che avete fatto”, a frasi molto più pesanti “Bastardi”, “Assassini”, “Andate in galera”.
La rabbia poi si è trasferita da parte di tanti cittadini sotto il Comune, verso il sindaco che si è barricato dentro e non ha voluto neanche incontrare una delegazione. La parola principale era “Dimettetevi”, “i Profitti non valgono la vita di 5 operaie Dimettetevi” - diceva uno striscione.

Noi prima di tornare a Taranto siamo andate sul luogo del disastro, vicinissimo a p.zza A. Moro, per lasciare su quelle maledette pietre il nostro striscione, come saluto, insieme ai fiori e ai cartelli, e ad altri striscioni.
Un padre ci ha detto: “grazie di essere venute. Avete fatto una cosa bella!”.

per Le lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario – Taranto

Concetta Musio
Fiorella Masci

TA. 7.10.11


La polizia ieri si è accanita sullo striscione del mfpr per la frase "...le nostre vite valgono di più dei vostri affari e complicità", ha provato a strapparlo e poi a sequestrarlo, cercando anche di fermare e portare in questura una compag...na di Taranto. Solo la nostra ferma determinazione e
l'isolamento del dirigente della polizia dalle donne e persone vicine lo ha impedito. Ma per far rimanere lo striscione nella piazza abbiamo dovuto mettere dello skoch sulla frase "pericolosa", ma, come si può vedere da alcune foto, la frase si legge lo stesso.

DALLE LAVORATRICI E DISOCCUPATE MFPR - SLAI COBAS per il s.c. - TARANTO

06/10/11

Oggi a Barletta, attorno a Matilde, Giovanna, Antonella, Tina, alla ragazzina Maria.

Le compagne del MFPR di Taranto saranno a Barletta, per stringersi attorno a Matilde, Giovanna, Antonella, Tina, alla ragazzina Maria.


UCCISE DALLA SPECULAZIONE EDILIZIA DEI PADRONI, DALLA COMPLICITA' EMENEFREGHISMO DELLE ISTITUZIONI, DAL LAVORO NERO, DAI PROFITTI DELLE GRANDI AZIENDE, e, come denunciano dei parenti, dai soccorsi lenti.


"DOMANI, QUANDO ANDRANNO VIA DOVRANNO ESSERE BELLE. BELLISSIME. BELLE EFIERE. INSOMMA DOVRANNO ESSERE DONNE" - ha detto la madre di una operaia.Perchè questo è un assassinio di donne.Donne operaie costrette a lavorare a nero, dalle 8 alle 12 ore al giorno per3,95/4 euro all'ora, per confezionare maglioni e felpe da padroncini chedevono tagliare su tutto; operaie che devono accontentarsi della miseria perprodurre la ricchezza per la "Grandi marche", che incassano "l'oro" dal"fango", e, come ora, dal sangue.Donne operaie come ce ne sono tante a Barletta, in Puglia a lavorare spessoin scantinati, in locali, garage che anche quando non sono a rischio vita,sono a rischio salute, perchè il più delle volte, senza aria, ventilazione,spazio o illuminazione sufficiente, ma spesso con tanto rumore, con fibre ditessuti, sostanze coloranti, che ti entrano nei polmoni.Donne operaie uccise dal menefreghismo delle Istituzioni. "Non mi sento dicriminalizzare - ha detto il sindaco Maffei - chi, in un momento di crisicome questo viola la legge assicurando, però, il lavoro". Questo sindaco chenonostante le denunce fatte più volte da alcuni abitanti, aveva detto chenon c'era pericolo, come avevano confermato suoi tecnici appena venerdìscorso, e che solo dopo la strage ha disposto la verifica di altre palazzineDonne operaie uccise dalla speculazioni delle imprese edili, come l'impresaGiannini che aveva demolito la palazzina adiacente, lasciando da un annosolo ammasso di detriti, e che, solo dopo tante denunce, aveva subappaltatola loro rimozione ad una ditta che lo ha fatto senza alcun rispetto di normedi sicurezza.Donne operaie che sono costrette ad accettare lavori ultraprecari, a nero, arischio, perchè per le donne in tanti posti del sud, ma ora anche nel nord,non ve ne sono altri.Donne che però come Matilde, Giovanna, Antonella, Tina, riuscivano a faremergere il bello anche dal "nero", con la loro unità, complicità, ancheallegria, con la loro determinazione a resistere.
OGGI, DOMANI SONO I GIORNI DEL DOLORE, ANCHE DELLA RABBIA, MA GIA' DALLEPAROLE DEI FAMILIARI VIENE FUORI LA NECESSITA' DEI GIORNI DELLA RIBELLIONE.

Le lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista ProletarioRivoluzionario
Taranto 5.10.11 - mfpr@libero.it

04/10/11

3 ottobre come l' 8 marzo di tanti anni fa...

quante operaie tessili dobbiamo ancora vedere morire , mentre lavorano in nero rinchiuse nelle fabbriche per 8- 14 ore al giorno, a 3,95 all' ora. basta!!!
ci restino i padroni sotto le macerie

L.

basta con le "tragedie annuciate" di questo sistema

Davanti all'ennesima strage delle donne operaie morte di una morte assurda a Barletta, vogliamo esprimere la nostra vicinanza alle famiglie colpite da questa tragedia, ma non possiamo non gridare la nostra rabbia contro tutto questo... contro un sistema che riserva alle proletarie e ai proletari solo sfruttamento, oppressione, miseria, precarietà...morte.

Quello che è accaduto è solo l'ultimo anello di una lunga catena di operaie e operai, lavoratrici e lavoratori, donne e uomini uccisi dalle ignobili condizioni di lavoro e di vita a cui ci costringe ogni giorno sempre di più chi detiene il potere nel nostro paese, e quanta schifosa ipocrisia nelle loro parole di "cordoglio" a tragedia avvenuta, primo fra tutti il presidente Napolitano ma non solo: parlano di "stragi annunciate che si potevano e si devono evitare", parlano di leggi che devono essere rispettate, parlano della "politica e dei poteri pubblici e soggetti privati" che devono essere impegnati a "tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro" ...

MA CHI PERMETTE in realtà tutto questo??? Il Presidente Napolitano ha forse improvvisamente dimenticato il ruolo che quotidianamente mette in atto nel pieno della sua carica??? Il presidente Napolitano è il MASSIMO GARANTE delle politiche sempre più antiproletarie e antipopolari che il governo con la collusione dei falsi partiti di opposizione e dei sindacati venduti scarica sui proletari e le masse popolari per salvaguardare il loro potere e il loro sistema , politiche che significano molteplici attacchi alle condizioni di lavoro e di vita, salari sempre più bassi, cancellazione di diritti basilari in un via libera per padroni e padroncini allo sfruttamento di operaie/i, lavoratrici/tori sempre più esteso e pesante.

Davanti all'ennesimo assissinio di queste operaie, di queste donne, come giustamente l' hanno definito i loro parenti, la risposta non può che essere la lotta e la ribellione contro questo sistema per cambiare lo stato di cose esistenti, e che proprio da noi lavoratrici, operaie, precarie deve venire più radicale...

Lavoratrici e precarie Slai Cobas pe ril sindacato di classe Palermo

ennesima strage di operaie a barletta

Antonella Zazza Giovanna Sardaro. Matilde Doronzo. Tina Ceci sono morte sepolte sotto una montagna di macerie 5 le vittime compresa Maria Cinquepalmi, 14 anni, la figlia dei titolari del
maglificio.
i soccorritori hanno estratto viva Mariella Fasanella, 37 anni, l'operaia che era riuscita a trovare riparo in un cunicolo. sei sono i feriti, a centinaia hanno lavorato senza sosta. non hanno mai
smesso di scavare

Tragedia di donne, le operaie che lavorano nel maglificio «Tutti sapevano che l'edificio stava cedendo» Lo dicono in tanti, per strada
Parole colme di rabbia. Perché il palazzo maledetto, costruito negli anni sessanta, faceva paura. I tufi sono porosi, assorbono l'acqua e si gonfiano quando non si fa la manutenzione. Inevitabili, allora, le crepe, i piccoli smottamenti, i cedimenti, gli scricchiolii. E inevitabili le richieste di
sopralluoghi e accertamenti da parte dei tecnici competenti. Inevitabili, allora, le crepe, i piccoli smottamenti, i cedimenti, gli scricchiolii. E inevitabili le richieste di sopralluoghi e accertamenti da parte dei tecnici competenti. Una procedura eseguita, nei giorni scorsi, anche dai
proprietari. Il palazzo vicino era stato transennato, "ingabbiato" con delle catene di ferro, ed ha resistito al crollo. Il secondo edificio si è sbriciolato in attesa della messa in sicurezza prevista proprio ieri. C'è chi racconta di aver visto al lavoro, in mattinata, prima della tragedia,
una ruspa. È possibile - dicono numerosi residenti della zona - che a favorire il crollo possa essere stato un intervento di scavo compiuto al di sotto del piano stradale, al centro fra la palazzina messa in sicurezza e quella crollata. Esisteva infatti il rudere di una vecchia struttura, in
parte demolita un anno fa e proprio venerdì erano riprese le operazioni per distruggere definitivamente l'e d i f i c i o, con l'abbattimento tra l'altro di una parete confinante con uno dei muri della palazzina crollata. La Procura di Trani, intanto, ha già avviato un'inchiesta, al momento senza indagati. Le ipotesi di reato sono omicidio e disastroso colposo. Tanti gli
spunti da approfondire. tante le domande in attesa di una risposta. A cominciare dalla collocazione del maglificio sotto il palazzo maledetto.

"Non parlate di tragedia, questo è un assassinio", gridavano i parenti delle donne asserragliati per tutta la giornata tra le macerie. Da giorni infatti gli abitanti avevano chiesto agli uffici tecnici comunali di verificare la staticità del palazzo. Accanto, infatti, è stato da qualche settimana abbattuto un altro edificio in ristrutturazione e da quel momento si erano aperte una serie di crepe nella struttura. Venerdì c'era stato un primo sopralluogo dei vigili urbani che avevano parlato della possibile emissione di un'ordinanza di inagibilità della struttura ma fino a ieri non
era arrivato nulla.

"Anzi - racconta il figlio di una delle residenti, tra le prime a essere estratte vive - proprio questa mattina è arrivato uno dei dirigenti dell'ufficio tecnico per dirci che era tutto in ordine". Attorno a mezzogiorno, invece, è venuto giù tutto. La vittima e le donne rimaste intrappolate erano tutte dipendenti di una ditta di confezioni di prodotti di maglierie che si trovava nello scantinato.

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Crollo della palazzina, vittime erano 'in nero' Napolitano: 'Sciagura Barletta inaccettabile'

Lavoravano in 'nero', senza contratto, le operaie morte nel crollo della palazzina di via Roma, a Barletta. Lo raccontano i parenti delle vittime, assiepati davanti all'obitorio del Policlinico di Bari dove si trovano i corpi delle operaie in attesa dell'autopsia. "Era gente - dicono - che lavorava per sopravvivere".


"Mia nipote, 33 anni, prendeva 3,95 euro all'ora, mia nuora quattro euro: lavoravano dalle otto alle 14 ore, a seconda del lavoro che c'era da fare. Avevano ferie e tredicesima pagate, ma senza contratto. Quelle donne lavoravano per pagare affitti, mutui, benzina, per poter vivere, anzi sopravvivere". Lo racconta la zia di una delle vittime.

PROCURA TRANI,PER ORA NESSUN INDAGATO - Nessun nome è stato iscritto per ora nel registro degli indagati. Lo ha detto all'ANSA il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trani, Carlo Maria Capristo, per il crollo della palazzina a Barletta in cui sono morte quattro operaie e una ragazzina e per il quale s'indaga per omicidio colposo plurimo e disastro colposo.

CROLLO PALAZZINA: NAPOLITANO, SCIAGURA INACCETTABILE - "L'inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora, impone l'accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità, e soprattutto l'impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e vigilanza". Lo scrive Giorgio Napolitano, in un messaggio al sindaco di Barletta dove ieri è crollata una palazzina.

Profondamente colpito dal tragico bilancio del crollo di una palazzina avvenuto a Barletta, Napolitano ha espresso al Sindaco Nicola Maffei, "sentimenti di commossa e affettuosa partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime" e rivolto ai feriti "gli auguri di una pronta guarigione, manifestando all'intera comunità di Barletta, già duramente colpita negli anni da analoghi gravi eventi, la solidarietà di tutto il Paese. L'inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora - sottolinea il Capo dello Stato - impone l'accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità, e soprattutto l'impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e di vigilanza".

MARITO DONNA INCINTA, BENE LEI E BIMBO - "Manuela è ferita ad un orecchio, al volto, ha una spalla graffiata e una gamba immobilizzata ma è viva e sta bene, lei e nostro figlio". Emanuele Lanotte racconta della gioia e dello spavento ad un tempo per sua moglie Manuela scampata alla morte sotto le macerie della palazzina crollata in via Roma. La donna in attesa del primo figlio è stata la prima persona ad esser tirata via dalle macerie, un'oretta e mezza dopo il crollo. "Ho trascorso la notte in ospedale - dice Emanuele Lanotte - e anche oggi starò lì a fianco di mia moglie sino a quando i medici non la dimetteranno".

VENDOLA, RIUNIONE STRAORDINARIA GIUNTA BARI - "Non aggiungere dolore a dolore, disagio a disagio": lo ha detto, parlando con i giornalisti, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, annunciando che, per questo, la giunta regionale pugliese alle 14 si riunirà in seduta straordinaria per decidere un "contributo concreto" per le famiglie delle vittime. Vendola ne ha parlato a Barletta, a conclusione di una riunione che ha tenuto col sindaco e al quale ha partecipato anche l'assessore regionale alle opere pubbliche, Fabiano Amati, coordinatore regionale della Protezione civile. Scopo della riunione dell'esecutivo regionale sarà anche quello di "affrontare tutti gli altri problemi" per consentire al comune di Barletta di alleviare i disagi delle famiglie rimaste senza casa col crollo e con lo sgombero delle case adiacenti.

VENDOLA, TRAGEDIA SI POTEVA EVITARE - "Fare memoria delle tragedie" perché "tragedie come queste, e come tutte quelle di questo tipo, avrebbero potuto essere evitate". Dopo un sopralluogo nell'area del crollo della palazzina di via Roma, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, invita tutti ad affrontare in altro modo emergenze "che riguardano tutta l'Italia" poiché "non è possibile accettare morti annunciate come quelle di ieri". "Stiamo diventando bravi nella gestione delle emergenze - ha insistito - ma dobbiamo lavorare per prevenirle, per combattere il partito del cemento e investire sulla riqualificazione delle periferie". Vendola ha ringraziato l'efficace opera dei soccorritori e soprattutto "dei barlettani che li hanno aiutati togliendo le macerie a mani nude". Incalzato dai giornalisti sulle eventuali responsabilità della sciagura, il presidente ha auspicato che l'autorità giudiziaria possa accertare rapidamente se ci siano state delle responsabilità. Ai famigliari delle vittime Vendola ha sottolineato "che niente potrà restituire i loro cari" ma che "la Puglia intera piange insieme con loro". Quello che bisogna fare - ha concluso Vendola - "é impegnare la politica e la società civile alla messa in sicurezza delle nostre città. Non si può vivere non sapendo quali siano le condizioni di staticità degli edifici"