12/03/11

Operaie in lotta alla tacconi di latina

Domanda Quando è nata la Tacconi sud e quanti operai e operaie c’erano?

Risposta La Tacconi sud nasce nel 1991, una fabbrica di 4000 mq di capannone
interamente finanziati dalla cassa del mezzogiorno. Parte del personale proveniva da
un laboratorio sempre di proprietà del nostro datore di lavoro che fa parte di un
gruppo più ampio, si chiamano i fratelli Sacchi di Pavia da sempre nelle fornitore
militari e negli abiti da lavoro. La storia della Tacconi sud quindi inizia con parte
di personale del vecchio laboratorio e i contratti a termine di formazione con cui
sono entrata anch’ io.
Quando sei entrata?
Sono entrata 19 anni fa avevo 21 anni ero molto giovane.

Quanti dipendenti c erano allora, quante operaie?
Eravamo 60 dipendenti, abbiamo raggiunto anche punte di 100 dipendenti durante alcune
commesse perché si ricorreva spesso ai contratti a termine per portare avanti le
grosse commesse.

Questa situazione di 60 dipendenti è andata avanti fino a che anno?
Il declino sostanzialmente è iniziato 15 anni fa con una prima riduzione del
personale. Ricordo che ero appena stata eletta in RSU e il mio primo tavolo è stata
una cassa integrazione ordinaria ma si cercava di far agganciare qualcuno alla
pensione, una prassi usata per affrontare le difficoltà e dare a qualcuno la
possibilità di andare in pensione. Da allora sistematicamente la crisi del tessile
era conclamata.

Stiamo parlando circa del '95 dove c’è stato un dimezzamento del personale
Sì, e ci siamo attestati prima ai 31 dipendenti e dopo definitivamente a 29

In quell’occasione sei stata per la prima volta eletta RSU, come fu siglato
l’accordo, che ricordo hai?
Io ho questo ricordo, la sensazione che allora sembrava un piccolo intervento per
tamponare un emorragia non grave ma andando avanti sostanzialmente si è conclamata un
emorragia inarrestabile fermata con un cerottino stavamo sempre lì con il cerottino,
tamponavamo inutilmente.

In altre parole stai dicendo che non avevate afferrato la gravità della situazione?
No, inizialmente anche nel tessile c’era una crisi che i sindacati avevano
annunciato, ma una crisi così nera così grave come poi si è rilevata nel tempo,
questa percezione non c’era.

Come siete arrivate ad oggi, a essere di fatto fuori dalla fabbrica?
L’attuale situazione parte da lontano e per affrontare la crisi non è che in campo
non abbiamo messo niente, abbiamo affrontato la riconversione anche di produzione
perché siamo passati dal fare le divise cucite a macchina e abbiamo imparato l
incollaggio con le bi componenti. Abbiamo iniziato un altro lavoro, ci siamo rimesse
in gioco abbiamo fatto formazione. Abbiamo accettato la sfida della crisi rispondendo
con la nuova formazione, quella determinazione iniziale che ci ha permesso di
riconvertire la produzione.



Siete passate da una produzione che era soprattutto di tipo militare ad una
produzione di tipo civile, se non ho capito male?


Chi erano i committenti?
Lavoravamo soprattutto per la protezione civile, per il ministero dell’ambiente.
Abbiamo fatto le tende dei terremotati prima dell’Umbria e poi di tante altre
commesse. Tante commesse del ministero per l’ambiente con le barriere che arginano le
chiazze di petrolio. Abbiamo lavorato in particolare anche per la croce rossa,
abbiamo fatto ospedali da campo uno di questi è in Afghanistan; insomma per questo
stabilimento sono passate tante e tante commesse ministeriali o comunque di stato

Poi la crisi si è manifestata in maniera drammatica?
In maniera drammatica è iniziata 5 ani fa, entravamo ed uscivamo dalla cassa
integrazione. Ripeto però eravamo appena da poco partiti con il nuovo lavoro e quindi
avevamo delle difficoltà che erano di carattere proprio tecnico e quindi non erano
ancora arrivati i frutti di questa nuova operazione. Quando forse eravamo approdati
ad un buon prodotto, perché se hai visto la tenda insomma si tratta di un prodotto di
qualità e lì è arrivata la crisi internazionale, sopra già le spalle di questa
situazione in aggiunta ad una crisi di liquidità che già il datore di lavoro soffriva
perché le commesse fatte per lo stato non venivano pagate e questo ci ha messo in
ginocchio

Il problema è di liquidità o di mancanze di commesse?
il problema è di liquidità non è di mancanza di commesse, perché in realtà ripeto
eravamo già avviati per questo lavoro, qui il problema era la liquidità, noi eravamo
magari pronti a fare un lavoro ma a causa delle insolvenze del nostro datore di
lavoro presso i fornitori, mi riferisco al tessuto per fare le tende, noi non
partivamo perché non avevamo il materiale, cioè paradossalmente avevamo le commesse
ma non eravamo in grado di assolverle. Con la cassa integrazione un po’ dentro e un
po’ fuori tiravamo avanti ma non era possibile però iniziare un lavoro senza che
finisse per esempio il materiale, sempre per cattiva gestione.

Quand’è che arrivata la botta finale, quando il padrone ha deciso di comunicarvi
che lo stabilimento chiudeva?
Ritengo che la decisione sia stata presa perché il nostro datore di lavoro grazie
anche a tutta una serie di cose che si possono fare in questo paese cioè in Italia
non è proibito delocalizzare. Il disegno è stato lungo, la Tacconi nord per capirci
che è la fabbrica che girava a noi le commesse questi anni a livello amministrativo,
i fratelli Sacchi hanno preparato una ricerca a lungo termine che tagliasse i ponti
con la Tacconi sud. La Tacconi sud si è svegliata nel novembre del 2010 che aveva un
debito con la Tacconi nord di svariate migliaia di euro. Cioè paradossalmente l’unica
unità che aveva lavorato cioè la Tacconi Sud era insolvente presso lo stesso datore
di lavoro che era colui che si autogirava le commesse, c’era questo giro.

Quanti dipendenti ha la Tacconi nord?
La Tacconi nord ha un centinaio di dipendenti ma non ha questa produzione, ha una
produzione di altro genere tessile ma è soprattutto uffici, marketing, l’unità
produttiva era qui a Latina.

Voi operaie non avete mai preso contatti con i dipendenti della Tacconi nord.?
No, all’inizio non abbiamo avuto dei contatti. Avevo l’idea che si stesse
preparando una polpetta avvelenata, perché ripeto non era la prima che facevamo una
cassa integrazione straordinaria entrando ed uscendo per lavorare con le commesse
dentro e quando siamo arrivati agli inizi di dicembre che hanno iniziato a non fare
più nemmeno le buste paga, eravamo arrivati a tollerare il ritardo di 10 giorni per
il pagamento dello stipendio e per la cassa integrazione che doveva anticiparci il
datore di lavoro, eravamo arrivati alla tolleranza non perché siamo scemi ma
semplicemente perché non c’è uno strumento legale e veloce che possa intervenire in
tempi così brevi e quindi tolleravamo questo ritardo pur di non creare situazioni che
potessero ricadere su di noi perché magari congelavano il conto in banca e non ci
pagavano gli stipendi. Quando siamo arrivati agli inizi di dicembre con questa
situazione in cui non ci davano nemmeno le buste paga io ho cominciato a telefonare
alla Tacconi nord e alle altre rappresentanze sindacali per capire che cosa stava
succedendo e ho intuito tutta l’operazione, cioè che alle RSU o alle rappresentanze
all’interno di quella fabbrica avevano promesso un'altra soluzione cioè la Protex un
azienda ex novo che nasce con tutto un consiglio di amministrazione non riconducibile
né a Tacconi nord né a Tacconi sud, con una parte del personale trasferita là. Mentre
un’altra parte forse in pensione. Le RSU della Tacconi Nord non si sono mossi, è
chiaro che i territoriali avranno detto alle RSU come tante volte ho dovuto
ascoltare anch’io: bè stiamo fermi, loro stanno a casa loro noi stiamo a casa nostra,
la logica è: ne salviamo 100 e 29 si possono sacrificare.

In pratica loro hanno cercato ognuno di difendere i propri colleghi?
Sì hanno assecondato le cose.
Io mi sono sentita da sola, noi ci siamo sentite da sole.
Noi quando ci siamo guardate in faccia davanti a sto cancello e abbiamo capito che
non saremmo più rientrate in questa fabbrica è scattato il nostro “se non ora
quando?” L’ abbiamo occupata !

Qual è stato il meccanismo decisionale che ha preceduto l’ occupazione?
Paradossalmente le donne forse hanno un'altra modalità rispetto agli uomini.
Quando lo ha proposto il nostro segretario di fare un azione forte di occupare lo
stabilimento noi ci siamo subito rese conto che avevamo di fronte persone che avevano
bambini piccoli, colleghe che hanno figli disabili, altre che hanno padri malati.
Perché le donne in questo paese hanno una doppia occupazione: si occupano della
famiglia e lavorano. E quindi io mi sono resa conto che avevo davanti a me delle
persone che comunque non erano in grado di mantenere un presidio giorno e notte, però
la forza di molte donne sta in questo, cioè noi non ce lo siamo mai detto ad alta
voce come avrebbero fatto le migliori arringhe sindacali, noi non ce lo siamo dette
ad alta voce. Non c’è stato un momento in cui ci siamo dette lo facciamo; quel giorno
siamo entrate in fabbrica, dovevamo fare un assemblea per questa faccenda io mi sono
seduta, ho cominciato a scrivere il verbale, ho detto:”scrivo assemblea permanente? “
e tutte mi hanno fatto sì con la testa, non hanno nemmeno risposto con la voce, l
attimo dopo abbiamo messo giù i turni e siamo qui da 40 giorni.

In occupazione quanti turni fate ?
I turni si decidono settimana per settimana, delle volte abbiamo delle situazioni
come l’evento di Anno Zero che ha stravolto i turni settimanali.
Abbiamo avuto un ondata di influenza che ci ha messo in difficoltà alcune di noi sono
venute più volte. Alcune di noi fanno solo la notte come me che non ho figli,
insomma cerchiamo di venirci incontro quelle con i figli stanno a casa la notte e
vengono di giorno.

Avete avuto problemi di sicurezza?
Hanno tentato la forzatura del presidio un giovedì di febbraio, il tre febbraio hanno
tentato la forzatura del presidio perché il datore di lavoro voleva vendere del
materiale, noi non vogliamo impedire che la vendita del materiale di magazzino crei
delle opportunità di lavoro altrove, assolutamente no!
Abbiamo impedito che uscisse il camion carico di merce, sono arrivati i carabinieri,
le forze dell’ ordine e la digos. Ci sono stati momenti di tensione ma noi siamo
rimaste sempre calme.
La merce è rimasta in magazzino.

Ora fate questo presidi, qual è l obiettivo che avete?
L’obiettivo è quello che venga immediatamente nominata un amministrazione
controllata, un liquidatore nominato da terzi insomma qualcuno che possa anche
vendere il materiale del magazzino a chi fosse interessato e iniziare a liquidare
noi.
Abbiamo depositato un istanza di fallimento perché purtroppo le insolvenze sono
grosse.
Ci sono di media dai 20 ai 35 anni di liquidazione e noi dobbiamo mettere al sicuro i
sacrifici di una vita perciò abbiamo depositato l’atto fallimentare. Il giudice è
stato nominato per giugno e stiamo facendo pressione presso il prefetto, presso
tutte le istituzioni affinché venga anticipata quest’ordinanza.

Avete pensato di chiedere un sequestro cautelativo?
Sono tutte azioni che ripeto noi rimandiamo alle persone che devono
rappresentarci..con le istituzioni, io mi rifiuto di pensare che io da RSU me devo
andare a studiare il diritto del lavoro perché posso m’immagino che ci sia
dall’altra parte una qualche istituzione che venga incontro a questa situazione.
Sappiamo di aver commesso un reato e di stare dentro una proprietà privata ma vorrei
che qualcuno mi venisse incontro per quello che ritengo sia giusto: le spettanze che
i lavoratori attendono e la liquidazione.

Con la fine della cassa per il mezzogiorno decine se non centinaia, Goodyear, la
Nexans, la Alcoa ecc, tante fabbriche grandi e piccole hanno chiuso nell’ area
pontina. In un anno il numero delle ore di cassa integrazione nel Lazio è più che
raddoppiato ..il problema grosso è che finora con i personaggi che ci sono sul campo
non si è salvato un posto di lavoro, tu non pensi che gli operai in qualche
maniera dovrebbero ad affrontare loro stessi questo problema? come possono fare?

Credo che bisogna fare una riflessione proprio sul modo come si perde il lavoro.
Dov’è che la tragedia perde la finalità di tragedia? quando è ricoperta di zucchero,
no? allora a noi adesso ci ricopriranno di zucchero per un po’.
L’ ammortizzatore sociale è diventata la glassa di zucchero che ti farà svegliare tra
cinque anni quando sei fuori di tutto e ti rendi conto..cioè realizzi..oddio e adesso
che cosa faccio? Questa consapevolezza non è immediata perché secondo me l uscita
è appunto diluita nel tempo e quindi non c’è la maturazione da parte degli operai
coinvolti.
Dovremmo mettere insieme le esperienze, mettere insieme i saperi, ma facciamo fatica
a farlo, a mio avviso non c’è ancora una dimensione di questo tipo perché
paradossalmente ciò che ci protegge ci acceca e ci rende deboli. Quello che dicevi
tu…la consapevolezza di aver perso il posto di lavoro dovrebbe essere il la che fa
scattare quest’altra cosa…no secondo me non si è arrivati..

La riflessione che facevi prima mi sembra importante, giustamente dicevi che in
tutte queste esperienze dell’ area pontina per gli operai il percorso è stato
ugualei: prima di tutto dividere il fronte tra chi se ne va in pensione, chi prende
lo scivolo, chi va in cassa integrazione; poi a seconda gli anni lavorati prendi la
cassa integrazione, l’età anagrafica eccetera. Queste esperienze dovrebbero servire
a difendere gli operai ? Ma chi ha interesse a farlo? Forse i partiti politici?
Allo stato attuale della politica sicuramente no..fanno festini!

Vero, ma la realtà è molto dura, abbiamo la maggiore industria italiana, la Fiat
che dice agli operai: volete il lavoro? Ve lo do ma alle mie condizioni altrimenti
vado all’ estero.
Le mie condizioni sono: limitato diritto di sciopero, 18 turni settimanali, vuol dire
che tu non hai più sabato e domenica,abolizione delle pause, aumento dei ritmi di
lavoro, se vai in malattia non ti pago e tu sai bene per esperienza che qualsiasi
cosa che passa in Fiat passerà prima o poi nel resto dei rapporti industriali in
Italia. ? Di fronte a uno che ti dice: tu vuoi mangiare? Se vuoi mangiare accetti
quello che ti dico io se non lo accetti io me ne vado e tu non mangi più!
Di fronte a una cosa del genere come ti difendi?
guarda io rispetto a questa cosa ti dico sinceramente come la penso io credo che il
modello di rappresentanza sindacale italiano così come si è strutturata nell 800 con
società del mutuo soccorso perché era il mutuo soccorso dei lavoratori eccetera
questo modo di rappresentare non è più adatto è finito è chiuso è storicamente
chiuso ma non storicamente nel senso perché so finite le classi come qualcuno
ipotizza..no il problema non è questo il problema è un altro è che noi siamo di
fronte ad una trasformazione .noi siamo di fronte a un evoluzione del capitalismo.
Credo che non si può scendere al di sotto di certe questioni mi pare logico e
dall’altra quello che si offre come contropartita è questo niente..è quello che
dicevamo prima.. qual è la contropartita di uno che sta a perde il posto di lavoro?
non firmare la cassa integrazione? cioè voglio dire la chiamiamo scelta?
La vogliamo chiamare scelta?

Pensi che non i sia alternativa?
No, non è che non c’è alternativa il problema è organizzativo, un problema
organizzativo perché non possiamo lasciare la questione in mano a Fiom o Fim, alle
sigle così come sono nella libera rappresentanza.
.Non penso che nella storia le cose siano sempre nate perché tutti sapevano cosa
fare, ci sono delle condizioni particolari e c’è chi fa una lettura corretta dei
tempi. Credo che sia questo quello che possa aggregare per compiere un qualcosa, per
creare una rete.
Voglio dire accadono delle cose, accadono contemporaneamente con le stesse modalità
con le stesse elaborazioni di pensiero e c’è qualcuno che legge i tempi.
Spero che questo qualcuno che legge i tempi ci sia da qualche parte.

A cura dei compagni e simpatizzanti di AsLO Lazio Marzo 2011

tratto da operaicontro

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