31/03/10

L'Aquila: dalle prigioni delle C.A.S.E. a quelle delle Costarelle. Nelle c.a.s.e. fermentano disagi e violenza

Da abruzzo 24h

Si è consumato questa notte a L'Aquila un dramma familiare, nell'inedito scenario degli appartamenti del progetto C.A.S.E. di Paganica 2, dove la vita va avanti, nel bene e nel male. Un uomo di 40 anni ieri sera, litiga per l'ennesima volta con la moglie, per motivi economici.

L'uomo ha un attività commerciale nel settore della ristorazione, ma gli affari vanno male, è pieno di debiti, e accusa la moglie di aver bruciato soldi giocando al lotto. Ad un certo punto perde la testa, caccia di casa la moglie e si barrica dentro con i tre figli piccoli, due di 6 e uno di nove anni, e l'anziana madre paraplegica. Intervengono subito gli uomini della squadra mobilie, seguono lunghe ore di trattative. L'uomo lancia oggetti dalla finestra: piatti, vasi di fiori, un barattolo di vernice. Ad un cento punto chiede che da sotto la porta, banconota dopo banconota, gli vengano consegnati 400mila euro, la somma che secondo l'uomo gli dovrebbe restituire la moglie. La sua richiesta scende poi a 20mila euro.

La squadra mobile prende tempo, cerca di non far precipitare la situazione, provvedendo tra le altre cose a sospendere l'erogazione del gas. Ma di far ragionare l'uomo non c'e verso.
Così alle sette del mattino arrivano gli uomini del Nocs, con un'operazione a tenaglia sfondano la porta e la finestra e immobilizzano in pochi secondi l'uomo, di robusta stazza fisica,e con un passato di pugile.

L'incubo per i tre figli l'anziana madre ha finalmente fine. Stanno bene, hanno potuto subito riabbracciare la madre, e due dei tre figli sono anche andati regolarmente a scuola. L'uomo è stato arrestato con l'accusa di sequestro di persona e maltrattamenti.

Commenti:

Qui non dicono, ovviamente, che l’uomo avrebbe sclerato per paura di vedersi tolto l’affidamento dei figli per mancanza di reddito e non dicono che la ricostruzione è affidata alle lotterie e al gioco d’azzardo. Non dicono che intere famiglie sono costrette a vivere, anche con
profondi conflitti, sotto lo stesso tetto, in c.a.s.e. insonorizzate (non senti cosa ti accade intorno, solo fuori la porta di ingresso si sente tutto), dove manca anche il campo e se non hai la rete fissa non puoi neanche telefonare per chiedere aiuto. Non dicono che in queste c.a.s.e. sono costretti a vivere in 6 o in 8 in due o tre stanze + il divano letto. Dove, nonostante l’isolamento, non c’è alcuna privacy dentro casa. Una casa che, per averla, hai accettato di condividere con suoceri, nonni, genitori e magari anche qualche estraneo che hai tirato dentro al nucleo di coabitazione per non esserne escluso, perchè come single o coppia non avevi alcuna possibilità di ottenere un alloggio provvisorio. Molte famiglie, dove i coniugi erano divorziati o separati, per non perdere la c.a.s.a. e l’affidamento dei figli hanno dovuto convivere sotto lo stesso tetto, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Luigia

ANCORA FIAMME NEL C.I.E. DI PONTE GALERIA

31/03/10 presidio a p.le clodio e assemblea al forteprenestino

ANCORA FIAMME NEL C.I.E. DI PONTE GALERIA

«Un casino della madonna!»
A mezzanotte del 30 marzo arriva questo sms da uno dei reclusi del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. Da un’ora è scoppiata una rivolta: i materassi bruciano e ci sono due grossi fuochi che si alzano arrivando fino all’infermeria. Alcuni reclusi sono saliti sul tetto e altri hanno spaccato tre o quattro porte di ferro e hanno quasi raggiunto il muro di cinta.

Tutto il centro è pieno di polizia: sono dappertutto – in tenuta
antisommossa, con manganelli, scudi e caschi. Intorno all’una e venti si sentono anche degli spari.

Il bilancio della rivolta è di 200.000 euro di danni, l'impianto idraulico ed elettrico fuori uso, 4 evasi, un numero imprecisato di reclusi/e trasferiti/e in altri centri e 17 arrestati che verranno processati per direttissima il 31 marzo.

In quest'ultimo mese, a partire dal primo marzo, in concomitanza con il passaggio della gestione dalla croce rossa ad auxilium, i/le reclusi/e hanno iniziato l'ennesimo sciopero della fame e dato vita a numerose rivolte, ribellandosi ai pestaggi subiti e ai soprusi imposti quotidianamente dagli aguzzini in divisa, con la complicità delle associazioni che operano all'interno di questi campi di concentramento della democrazia.

Somministrazione di psicofarmaci, cibo avariato, assenza di cure sanitarie, pessime condizioni igieniche e stupri sono all'ordine del giorno, come pure gli atti di autolesionismo che esprimono la disperazione di chi è costretto a sei mesi di reclusione in un lager per il solo fatto di non possedere un documento.


mercoledì 31 marzo 2010

Ore 8:30 presidio a piazzale Clodio davanti al tribunale in solidarietà ai ribelli di Ponte Galeria.

Ore 19:00 assemblea pubblica al Forte Prenestino per dare tutti/e insieme una risposta immediata a quanto sta succedendo.

NELLA TUA CITTÀ C'È UN LAGER
CHIUDIAMO TUTTI I C.I.E.

antirazziste e antirazzisti di roma
per info:

Dall'assemblea del 13/14 marzo a Taranto

A JOY E A TUTTE LE IMMIGRATE RINCHIUSE NEI CIE.

Siamo al fianco di tutte le immigrate che nei campi di concentramento dei CIE si stanno ribellando, sviluppando rivolte; sosteniamo la coraggiosa battaglia di Joy ed Hellen che hanno denunciato il tentativo di stupro dell'Ispettore di polizia.

Siamo unite con le nostre sorelle immigrate nella lotta contro questo governo, questo stato fascista, razzista e di polizia che risponde al bisogno di vita, di libertà, con l'imprigionamento nei campi di concentramento dei CIE, le condizioni di vita disumane, insieme alle continue vessazioni, ricatti sessuali fino agli stupri della polizia; e risponde alla giusta ribellione contro tutto questo col carcere e deportazione, mandando coscientemente a morte nei loro paesi chi si è ribellata ai propri sfruttatori.

Essere al fianco delle immigrate significa per noi quindi prima di tutto lottare contro l'imperialismo italiano, responsabile diretto da un lato della condizione di miseria, oppressione, e guerra nei paesi di origine, e, dall'altro, attraverso leggi fasciste e razziste, delle condizioni di schiavitù, supersfruttamento di repressione/oppressione. Le immigrate in Italia subiscono non una ma una triplice oppressione, come immigrate e come donne, in cui l'oppressione patriarcale si intreccia all'oppressione moderno/imperialista del nostro paese che vuole imporre la sua "(in)civiltà" violentando il corpo e la testa delle donne.

La lotta delle donne immigrate è la nostra stessa lotta, per rovesciare questo sistema sociale, politico che usa verso le donne un'oppressione e violenza di Stato.

Ci impegniamo a sviluppare dovunque siamo e possiamo denuncia e mobilitazione:

Libertà per tutte le immigrate dai CIE;
Ottenimento del permesso di soggiorno;
No alle deportazioni nei paesi d'origine;
Vogliamo processi e condanne per l'Ispettore Adesso che ha violentato Joy e per i poliziotti stupratori.


ALLE LAVORATRICI, DISOCCUPATE, PRECARIE, LAVORATRICI IMMIGRATE IN LOTTA

L'assemblea manda un forte saluto di sostegno a tutte le lotte in corso in questi mesi.
In queste lotte le donne stanno esprimendo un grande coraggio e determinazione: non accettiamo di essere licenziate, non accettiamo di non trovare lavoro, non accettiamo che la precarietà ci stronchi vita; respingiamo gli attacchi al salario che vogliono portare sempre più in basso aumentando la nostra disuguaglianza salariale, gli attacchi ai nostri diritti (dalla maternità, alle pensioni delle donne, ecc.), come il doppio attacco razzista alle lavoratrici immigrate.
In alcune di queste lotte, soprattutto delle disoccupate invece che lavoro diritti abbiamo cariche della polizia e repressione, ma stiamo dimostrando di non avere paura e che la repressione aumenta la nostra ribellione.

Per noi donne l'attacco al lavoro, al salario si accompagna a forme pesanti di discriminazione sessuale da parte di padroni e di leggi che ci vogliono riportare indietro; Stato, governo, padroni stanno portando avanti un peggioramento generale della nostra vita, scaricando su noi il taglio dei servizi sociali, dalla scuola alla sanità, l'aumento del costo della vita, ricacciandoci in casa, in un ruolo sempre più subordinato nella famiglia, alimentando anche in questo modo un clima di oppressione, violenza sessuale, vecchie e nuove concezioni maschiliste.

A tutto questo noi lavoratrici, disoccupate, precarie, immigrate dobbiamo rispondere unendo le nostre lotte dal nord al sud, costruendo una rete tra le donne in lotta, unendo e aumentando le nostre forze.

L'assemblea lancia un forte appello a tutte le realtà in lotta a costruire insieme, con un rapporto diretto, dal basso, orizzontale uno SCIOPERO DELLE DONNE, uno sciopero PER IL LAVORO, IL SALARIO E CONTRO LA DOPPIA OPPRESSIONE.

Uno SCIOPERO DELLE DONNE è una novità, una rottura inaspettata da parte di padroni, governo, e mondo sindacale.
Uno SCIOPERO DELLE DONNE perchè l'attacco è insieme di classe e di genere e noi abbiamo bisogno di fare una doppia lotta per rompere queste doppie catene.


ALLE DONNE DELL'AQUILA IN LOTTA

Salutiamo il coraggio, la forza delle donne de L'Aquila.
Di fronte alla vostra dignità, si oppone la miseria degli sciacalli ridens, da Berlusconi ai padroni che ridevano, a Bertolaso.
Come dopo il terremoto, le donne, in prima fila, determinate hanno risposto alle morti dei propri cari, alle distruzione delle case, asciugandosi gli occhi, e portando avanti la lotta contro i veri responsabili di quei disastri, oggi continuano la battaglia per impedire che sulla ricostruzione si spengano altre vite in una città senza vita, che però gronda milioni di profitti, mentre tante oltre alla casa hanno perso il lavoro.

Noi sosteniamo la vostra battaglia contro una politica del governo fatta da un lato di a
bbandono, dall'altra di snaturamento della città che vuole distruggere memoria, socializzazione.
Per le donne tutto questo si tradurrebbe inevitabilmente in aumento dell'oppressione; sia se
rinchiuse negli alberghi, sia se isolate nelle new town di Berlusconi, scientificamente insonorizzate, asettiche e fatte in modo da impedire ogni socializzazione.

Ma non ci stanno riuscendo!

Questa battaglia a L'Aquila deve diventare un simbolo per tutte le altre realtà in cui va avanti una politica di distruzione delle condizioni di esistenza. Un simbolo di lotta e resistenza delle donne.
Per questo nei prossimi mesi vogliamo venire a L'Aquila a realizzare un incontro per dare e ricevere forza.


L'assemblea delle donne, disoccupate, lavoratrici, precarie del 13/14 marzo a Taranto: “Bagagli per un viaggio delle donne in lotta”

info: Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

mfpr@fastwebnet.it
mfprpa@libero.it
3475301704 (margherita)
3408429376 (donatella)

30/03/10

Guerra santa contro le donne

All'indomani delle elezioni lanciata la guerra alle donne
Parte dal leghista neo-eletto presidente della regione Piemonte, il leghista Cota, la guerra santa contro le donne, la loro salute, la loro dignità. Il suo primo pensiero, infatti, è stato per l'introduzione- finalmente!- della Ru486 anche in Italia.
Ha annunciato che lui è per la difesa della vita e, quindi, lascerà marcire, in Piemonte, la Ru486 nei magazzini: la lunga lista dei paladini per la vita si arricchisce di un nuovo militante, ligio ai dettami di Bagnasco in campagna elettorale.
Ma aggiunge un di più di cattiveria e perfidia: da un lato, come suggerito dal suo consigliere sanitario, di far firmare alle donne un consenso “molto articolato che sottolinei i rischi dell'aborto farmacologico“, come a dire cercare di dissuadere le donne dal ricorrere alla pillola abortiva e infliggere nuove sofferenze in un momento così difficile, dall'altro si preannuncia “l'indispensabile ingresso delle associazioni pro vita all'interno degli ospedali”
Non abbiamo dubbi che la solerzia di Cota non venga prontamente seguita da novelli paladini pro-vita. Ma dobbiamo altresì ricordare che, da un lato, Cota ed eventuali nuovi adepti nulla avevano dichiarato in merito nel corso della campagna elettorale, dall'altro, probabilmente si sarà sentito nell' “obbligo morale” di tale primogenitura perchè neo presidente di quella regione in cui la sperimentazione e la battaglia per l'introduzione della RU486 è partita per prima.
Non contenti delle assurde limitazioni per l'uso della pillola abortiva, con l'obbligo di ricovero che equivale, nei fatti, ad annullarne gli aspetti positivi, ora si apre apertamente una campagna di intimidazione contro le donne.

L'ENI, JOY E LE DEPORTAZIONI

Un altro contributo de Le Vespe su ciò che sta dietro gli accordi tra Italia e Nigeria, tanto lodati dal capo della polizia Manganelli e dal segretario generale dell'Interpol, Ronald Noble.

Si sfruttano risorse naturali incuranti delle conseguenze locali, si
produce un'umanità in esubero, spossessata di tutto, anche del diritto di esistere.

Questa umanità si muove verso le cosiddette capitali economiche in cerca di fortuna.

La fortezza europa si nutre di uomini e donne, per poi evacuarli quando risultano inservibili attraverso la procedura del rimpatrio, maschera di una vera e propria macchina per deportazioni.
Ma c'è chi raccoglie informazioni, crea ostacoli, fa azioni ed intesse relazioni, per opporsi a tutto ciò, come ci racconta durante l'intervista una compagna da Londra, al termine della quale ci lancia una proposta sta a noi coglierla...

contributo a cura de le vespe
Ascolta su Radiocane

27/03/10

La doppia lotta delle donne, ieri e oggi

un articolo delle Cassandre felsinee uscito su "Umanità nova" n. 11

Che in questi giorni la CNT spagnola festeggi i sui cento anni con una serie di iniziative sul rapporto tra lotta contro il capitalismo e contro il patriarcato, tra anarchismo e femminismo, è forse il segno di una centralità della lotta femminile in una fase di crisi in cui lo sfruttamento e la precarietà investono con maggior violenza proprio il lavoro e la vita delle donne. Ed è senz’altro significativo che il 20 marzo il tema di dibattito, a metà fra storia e attualità, fosse “Mujeres libres, ieri e oggi”...

* * *

«Ci sono molti compagni che desiderano sinceramente il concorso della donna nella lotta, ma a questo desiderio non corrisponde alcun cambiamento delle loro idee su di essa: desiderano la sua partecipazione come un elemento strategico che potrebbe facilitare la vittoria, senza che ciò li induca a pensare nemmeno per un istante all’autonomia femminile, senza che cessino di considerarsi l’ombelico del mondo. Sono gli stessi che nei momenti d’agitazione esclamano: “Perché non si organizza una manifestazione delle donne?”...».

A mostrare la tenace persistenza di una “questione femminile” anche dentro i movimenti antiautoritari, basterebbe forse questo lucido frammento di dibattito che non risale alla rivolta femminista degli anni Settanta, ma alla Spagna del 1936. Lo si può leggere in una piccola antologia edita a Barcellona nel 1975 da Mary Nash e riproposta in italiano nel 1991 dalle edizioni La Fiaccola: “Mujeres libres. Spagna 1936-1939”: ed è la testimonianza di un’importante esperienza delle donne, lungamente ignorata dalla storiografia femminista e dalle storie del movimento operaio e della guerra civile spagnola.

“Mujeres libres” – rivista e organizzazione femminile di tendenza anarchica – sviluppò la propria attività dal marzo ’36 al febbraio ’39, raccogliendo oltre 20.000 militanti. Si costituì come movimento autonomo nell’ambito del movimento libertario e respinse qualsiasi tentativo che potesse lasciar supporre una sua subalternità o strumentalizzazione. Diversamente dalle organizzazioni e sezioni femminili dei vari partiti comunisti, “Mujeres libres” rivendicava la propria “autonomia organizzativa” e cercò di farsi riconoscere come ramo autonomo dell’anarchismo, al fianco e alla pari con la CNT, la Federación Anarquista Iberica e la Joventud Libertaria. Nell’ottobre del ’38 la richiesta di essere riconosciuta come parte del movimento libertario fu infine respinta perché «un’organizzazione specificatamente femminile avrebbe costituito un elemento di disgregazione e di divisione all’interno del movimento operaio».

Priva di riconoscimenti formali e di un appoggio incondizionato, “Mujeres libres” riuscì tuttavia fin dalla primavera del ’36 a sviluppare un’azione forte e incisiva, organizzandosi come movimento gestito interamente dalla propria base e strutturato in forma federalista su base territoriale. Secondo il femminismo proletario di “Mujeres libres” le donne erano chiamate a una “doppia lotta” (“dobla lucha”): come sfruttate e come oppresse dalle discriminazioni sessiste e dalle costrizioni del familismo. Essendo “doppia”, la lotta aveva dunque bisogno di organizzazioni convergenti ma autonome: liberare la società non significava soltanto sconfiggere padroni e fascisti, ma anche abbattere il patriarcato e ogni forma di autoritarismo maschile. Non si trattava soltanto di difendere un territorio o lo Stato repubblicano, ma di lottare per gli interessi della classe lavoratrice e insieme per l’instaurazione di un sistema sociale più giusto e libero per tutte/i. Nei quartieri proletari le “Mujeres libres” portavano la complessità della lotta antiautoritaria, la pluralità non gerarchizzabile delle contraddizioni (non solo economiche, ma anche sessuali), la necessità di emancipare la donna – scrivevano – «da una triplice forma di schiavitù a cui è stata e a cui continua ancora ad essere sottomessa: schiavitù dell’ignoranza, schiavitù in quanto donna e schiavitù come produttrice».

Oggi, in questi anni di oppressione molteplice, possiamo ben capire la straordinaria vitalità di quell’esperienza remota di donne autorganizzate, autonome e libere. Perché oggi sono forti, come e più di allora, le ragioni di una “doppia lotta” delle donne all’interno dei movimenti di emancipazione sociale: contro lo sfruttamento, la precarietà, le discriminazioni sul lavoro; contro le violenze sessiste ed eterosessiste, l’autoritarismo familista e patriarcale e ogni forma di subordinazione e subalternità.

Non a caso la due giorni “Bagagli per un viaggio delle donne in lotta”, organizzata a Taranto il 13-14 marzo scorsi dalle compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, ha ribadito la sfida di promuovere nei prossimi mesi la costruzione di uno sciopero generale delle donne che intrecci la battaglia per il lavoro alla lotta contro la “triplice forma” dell’asservimento femminile. E potrebbe essere forse qualcosa di più di uno sciopero: una mobilitazione permanente, un’utopia di liberazione.


Per approfondire:

Mary Nash, Mujeres libres (Donne libere). Spagna, 1936-1939, a cura di M. Matteo ed E. Penna, Ragusa, La Fiaccola, 1991 (reperibile ormai solo in biblioteca).

Martha A. Ackelsberg, Mujeres libres. L’attualità della lotta delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola, Milano, ZIC, 2005.

Cassandre felsinee

26/03/10

Lettere

Ciao care,
siamo tutte a conoscenza di quello che è successo a Bologna in concomitanza con l'iniziativa promossa da Michele Santoro in difesa della libertà di informazione.
Dopo la doverosa manifestazione di solidarietà nei confronti delle compagne malmenate e schedate, devo dire che quanto è accaduto non mi sorprende, visti i precedenti :uno per tutti quello che è avvenuto, sempre a bologna, in occasione del gay-pride nell'estate 2008.
Anche in quell'occasione alle compagne di Facciamo Breccia fu impedito dall'Arci-gay e Arci-lesbica di aprire uno striscione, furono malmenate e consegnate alla digos con conseguenti denunce.
E' prassi consolidata di una certa area politica e relative associazioni-satellite che si autodefiniscono, bontà loro, di sinistra, espletare nei confronti del movimento femminista e del movimento in generale, tutta una serie di pratiche che vanno dalla censura delle iniziative, dalla manipolazione dei contenuti delle stesse, alla diffamazione e alla delazione.
Salvo il tentativo di mettere cappello sulle nostre lotte o di utilizzarci come truppe cammellate.
Certo, hanno ben chiaro che noi siamo altro.
Questa consapevolezza molte di noi già ce l'hanno, ma ogni tanto qualcuna ancora crede che ci siano giornali/direttore/giornaliste amiche.
Non è così.Possiamo e dobbiamo contare solo su noi stesse.

Elisabetta

25/03/10

La polizia stupra, la guardia di finanza non è da meno...

Pubblichiamo, così com'è, una notizia ansa di ieri sera.
Aggiungiamo soltanto che da anni e anni si sa dei ricatti sessuali con cui vengono vessate le prostitute - donne e trans - dai tutori dell'ordine e da militari di varie specie sotto la minaccia di strappare il loro permesso di soggiorno - se ce l'hanno - o di arrestarle - se ne sono sprovviste.
Per quanto tempo ancora cercheranno di farci credere che il moltiplicarsi degli uomini in divisa nelle strade sia sinonimo, per le donne, di sicurezza?

Abusi su prostitute: arrestati tre finanzieri
Ordinanza per un quarto gia' in carcere, indagini da giugno
25 marzo, 21:30
MILANO - Tre 'baschi verdi' sono finiti in carcere questa mattina a Milano con l'accusa di aver abusato di prostitute durante i controlli di routine contro l'immigrazione clandestina.
Sono gli sviluppi di un'inchiesta della procura milanese che già lo scorso giugno aveva portato agli arresti altri due finanzieri, uno dei quali oggi si è visto recapitare un nuovo provvedimento a San Vittore, dove ancora è rinchiuso. Le quattro ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip Chiara Valori, sono state consegnate ai loro colleghi dagli stessi militari del Nucleo di Polizia Tributaria. Nell'indagine, condotte dai pm Cristina Roveda e Marco Ghezzi, si ipotizzano i reati di violenza sessuale di gruppo (quando a commetterla è più di una persona), concussione e peculato. Gli episodi contestati a vario titolo, da quanto è filtrato, sono tre: due commessi a Garbagnate, nell'hinterland, tra l'ottobre 2008 e il giugno successivo e il terzo avvenuto a Milano nel maggio dell'anno scorso.
Secondo la ricostruzione accusatoria i tre finanzieri del Gruppo Pronto
Impiego, durante il servizio e con l'auto di servizio, abusando della condizioni di inferiorità delle vittime, le avrebbero costrette a rapporti sessuali. I quattro 'baschi verdi' si sono difesi sostenendo che di non aver mai usato violenza nei confronti delle lucciole. Tra gli elementi raccolti dai pm ci sarebbero, oltre alle denunce di una o più prostitute, alcune testimonianze e gli esiti positivi degli accertamenti tecnico-scientifici su alcune delle 18 macchine in dotazione alla caserma del Gruppo Pronto Impiego e poste sotto sequestro.
Accertamenti effettuati
lo scorso 9 marzo da un consulente biologo nominato dai pm e alla presenza di alcuni esperti per gli indagati. Le analisi hanno puntato a verificare se sulle auto fossero rimaste tracce biologiche, ematiche e altro, per appurare se ci fosse stato o meno un rapporto sessuale. Gli interrogatori delle persone arrestate dovrebbero cominciare già domani. L'inchiesta è nata in seguito alla denuncia di una prostituta romena che lo scorso giugno aveva raccontato alla polizia di essere stata vittima di abusi sessuali da due agenti della Guardia di Finanza (uno avrebbe fatto da 'palo', mentre l'altro consumava un rapporto orale) che stavano svolgendo un controllo di routine in via Gallarate, nei pressi del cimitero Maggiore. Una decina di giorni dopo i primi due arresti. Uno dei finanzieri, però, alcuni mesi fa, è stato rimesso in libertà in quanto le sue spiegazioni sarebbero state ritenute credibili, mentre l'altro oggi in carcere ha ricevuto un nuovo provvedimento cautelare e altri tre colleghi sono stati arrestati.
(Ansa)

Giovane donna morta sul lavoro

OTTOBIANO, 25 marzo 2010

Non ce l’ha fatta Marta Lunghi. Non ce l’ha fatta l’operaia 22enne rimasta vittima, lo scorso sabato, di un terribile incidente sul lavoro nell’azienda avicola Gerlo di via Vigna Crosio a Pieve del Cairo: la giovane è morta dopo alcuni giorni di agonia al policlinico San Matteo di Pavia. Marta Lunghi era rimasta impigliata in un nastro trasportatore per il confezionamento delle uova. La giovane, residente a Ottobiano al numero 7 di via Gambarana, aveva iniziato a lavorare alle otto. L’infortunio sul lavoro, dall’esito mortale, si era verificato attorno alle nove. Quando Marta Lunghi era rimasta agganciata alla catena della macchina: all’arrivo dei soccorritori, un’automedica da Pavia e una da Voghera, insieme con un’ambulanza della Croce rossa di Mede, la 22enne era in arresto cardiaco. Rianimata per un’ora e mezza, l’operaia era stata portata al policlinico San Matteo. Ricoverata in seconda Rianimazione, il suo cuore ha smesso di battere dopo alcuni giorni di agonia. Troppo gravi le sue condizioni, disperate nonostante il tempestivo intervento degli operatori sanitari coordinati dal 118. Nell’a zienda agricola di Pieve del Cairo erano giunti anche i carabinieri della locale stazione, ma anche gli ispettori dell’Asl, cui spetterà stabilire eventuali responsabilità. «Non sappiamo cosa possa esserle successo - avevano dichiarato i titolari dell’azienda - , l’abbiamo trovata riversa sul nastro trasportatore». La notizia della morte di Marta Lunghi ha lasciato sgomenti tutti coloro, ed erano tanti, che la conoscevano. Ottobiano è in lutto. Il giorno dei funerali non è stato ancora fissato. Gli ispettori dell’Asl dovranno ricostruire la dinamica dell’infortunio sul lavoro di sabato a Pieve del Cairo. Stando a una prima sommaria ricostruzione del tragico incidente, la giovane sarebbe rimasta impiagliata nella catena della macchina per il confezionamento delle uova. Nell’i nfortunio la giovane aveva riportato delle lesioni gravissime. Tra le ipotesi riguardanti l’incidente sul lavoro, anche quella del soffocamento: il maglione delle 22enne di Ottobiano sarebbe rimasto incastrato nel nastro trasportatore, causandone l’asfissia.

24/03/10

ancora-minacce-per-joy

24 Marzo, 2010

La sera del 18 marzo – appena scampato il rischio di venire deportata con un volo Frontex – Joy ha ricevuto minacce telefoniche da parte dei suoi sfruttatori, che hanno anche mandato qualcuno a casa di sua madre in Nigeria. La madre, fortunatamente, non c'era.
Ricordiamo che costoro hanno già ucciso tre familiari di Joy – il padre, un fratello e la sorella – per costringerla a tornare sulla strada.

Ostaggio dello stato italiano e dell'ambasciata nigeriana che ne ha autorizzato l'espulsione, Joy non deve essere rimpatriata, perché questo costituirebbe per lei un pericolo gravissimo!

Non fermiamo la lotta solidale al fianco di Joy e di tutte le donne rinchiuse nel lager per migranti. Moltiplichiamo le iniziative di informazione.

Qui potete scaricare la versione aggiornata del volantino da distribuire.

23/03/10

SOSTENIAMO LA LOTTA DI JOY, HELLEN...E DI TUTTE LE MIGRANTI E I MIGRANTI

Contro la detenzione dei migranti nei CIE (centri di espulsione e identificazione)
Contro le deportazioni razziste e moderno fasciste del governo

Vogliamo il riconoscimento del permesso di soggiorno per Joy, Hellen e per tutte le migranti e i migranti reclusi nei CIE

Vogliamo l’incriminazione e la condanna dell’ispettore di polizia Addesso per tentata violenza sessuale contro Joy che le istituzioni con ogni mezzo vogliono insabbiare cercando di impedire a Joy e alla altre migranti di portare avanti la denuncia.

Il 12 febbraio le migranti nigeriane Joy, Hellen insieme ad altre donne migranti sono state rilasciate dal carcere dove stavano scontando la condanna per aver preso parte alla rivolta di tanti migranti scoppiata nel CIE di Corelli a Milano la scorsa estate contro una pesante condizione di oppressione e repressione che per le donne migranti significa anche subire molestie e violenza sessuale. Durante il processo Joy ha avuto il coraggio di denunciare il tentativo di stupro da parte dell'ispettore-capo del CIE Addesso, evitato grazie all’'aiuto della sua compagna di reclusione Hellen.

Per un perverso meccanismo carcere-Cie sono state riportate in altri Cie ma ora rischiano di essere espulse dall’Italia e rimandate nel loro paese di origine.

Come femministe, lavoratrici abbiamo da subito nella grandiosa manifestazione del 24 novembre 2007 a Roma denunciato l'uso strumentale che si voleva fare delle violenze contro le donne per far passare il vergognoso pacchetto sicurezza, le politiche securitarie, razziste e moderno fasciste del governo.
NON IN NOSTRO NOME! in diverse città quest'anno, nella giornata-simbolo della violenza contro le donne del 25 Novembre, sono state denunciate le violenze subite dalle donne migranti nei CIE..

Il 12 febbraio c’è stata una forte mobilitazione delle donne, delle femministe, dei comitati antirazzisti che si sono schierati al fianco ed in difesa di Joy, Hellen e delle migranti in lotta per esprimere concreta e fattiva solidarietà; questa mobilitazione sta continuando anche adesso in tante città e ciò ha contribuito a far sì che Joy, Hellen e Florence non venissero per ora deportate anche se purtroppo altri 25 uomini e donne provenienti dalla Nigeria sono stati/e rimpatriati dal Cie di Ponte Galeria.

E’quindi necessario continuare la mobilitazione per fermare le deportazioni, per richiedere a gran voce il permesso di soggiorno per Joy, Hellen, sostenendo con forza la loro lotta contro le violenze sessuali che accadono dentro i CIE, e per tutte le migranti e i migranti perché le ragioni legittime che hanno portato le migranti e i migranti alla rivolta nel CIE di Via Corelli Milano e non solo sono ancora più pressanti.

Contrastare concretamente e sul campo sessismo, razzismo, moderno fascismo!

movimento femminista proletario rivoluzionario

La Chiesa di Ratzinger con Berlusconi

La chiesa di Ratzinger della pedofilia e dell'oscurantismo, scende in campo apertamente a fianco del governo della corruzione politica e morale scatenando una nuova crociata contro l'aborto e i diritti delle donne si tratta di una azione da disperati, volta a cercare di mobilitare l'elettorato cattolico -spesso disgustato da Berlusconi e il suo governo e spinto al voto contro o ancor più all'astensione - a sostegno del governo si coltivano tutti i bassi istinti e si contribuisce alla devastazione culturale e politica del nostro paese il corpo e la coscienza delle donne -ora escort di Berlusconi, ora bigotte di Ratzinger viene volgarmente strumentalizzato e violentato intensificando la marcia verso il moderno fascismo e la dittatura personale al servizio degli interessi del grande capitale e della sua frazione più reazionaria contro tutto questo - l'opposizione elettorale non è il meno peggio ma è parte del peggio - la lotta e l'organizzazione e non il voto sono la soluzione e l'impegno necessario

proletari comunisti 23-3-2010

Aborto: al di qua e al di là dell'oceano

Una riflessione a cura delle compagne del centro sociale Askatasuna e del collettivo femminista Rossefuoco.
Fonte infoaut.org

Se la giornata dell'8 marzo scorso è stata caratterizzata, nelle mobilitazioni di piazza o nelle iniziative di molte città italiane, dalla volontà delle donne di denunciare e rifiutare qualsiasi forma di sfruttamento del proprio corpo, ridotto a merce per le merci, o prostituito a guisa di tangente, già la settimana successiva, è arrivata la risposta, e l'attacco, ancora una volta, non è stato frontale ma comunque evidente e netto: il Consiglio Superiore di Sanità ha reso noto il parere circa le modalità di somministrazione della RU486, la pillola che consente l'interruzione farmacologica e non chirurgica della gravidanza, stabilendo che per sottoporsi al trattamento sarà obbligatorio il ricovero.
Il provvedimento è stato firmato dal ministro per la Salute, Ferruccio Fazio, e, di fatto, non fa altro che ratificare quanto si era prospettato durante le sedute della commissione sanità del Senato, commissione che lo scorso novembre aveva approvato a maggioranza un documento in cui si chiedeva al governo di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola in attesa proprio del parere "tecnico" del ministero della Salute.
Il motivo? Con la pillola l'aborto è più facile...
A febbraio, il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella aveva poi ribadito che l'intera procedura di somministrazione della pillola e il post somministrazione sarebbero dovuti avvenire in ospedale dove "la donna deve essere trattenuta fino ad aborto avvenuto".
L'uso del termine, il medesimo utilizzato sia in commissione sia dal Consiglio, è indicativo: se non si può trattenere una donna dall'abortire, e del resto davvero interrompere una gravidanza oggi in Italia è sempre più difficile, basti pensare ai dati sull'obiezione di coscienza o alla situazione dei consultori, almeno proviamo a trattenerla fisicamente!
Ma dal momento che il ricovero non potrà essere imposto e che la paziente, è verosimile, firmerà per le proprie dimissioni, qual è il senso, sostanziale e simbolico, di questo pronunciamento, che peraltro invita le regioni ad adeguarvisi?
Riteniamo che l'unica risposta possibile sia proprio quella che in modo esplicito già la stessa Roccella aveva paventato, all'inverso, qualche settimana fa: è troppo facile...
Per le donne facile, o per lo meno, decente, sarebbe trovare un ginecologo non obiettore, riuscire a fare tutti gli esami in tempo (ricordiamo che l'aborto è possibile solo entro i primi 3 mesi dal concepimento), evitare di dover anche far passare la cattolicissima settimana di riflessione, presentarsi infine in ospedale nell' unico e solo giorno dedicato alle ivg e farsi operare, in anestesia totale, quando in tutto il resto d'Europa, da anni, viene somministrata, in modo controllato e rigoroso, certo non a casa con un bicchiere d'acqua, la RU486.
Il ricovero rende più penoso, arduo e incomprensibilmente complicato un momento di per sé, spesso, davvero difficile: ancor oggi, in regime di Day Hospital, molte donne raccontano della difficoltà di giustificare quella assenza al lavoro; per esempio, e non solo, proviamo a pensare a che cosa potrebbe voler dire ( poniamola come ipotesi, ma ricordiamo che il ricovero è comunque obbligatorio) doversi assentare per più giorni o trovarsi nella necessità di dover dare spiegazioni anche semplicemente per poter contare su un aiuto concreto per organizzare la propria lontananza, dall'ufficio o dalla famiglia.
Davvero un percorso a ostacoli.
Veramente sul nostro corpo non ci è dato decidere autonomamente, anzi, a quanto pare non è prevista né ripugnanza né vergogna, perché divenuti abitudini di potere, per l' abuso, lo scambio, la macelleria di corpi di donne con lo scopo di vendere, comprare, o per scambio, ma è a noi, a noi donne, che si chiede di provar vergogna, perché abortire è una colpa, e come tale la colpevole va prima ostacolata in tutti i modi, poi trattenuta...
L'ospedale diventa carcere perché, come affermato in queste ore dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, all'apertura dei lavori del Consiglio episcopale permanente, il cosiddetto parlamentino dei vescovi italiani, l'aborto è un crimine.
Secondo Bagnasco, e citiamo le sue dichiarazioni, sottrarre beni pubblici è uno scandalo, gli abusi sui bambini, anche se commessi da preti, sono da imputare all'edonismo culturale dei nostri tempi, la crisi economica costituisce una sofferenza acuta, MA l'aborto è un delitto incommensurabile.
Bagnasco indica così ai cattolici come votare alle prossime elezioni regionali: la difesa della vita, sostiene, non è negoziabile.
eppure non vi è nulla più di chi quella vita sceglie di dare che sia maggiormente oggetto di patto, commercio e contrattazione: la donna.
In campagna elettorale, poi, l'aborto è un tema caldo: sposta voti, crea consensi o mette in difficoltà, quando non diventa esplicitamente terreno di scontro politico o utile moneta di scambio se la posta in gioco è incredibilmente alta, come nel caso dell'approvazione del testo finale della legge di riforma della Sanità negli Stati Uniti.
E' stata definita una riforma di portata storica, giocata sul filo della rincorsa all'ultimo voto, che senza dubbio ridà smalto e sostanza a una leadership, quella di Obama, decisamente appannata; e se è vero che nessun presidente americano era finora riuscito nell'impresa di rendere accessibile una copertura assicurativa al 94% dei cittadini non anziani, espandendo il servizio "medicaid", vale a dire l'assistenza per i cittadini indigenti, e offrendo dei benefici fiscali senza i quali molte persone troverebbero difficile permettersi un'assicurazione, è altrettanto vero che la partita si è agita esclusivamente sul terreno dell'aborto.
Che Obama avesse cambiato rotta rispetto al diritto di scelta delle donne era parso chiaro già in occasione della visita in Vaticano del 10 luglio scorso , quando, al termine del colloquio, il portavoce papale, padre Federico Lombardi aveva fatto sapere che "il presidente americano ha detto al Papa che si impegnerà a fare in modo che negli Usa gli aborti possano diminuire, ottenendo il plauso del Santo Padre"... decisamente non lo stesso Obama del 2007, quello che si era detto fortemente in disaccordo con la sentenza della Corte Suprema del 19 aprile, contraria ad una particolare tecnica di aborto terapeutico, sentenza considerata allarmante perché incoraggiava l'ingerenza del Congresso nel mettere al bando una procedura medica giudicata necessaria in alcuni casi per la salute delle donne.
In un anno tutto è cambiato: se tra i primi atti da presidente, il 23 gennaio del 2009, vi era stato il decreto che sanciva l'abolizione della Mexico City Policy, istituita da Reagan e ripristinata da Bush, che negava i finanziamenti federali alle organizzazioni che praticano l'aborto e, di seguito, la firma del Freedom of Choice Act, non approvato dal Congresso, con il quale si toglieva validità ai regolamenti statali che proteggono i bambini non nati ed si eliminava la clausola di coscienza per il personale sanitario, ieri si è compiuta una rottura netta, tanto più significativa perché è stato decisivo l'intervento diretto di Obama.
Infatti il presidente degli Stati Uniti ha rinviato il suo viaggio in Indonesia proprio per firmare l' ordine esecutivo che rafforza il divieto di usare i fondi federali per rimborsare le spese delle interruzioni di gravidanza, e solo con questa personale garanzia del presidente, il gruppo dei parlamentari antiabortisti, i cui voti erano decisivi, guidati dal deputato Bart Stupak del Michigan, è passato a favore della riforma, garantendo la maggioranza per l'approvazione della legge.
Sin dalla bozza presentata a novembre questa riforma si era distinta, in sostanza, per il suo forte carattere restrittivo in materia di aborto: Stupak alla Camera aveva presentato un emendamento, poi approvato, che vietava il finanziamento in qualsiasi forma, e in qualsiasi circostanza, di pratiche abortive e la sua crociata per escludere l'aborto dalle prestazioni del servizio sanitario pubblico era stata sostenuta dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che, anche nell'ambito delle funzioni religiose delle chiese in tutto il Paese, aveva più volte dichiarato che l'appoggio al progetto di riforma non poteva essere solo politico, ma soprattutto morale.
Come già visto anche al di qua dell'Oceano, per la Chiesa continua ad essere prioritaria la salvaguardia di un embrione piuttosto che di milioni di persone, uomini donne bambini vivi, privi di assistenza sanitaria ed esclusi da quello che dovrebbe essere l'unico principio morale a difesa della vita: la possibilità di curarsi, di poter comprare i farmaci di cui si ha bisogno, di poter accedere a prestazioni mediche a tutela della propria salute e di una più dignitosa qualità della propria esistenza.
La discussione sulla riforma della sanità si è sviluppata in questo contesto istituzionale, e in un clima sociale e culturale certamente complesso.
In America gli aborti continuano a diminuire, non solo per un maggior ricorso ai metodi contraccettivi ma soprattutto, secondo i dati delle organizzazioni pro- choice, per la difficoltà in alcuni stati ad ottenere di poter interrompere una gravidanza: ben 22 stati, in cui risiede la metà della popolazione, approverebbero leggi più restrittive se non fosse per i vincoli cui sono tenuti dalle leggi federali, in sud Dakota è proibito e basta, in Pennsylvania, Ohio e Michigan, vi sono leggi che limitano il più possibile il diritto all'aborto, infatti i medici devono informare le donne che desiderano un aborto delle alternative possibili e devono aspettare almeno 24 ore prima di compiere la procedura; in altri stati, inoltre, i medici e interi ospedali possono rifiutarsi di eseguire interruzioni di gravidanza, le minorenni devono avere il consenso dei genitori e l'aborto tardivo, dopo la 22esima settimana, è vietato.
Nove dei ventidue su citati stanno attivamente prendendo in considerazione una messa al bando totale come quella del Sud Dakota.
E non dimentichiamo gli attentati ai medici e alle cliniche...
Se quasi il 50% degli americani è favorevole ad una legislazione che consenta l'aborto solo in caso si estremo pericolo di vita per la madre o di stupro, si capisce bene come un presidente in difficoltà su tutti i fronti, dalla politica estera alla crisi economica, abbia disperatamente bisogno di un successo interno che ne riaccenda la popolarità... e quel 50% vale oro.
Il diritto delle donne all'autodeterminazione non vale niente.
Soprattutto quando si tratta di donne povere e nere.
Si può ammettere che, rispetto al testo della Camera, al Senato, in effetti, vi sia stato un aggiramento parziale del divieto netto: chi sceglie una polizza che contiene l'aborto dovrà, a riforma approvata, pagare questa prestazione separatamente, in pratica serviranno due ricevute, una che certifica l'acquisto, obbligatorio, di una polizza assicurativa completamente deducibile, un'altra invece che certifica la copertura per l'interruzione di gravidanza, come servizio a parte, che è interamente a carico del cittadino/a.
Dal momento, però, che il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza è drammaticamente aumentato tra le donne più povere, soprattutto giovanissime e nere, non si vede come, senza il sostegno di fondi federali alle cliniche, possano queste ultime avere accesso alla copertura assicurativa a parte: chi può pagare, come sempre, sceglie, chi non può pagare, come sempre, si arrangia.
Una ulteriore riflessione, secondo noi, rende ancor più preoccupante il quadro che stiamo esaminando: si è implicitamente affermato, per legge, un principio contrario a quello che finora ha sostenuto, negli Stati Uniti, il diritto di scelta, ossia la tutela della salute delle donna senza condizioni. Infatti con questa riforma, che ha come nodo centrale il tentativo di garantire la "salute" ai cittadini e alle cittadine americani, si veicola il messaggio secondo il quale scegliere se avere o no un figlio non attiene alla sfera dei diritti in generale, garantiti ed esigibili, né a quella della salute, non ha la donna al centro del discorso, ma è un "di più" tollerato a fatica e circoscritto alla sfera del privatissimo portafoglio di chi ne è coinvolto, nel pieno rispetto delle leggi di mercato.
Moralmente un crimine, economicamente un affare lucroso: i servizi accessori si pagano a parte, e paga, appunto, chi ha i soldi.
Niente di diverso da quello che avveniva in Italia prima dell'approvazione della legge 194, niente di diverso da quello che si vorrebbe per il futuro, accelerando tendenze già oggi evidenti: aborto non più gratuito, almeno formalmente lo è ancora!, non più garantito dalla sanità pubblica, non più ascrivibile alla sfera dei diritti, non più scelta liberamente praticabile da tutte, se scelta, ma un evento di cui vergognarsi, ostacolato il più possibile, punitivo nei modi e nei tempi, limitato e ridotto per quanto riguarda risorse, competenze, professionalità e strutture.
Cucchiai e prezzemolo non sono scomparsi, come pure i ginecologi obiettori in ospedale e abortisti a pagamento in studio: le donne, soprattutto le più deboli e ricattabili, le migranti, di aborto clandestino continuano a rischiare, se non a morire...è necessario, pensiamo, continuare a denunciare, a discutere, continuare a seguire quanto accade, appunto, anche al di là dell'Oceano, per imporre con la voce delle donne che le donne non accettano di essere ridotte a servizio a parte e che non vi è elezione, appalto o ricatto che non possano s/travolgere.

21/03/10

E Vittorio Adesso disse a Joy "Sto scherzando..."

In questa intervista, a cura di Ambra Murè, Joy racconta del tentativo di stupro da parte di Vittorio Addesso, delle botte che ne seguirono, della sua storia di vittima di tratta e della sua voglia di libertà.

Leggi l'articolo di Ambra Murè.

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"C'è il mio nome nella lista?"

Due agenti di polizia, una donna e un uomo, fermano un'immigrata per controllarne i documenti. La donna cerca di scappare perché ne è sprovvista, ma loro la bloccano, la ammanettano e la rinchiudono nel Cie. Dalla gabbia la donna chiede ossessivamente a due guardie, senza ricevere risposta ma solo sguardi cinici, "C'è il mio nome nella lista? C'è il mio nome nella lista?". La lista è quella delle donne che quel giorno verranno espulse dall'Italia con un volo Frontex. La donna ha il terrore di essere rimandata nel suo paese, dove la aspetta un destino di morte.

Questa l'iniziativa a sorpresa preannunciata nel blog: una simulazione che ieri alcune di noi con compagne e compagni del centro sociale Désir di Feltre (BL) ha fatto nel centro del paese, attirando l'attenzione di chi passava di là.
Alla simulazione sono seguiti interventi e volantinaggi sulla vicenda di Joy e sulla realtà dei Cie e delle deportazioni.

L'idea di questa simulazione ci è venuta da una frase di Joy. La mattina in cui l'avrebbero dovuta "rimpatriare", infatti, dopo ore di angosciosa attesa che hanno ricordato a molte di noi i famigerati "braccetti della morte" delle carceri statunitensi, Joy ha chiamato emozionatissima ripetendo più volte "Il mio nome non è nella lista!". Quella frase ci ha immediatamente catapultate dai "braccetti della morte" ai lager nazisti. Proprio qualche ora prima ci aveva detto "Hanno cominciato a portare via le donne...".

Crediamo non ci sia altro da aggiungere... ma molto da fare per fermare questo orrore!

20/03/10

La lotta con Joy contro CIE e deportazioni non deve fermarsi

Da http://noinonsiamocomplici.noblogs.org

Quello di ieri è stato un parziale successo: l'intreccio tra fattori di tipo giuridico e le mobilitazioni solidali hanno fatto sì che Joy, Hellen e Florence non venissero deportate.

Ma ciò non toglie che ieri 25 uomini e donne provenienti dalla Nigeria siano stati/e rimpatriati da Ponte Galeria con il charter organizzato da Frontex, mettendo gravemente in pericolo le loro vite e che quindi rimanga necessario fare di tutto per fermare le deportazioni.
D'altra parte ricordiamo che Joy è comunque stata riconosciuta dall'ambasciata nigeriana e questo significa, senza mezzi termini, che è un ostaggio dello Stato italiano e finché non sarà fuori dal Cie la sua vita rimane nelle mani dei suoi guardiani e del ministero dell'interno, che sicuramente tenteranno di tutto per deportarla e chiuderle la bocca una volta per tutte.
L'invito è dunque quello di moltiplicare in tutti i territori le iniziative che facciano conoscere la storia di Joy e che parlino della realtà dei Cie, delle violenze che vi avvengono e delle deportazioni.
Abbiamo preparato un volantino aggiornato sulla storia di Joy che potete scaricare da qui e diffondere in tutti gli angoli di questo paese vergognosamente razzista e connivente, governato da uno stato di polizia.
Segnaliamo anche l'iniziativa che si terrà oggi a Firenze contro il progetto di costruzione di un nuovo lager per migranti in una delle poche regioni che ancora non ne avevano.

Dall'Aquila per Joy, Hellen, per tutte le donne in lotta


L’Aquila, venerdì 19 marzo

All’Aquila ieri sono tornati i militari in forze per liberare la città dalle macerie, dicono. Per liberare la città dalle carriole, diciamo noi e dal dissenso. Tutto deve essere apparentemente perfetto ed efficiente per le elezioni, anche la demagogia di uno Stato clerico-fascista e medioevale, che si prepara ad essere di nuovo legittimato dal gioco elettorale e benedetto dall’ipocrisia clericale.

All’Aquila qualcosa oggi ha tentato di rompere questa ipocrisia, questo gioco truccato.

Sullo sfondo di un tendone con su scritto “Riprendiamoci la città”, contro le porpore dei prelati, gli alti gradi dei militari, le facce toste di Sindaco, Presidente della Regione e autorità varie accorse a celebrare il proprio successo sulle macerie inaugurando la chiesa delle anime sante (ristrutturata solo in parte con i soldi degli USA), un cartello ben visibile è stato apposto, in alto, sul lampione più vicino alla passerella di politici e curia. Diceva: “512milioni di euro per il G8, 2.700 euro/m² per le C.A.S.E., per gli esclusi dalle C.A.S.E. niente case, solo macerie”.

Sul piedistallo di quel lampione sono salita con un altro cartello per Joy, Hellen, tutte le donne che lottano contro il marciume e la violenza di questo barbaro sistema capitalistico. Su quel cartello c’era e c’è scritto, nonostante lo “strappo”: “LA POLIZIA LE STUPRA NEI CIE + I NOSTRI MILITARI IN SOMALIA + I PADRONI RIDENS LE VENDONO AI FUNZIONARI DELLO STATO E AI GENTILUOMINI DI SUA SANTITA’ = STATO E VATICANO MAGNACCIA E STUPRATORI. m.f.p.r. = solidarietà a Joy, Hellen e tutte le donne in lotta”

La Digos mi ha fatto le lastre: i maschi quasi mi facevano la colposcopia, ostentando il fatto che si stavano appuntando tutto di me, non mi sganciavano gli occhi di dosso. Le digossine invece sono salite sul piedistallo, davanti a me, per cercare di nascondere i cartelli e quando un alto prelato li ha notati, una di loro ha cercato di spingermi via a culate ma non ce l’ha fatta. Il suo collega, dopo avere strappato il cartello attaccato al lampione ha iniziato a strapparmi dalle mani quello per Joy ed Hellen. Io mi sono messa a gridare, ho urlato a tutti i presenti di guardare bene qual’è la loro democrazia e il digossino ha dovuto restarsene buono. Un signore anziano e la sua compagna, che prima avevano apprezzato il cartello, mi hanno aiutata a riattaccarlo.

Sono rimasta in presidio per 2 ore

e ho sentito il calore di chi non avevo mai visto prima, di chi non avevo mai visto neanche a un’assemblea, quello dei vigili del fuoco, quello di donne e uomini non abituati alla piazza. Eppure questi uomini e queste donne mi hanno aiutata. In silenzio, da loro mi sono sentita protetta e le/li ringrazio per questa preziosa solidarietà.

Luigia

Questo uno stralcio dell'articolo pubblicato sul Centro del 20 marzo. Questo lo spazio riservato da pennivendoli ignoranti alla lotta femminista contro C.I.E., sciacalli e altri stupratori istituzionali:
[...] L’accesso alla chiesa è stato consentito, per motivi di sicurezza, solo a 150 persone. Ma le altre rimaste fuori (poco più di un centinaio) hanno potuto comunque seguire la cerimonia attraverso un maxischermo installato accanto all’ingresso della chiesa. In piazza anche alcuni esponenti dei comitati cittadini, (il popolo delle carriole), lì solo per distribuire un volantino con l’invito a partecipare domani, in quella stessa piazza Duomo, allo «spazio aperto al confronto e al dibattito sulla ricostruzione». Niente striscioni, fatta eccezione per il cartello tirato su da una donna.
Ma nulla a che vedere con il terremoto, le macerie e la ricostruzione. In quel cartello, esposto per una manciata di minuti, soltanto frasi
contro la Chiesa e contro lo Stato

19/03/10

Altre iniziative per Joy, per fermare tutte le deportazioni

Taranto: Le compagne del MFPR di Taranto e le lavoratrici e disoccupate sabato prossimo 20 marzo alle 17 in p.zza Maria Immacolata faranno un presidio di denuncia, al fianco di Joy, Hellen, Florence e tutte le immigrate.

Presidi in corso a Roma e Torino contro le deportazioni:

Roma: 18 Marzo, 2010 12:20: le compagne sono sotto l'ambasciata nigeriana.

Torino compagni/e: sono sotto la sede della Croce Rossa. Ricordiamo che Massimo Chiodini, responsabile della Croce Rossa nel lager di Corelli, ha testimoniato contro Joy ed Hellen e a favore di Addesso.

Qualche ora fa nel Cie di Ponte Galeria hanno cominicato a portare via donne e uomini per deportarle/i con un volo Frontex in Nigeria, ma ci risulta che Joy, Hellen e Florence siano ancora nelle loro celle.

Tutti gli aggiornamenti su radio onda rossa e radio black out

FERMIAMO TUTTE LE DEPORTAZIONI!

UNA IMPORTANTE, ENTUSIASMANTE, ALLEGRA DUE GIORNI.

La due giorni "Bagagli per un viaggio delle donne in lotta" organizzata a Taranto il 13/14 marzo dalle compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, si è svolta in un clima bello, reso caldo dallo spirito combattivo, dal piacere di trovarsi, socializzare, conoscersi di compagne, disoccupate, lavoratrici che fino al giorno prima erano state impegnate in lotte, e, per alcune realtà, in manifestazioni nell'8 marzo; anche durante il convegno sono arrivate le notizie e i saluti di lavoratrici, precarie in lotta nella stessa giornata del 13, come da Palermo,dove il giorno prima vi erano state le cariche della polizia e da dove le compagne che hanno partecipato alla due giorni hanno portato uno striscione delle precarie in regalo alle disoccupate di Taranto.

Nel primo giorno si sono socializzate le lotte di questi mesi, dal nord al sud, in cui si uniscono gli attacchi concreti al lavoro e alle nostre vite agli attacchi alla nostra condizione generale di donne.
Per questo le proletarie nell'assemblea hanno rilanciato la sfida: PREPARIAMO NEI PROSSIMI MESI LO SCIOPERO TOTALE DELLE DONNE che intrecci la battaglia per il lavoro alla lotta contro la doppia oppressione. Non a caso, lo striscione che le disoccupate di Taranto avevano messo nella sala, riprendeva un vecchio ma quanto mai valido slogan del movimento femminista: "tremate, tremate, le streghe son tornate"!
E' quindi stato deciso di collegarsi con le realtà di lotta più significative delle donne, anche con incontri diretti, per lavorare insieme per lo sciopero.

Nell'assemblea si è parlato anche delle altre lotte delle donne. In particolare è stata raccontata la battaglia delle donne a L'Aquila dall'inizio del terremoto a questi giorni contro gli sciacalli ridens; è stato denunciato perchè le new town di Berlusconi in particolare per le donne significano isolamento, "insonorizzazione", soffocamento scientifico della necessità di socializzazione.
Nell'assemblea le lavoratrici, le disoccupate hanno detto che andremo a L'Aquila a incontrare queste donne per dare e ricevere forza.

E' stata portata nell'assemblea la rivolta delle immigrate e la battaglia in corso per Joy e contro la polizia che stupra; e si è preso l'impegno a sostenere le lotte in corso per la libertà dai campi di concentramento dei CIE e il permesso di soggiorno alle sorelle immigrate; ma anche a sostenere dalle altre realtà l'iniziativa delle compagne di Milano perchè l'ispettore di polizia che ha tentato di stuprare Joy venga processato e condannato.

Su tutto questo, nell'assemblea sono stati fatti messaggi alle lavoratrici, disoccupate, alle donne de L'Aquila, alle immigrate.

Ma soprattutto da vari interventi è stata denunciato con forza il salto di qualità in basso, pratico, politico, ideologico, culturale, che viene portato avanti sull'intera condizione delle donne: dalla sacra famiglia, all'espandersi del maschilismo, ai messaggi subliminali e marci del mondo mass mediatico, con in testa l'uso schifoso dei corpi femminili da Berlusconi ai Vescovi, ecc. - e che questa condizione è una cartina di tornasole del moderno medioevo a cui si vuole portare l'intera società.
Ma le donne, soprattutto le proletarie che ogni giorno lottano, non stanno a lamentarsi: come stava scritto in altri striscioni nella sala: "abbiamo deciso di alzare la testa!", "tutta la vita deve cambiare!".

Per questo la conclusione della prima giornata dell'assemblea è stata la visione di un bel e entusiasmante video che mostra, con immagini, musiche, il percorso già in atto della lotta generale femminista, proletaria, rivoluzionaria delle donne, nel nostro paese come a livello internazionale. Un percorso che unisce la ribellione della maggioranza delle donne, alla distinzione di classe perchè le donne in questa società non sono tutte uguali, alla battaglia rivoluzionaria per rompere le doppie catene, alla ripresa storica delle tappe più importanti della doppia lotta per le donne per una società socialista in cui le donne abbiano un ruolo di direzione perchè la rivoluzione vada a fondo non si fermi a metà strada, una rivoluzione nella rivoluzione che trasformi il cielo e la terra fino al comunismo.

Al video è seguito un allegro buffet, in cui ogni disoccupata ha portato qualcosa da mangiare e bere.

IL VIDEO SARA' AL PIU' PRESTO MESSO A DISPOSIZIONE DI TUTTE LE DONNE CHE CE LO CHIEDONO.

E' questa determinazione, questo entusiasmo, che le compagne, le lavoratrici, le disoccupate, precarie porteranno alla Conferenza Mondiale in Venezuela del 2011 - per cui già nell'assemblea si è cominciato a vedere il modo pratico di andare, e di fare una campagna anche per raccogliere fondi.

Nel secondo giorno questo percorso femminista proletario rivoluzionario ha visto un approfondimento, anche teorico, attraverso il lavoro su materiali, testi, per lo sviluppo con nuove elaborazioni in stretto rapporto con la pratica, del nuovo pensiero e nuova prassi del movimento delle donne, che le compagne del MFPR hanno avviato dal 1995, in rapporto anche con le elaborazioni più avanzate a livello internazionale.
E' stato prodotto un PRIMO DOCUMENTO (in itinere): "APPUNTI PER UN NUOVO PENSIERO E PRASSI FEMMINISTA PROLETARIA RIVOLUZIONARIA".
Siamo tornate poi sull'appuntamento del Venezuela, per approfondirne i temi, in termini propositivi ma anche critici - perchè per noi anche questo appuntamento va costruito unendo teoria e pratica, i documenti/incontri alla pratica continua di lotta delle donne, distinguendo ciò che è l'agire rivoluzionario del movimento delle donne, dal parlare di rivoluzione/socialismo ma praticare le vuote parole e la piena socialdemocrazia.

SU QUESTO PERCORSO IL SECONDO GIORNO SI E' CONCLUSO CON UN NUOVO, PIÙ LUNGO, APPUNTAMENTO PER QUEST'ESTATE.

Stiamo preparando un dossier con gli interventi e i materiali più significativi della due giorni, che metteremo a disposizione.
Per richiederlo: e mail mfpr@fastwebnet.it - 3475301704 (Margherita) 3408429376 (Donatella).
Chiaramente sia messaggi che dossier che foto li metteremo appena pronti sul blog: http.//femminismorivoluzionario.blogspot.com/

Compagne, in particolare da Roma, da Bologna, da Milano e alcune realtà di lavoratrici in lotta, pur non potendo venire hanno mandato saluti e messaggi, noi le ringraziamo molto e i loro saluti sono stati letti e accolti con calore dall'assemblea.

L'ASSEMBLEA DELLA DUE GIORNI
"BAGAGLI PER UN VIAGGIO DELLE DONNE IN LOTTA".


Taranto, 13/14 marzo 2010

Iniziative per Joy

Bologna: mercoledi 17 alle ore 17, presidio sotto le Due Torri
Milano: mercoledì 17 alle ore 18, volantinaggio in piazzale Cadorna davanti alla stazione nord

Per ascoltare l'intervista a Joy:
http://www.radiocane.info/images/mp3/joy2.mp3

Il silenzio e l'inedia sono complicità, agire non significa pulirsi la coscienza ma rompere l'isolamento...

LA POLIZIA STUPRA... LA QUESTURA DEPORTA!!

Luglio 2009: Joy, una ragazza nigeriana rinchiusa nel centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano, subisce un tentativo di stupro da parte dell'ispettore capo di polizia Vittorio Addesso.
La sua determinazione e quella della sua compagna di stanza, Hellen, riescono ad allontanare l'uomo.

Agosto: scoppia una rivolta nel CIE, a cui partecipano tutti i detenuti.
Vengono arrestati nove uomini e cinque donne. Tra queste anche Joy ed Hellen, dopo essere state umiliate e picchiate dal solerte aguzzino e stupratore Addesso.
Dopo sei mesi di carcere, e la deposizione della denuncia per tentato stupro da parte di Joy, tutte le ragazze vengono rinchiuse un'altra volta in un CIE, in attesa del rimpatrio coatto verso i paesi d'origine.

Il 15 marzo Joy è stata trasferita dal CIE di Modena a quello di Ponte Galeria a Roma, insieme a molte altre donne nigeriane. Ieri il console nigeriano è entrato nel CIE per identificare una decina di ragazze.
Sappiamo bene cosa significa questo: l'espulsione a brevissimo termine.
Domani tornerà per finire il loro lavoro mercenario, identificazione e espulsione in cambio di soldi.
Entro un paio di giorni le vogliono espellere tutte: una vera e propria deportazione di massa.

Già da giorni giravano voci riguardo alle pressioni da parte della questura di Milano perché Joy venisse espulsa. Pur di proteggere Vittorio Addesso, i suoi colleghi sono disposti ad agire nelle maniere più vili.

Come il 25 novembre scorso quando, manganelli alla mano, hanno più volte caricato un presidio di donne che volantinavano alla stazione Cadorna di Milano per denunciare che i CIE sono luoghi di tortura per tutti i reclusi, e che se i reclusi sono donne tortura vuole dire anche abusi sessuali da parte dei guardiani.

O come quando, nella notte fra l'11 e il 12 febbraio, la questura ha deciso di far “sparire” le cinque ragazze dalle carceri in cui erano rinchiuse per riportarle nei CIE, solo per non far loro incontrare i numerosi solidali che già dalla mattina attendevano la loro scarcerazione.

Oggi la questura spinge per l'espulsione di Joy e con lei si libera anche di quella fastidiosa denuncia che porterebbe alla luce tutte le nefandezze che ogni giorno avvengono, con l'avallo e la complicità di polizia e croce rossa, in questi moderni lager per immigrati chiamati CIE.

La storia di joy ci dimostra come gli apparati repressivi e di controllo dello stato esigano soprattutto che i ricatti sessuali che ogni donna e trans subisce dentro i CIE rimangano taciuti.
La forza che hanno dimostrato Hellen e Joy fa paura, perché è la forza che smaschera la verità di quello che accade dentro le mura di quei lager per migranti. Gli aguzzini che li controllano stanno facendo di tutto per impedire che questo precedente apra un varco o una breccia in quelle mura.

Che nessuno/a ci venga più a dire che in Italia ci sono leggi contro la violenza sessuale e lo stalking e che è necessario denunciare. Chiunque ancora lo pensa, da oggi in poi si ricordi bene questo: le forze dell'ordine hanno licenza di stuprare, anche grazie alle coperture di cui godono e grazie a un apparato istituzionale connivente.

I cie sono luoghi di tortura fisica e psicologica per tutti i reclusi: le persone vengono picchiate, costrette a prendere psicofarmaci, private della loro libertà solo perchè non provviste di un regolare pezzo di carta chiamato permesso di soggiorno; e dove le donne subiscono continue molestie sessuali fatte di battute sessiste, sguardi obliqui delle guardie uomini, fino ai veri e propri tentativi di stupro.

Nessuna pace per chi stupra e molesta le donne e con chi gestisce questi CIE, tanto più se lo fa forte della divisa che indossa e delle connivenze di cui gode!!!