16/12/09

DOPO IL 28 E 29 NON SI PUÒ FAR FINTA DI NIENTE


Il 28 è stata una manifestazione partita male e caratterizzata poi inevitabilmente dalla linea della tiepidissima denuncia e della "convivenza civile". A parte poche parti del corteo in cui vi era la denuncia della polizia che stupra nei CIE, con presenza anche di donne immigrate con Action A, la denuncia di Montalto di Castro e in particolare dello "stupro a spese dello Stato" portata in particolare dalle compagne bolognesi e dall'ass. Erinna, la denuncia dei recenti provvedimenti antiaborto e antimmigrate della Carfagna, la presenza di uno spezzone di "donne da sud" (non solo per la provenienza, ma perchè "da Sud" vuole dare il senso della profondità dell'oppressione della donna), la denuncia dell'utilizzatore finale Berlusconi della violenza sistemica legalizzata portata dalle compagne del MFPR, e poco altro, il resto - e ciò che ha dato il segno "ufficiale" della manifestazione - era deprimentemente riformista, democratico nel senso perbenista della parola, caratterizzato dalla parola d'ordine "Basta".
Una parola d'ordine generica che non indica un percorso di lotta, ma di fatto una richiesta (a chi?), che parla di violenza senza tempo né spazio, che non denuncia la violenza sessuale nella fase specifica in cui il sessismo è legato strettamente al fascismo istituzionale e non e al razzismo; non una parola contro Berlusconi e l'uso/abuso del potere politico contro le donne (a parte rarissime eccezioni). L'unico striscione contro il governo era quello che diceva chiaro: "noi odiamo gli uomini che odiano le donne - 1°della lista: Berlusconi". Anche la composizione del corteo è stata una specchio dell'impostazione imposta da alcune realtà e compagne, in particolare romane, alla manifestazione: mentre nel 2007 le parlamentari sia di destra che di "sinistra" erano tenute fuori e furono attaccate/cacciate, il 28, invece, giravano nel corteo e parlamentari del PD rilasciavano anche interviste (valorizzate pure nei blog/siti); mentre nel 2007 giustamente gli uomini erano fuori perchè il corteo doveva affermare l'autonomia autorganizzata della forza e unità delle donne, il 28 erano accolti nel corteo gli uomini organizzati nel "maschile/ plurale" e la loro presenza da parte di alcune è stata considerata addirittura "la novità importante della Giornata sulla violenza contro le donne" (L. Melandri).
La realtà è che nonostante la denominazione del sito "torniamo in piazza", la manifestazione ha mostrato quello che era evidente già da prima: una manifestazione organizzata "sulle donne" e non "con le donne" che da mesi GIA' scendono in piazza e fanno anche lotte dure: lavoratrici che stanno perdendo il lavoro, disoccupate, precarie della scuola, dei call, center, studentesse, ecc.; che parla della lotta contro la violenza sessuale ma si guarda bene di andare a Montalto di Castro per lottarvi concretamente. Queste donne sono state usate solo nei discorsi, nelle e mail, quando si è solo voluto contrapporre le "donne reali", i "problemi concreti che vivono ogni giorno", alla lotta contro il primo e ultimo utilizzatore/responsabile di questa condizione delle donne: Berlusconi, le sue ministre, e la inesistente "opposizione". Per non fare in realtà la lotta qui ed ora, che non si esaurisce in una manifestazione all'anno. Parlare "sulle donne" ma non dare voce, non essere espressione della maggioranza delle donne, delle loro lotte ha reso via via arida, inutile, piccolo borghese nel senso più negativo del termine, la lista "sommosse".
In questo senso, la bella iniziativa del 29 a Montalto non solo è stata una cosa necessaria e sacrosanta, ma è stata l'altra lotta, quella giusta rispetto all'impostazione del 28. Il 28 e il 29 non sono, quindi, "due iniziative", ma sono due linee, due modi di concepire la lotta contro la violenza sessuale, due pratiche diverse - tant'è che anche chi poteva non è venuta a Montalto (soprattutto le romane che non avevano neanche la giustificazione delle difficoltà pratiche) e altre addirittura l'hanno apertamente boicottata. Questo non lo dobbiamo nascondere ma farne terreno di chiarezza e di decisioni conseguenti.
La manifestazione a Montalto è stata costruita da pochissime, le compagne di Bologna che ci hanno messo un grande impegno anche pratico, le compagne del Mfpr che l'hanno sostenuta, la compagna Luigia che ha dato la spinta definitiva, le compagne dell'ass. Erinna che dopo prime difficoltà sono state determinate, forti, accoglienti, e poi a Montalto altre realtà da Milano a Pisa, anche qualcuna da Roma, ecc.; ma è stata costruita con un confronto franco e aperto che aveva l'unico scopo di fare la cosa giusta e necessaria per Marinella e per tutte le donne - tutt'altra cosa dei dibattiti tutti interni apparsi su "sommosse" che non interessano nessuna. L'iniziativa a Montalto è stata di rottura qui ed ora, sì anche di "guerra civile" (nel senso di necessaria lotta anche tra la popolazione e le stesse donne).
L'iniziativa a Montalto è stata di chiarezza/schieramento tra la gente: vi erano donne che dicevano "fate schifo", ma altre che applaudivano. Ma questo è inevitabile e necessario. Il "moderno fascismo" non è solo repressione e violenza, ma anche costruzione di ideologia reazionaria, razzista, costruzione di opinioni di massa, ecc. Contro tutto questo non bastano gli appelli, ma occorrono i fatti, una lotta aperta, coraggiosa, in prima persona, per schierare, per permettere anche alle poche di non sentirsi sole.
Chi non è venuta volutamente a Montalto (e non per ragioni pratiche) ha invece lasciato sole le Marinelle, le donne, le compagne che non ci stanno; in nome di un ipocrito rispetto delle opinioni, non si ostacola che il cancro dell'ideologia fascista, sessista, razzista possa via via invadere come una macchia nera senza trovare barriere.

Ora non si può, ripetiamo, far finta di niente e tornare ai dibattiti in lista, o fare una due/tre giorni per il "piacere" di parlarsi addosso. Lasciamo a chi si sveglia una volta all'anno, farlo. Noi vogliamo, invece, dare continuità al modo come si è costruita la manifestazione a Montalto, vogliamo unire la lotta contro la violenza sessuale di Stato alla lotta delle immigrate, delle lavoratrici, precarie, disoccupate, delle ragazze nelle scuole e nelle università, alla lotta delle donne contro i "terremoti" nei territori. Vogliamo costruire un momento di assemblea nazionale, in cui protagoniste siano le donne, le ragazze, compagne, collettivi che lavorano e lottano ogni giorno.

Per questo: rilanciamo la proposta di preparare un incontro/assemblea nazionale - il luogo proposto e che vorremmo confermare è L'Aquila, il periodo potrebbe essere febbraio. Prepariamola attraverso un uso più vasto della lista Tavolo 4, che sempre di più deve essere il quadro di tutte le lotte, i dibattiti reali che possano interessare la maggioranza delle donne che lottano sui posti di lavoro, nelle scuole, nei territori, per essere al servizio della costruzione di una rete tra le donne, di coordinamento effettivo, di sostegno reciproco delle lotte, di costruzione di iniziative comuni, e in questo modo avanzare nella battaglia femminista, di classe, di lotta a ogni moderno fascismo, razzismo ma anche ad ogni riformismo. La lista Tavolo 4 non è ancora così. Pochissime scrivono, non tutte le lotte sono rappresentate, vi è ancora un vizio di parlare a ruota libera, certo utile, ma oggi abbiamo bisogno di fare di questa lista sempre più uno strumento per il coordinamento e la lotta.

Chiediamo alle compagne di dirci cosa ne pensano, e di cominciare a lavorare insieme in maniera coordinata.

Un forte saluto a tutte

Le compagne del MFPR
6.12.09

Sulla manifestazione del 10 dicembre a Torino

COMUNICATO della rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro


Oltre un migliaio ha partecipato al presidio al Tribunale di Torino in occasione dell'apertura del processo Eternit. Molto forte la partecipazione di lavoratori, familiari interessati al processo,organizzata dal Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Associazione Esposti Amianto e altre associazioni amianto di Sesto San Giovanni, Trieste, Roma, Taranto, Broni, Latina, Importante anche una forte rappresentanza delle associazioni francesi.
La Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro che aveva lanciato l'appello per far diventare questa scadenza una manifestazione nazionale ha portato al presidio decine e decine di rappresentanti di lavoratori, associazioni familiari, comitati, provenienti da diverse città italiane. Da
Trento a Palermo, da Napoli a Marghera, da Roma a Milano, Bergamo, Bologna, Ravenna; molto consistente e rappresentativa la delegazione della Rete di Taranto con operai, familiari di operai Ilva e un contingente di Disoccupati Organizzati in lotta anche in questi giorni per il lavoro, la salute e
l'ambiente, e che ha portato anche l'adesione di "Alta Marea" che raccogliendo numerose associazioni ambientaliste a Taranto il 28 nov. ha portato in piazza oltre 20 mila persone; molto significativa infine la presenza dell'associazione 29 giugno vittime della strage del treno di
Viareggio.
Naturalmente folta la rappresentanza di operai e familiari Thyssenkrupp dell'associazione legami d'acciaio e dei rappresentanti del comitato milanese 'dalla parte dei lavoratori'- presenti un gruppo di operai della fiat mirafiori e rappresentato il Comitato 5 aprile di Roma. Presenti collettivi di studenti oltre che da torino anche da Venezia e Marghera
In tutta la mattinata si sono susseguiti gli interventi di tutte le associazioni presenti che hanno unito la denuncia alle proposte e hanno fornito un quadro delle emergenze e drammaticità delle questioni delle morti sul lavoro e da lavoro, le dimensioni vaste della questione amianto e l'impegno a sviluppare la lotta dentro e fuori i Tribunali.
Alla manifestazione della Rete hanno aderito organizzazioni sindacali di base e confederali, Slai cobas per il sindacato di classe, Sindacato Lavoratori in Lotta napoli, Usi, Fiom/Cgil, ecc.; forze politiche con rappresentanti, Rifondazione, Sinistra critica, Pdci, Sinistra popolare, ecc.; e delegazioni di Proletari comunisti, Carc, Coordinamento dei collettivi comunisti, Piattaforma comunista ed altri.
Sull'andamento del processo che ha visto la massiccia partecipazione dei familiari e delle associazioni che hanno chiesto la 'partecipazione di parte civile' rimandiamo al comunicato degli stessi, - le udienze riprenderanno ogni lunedì a partire dal 25 gennaio -quello che conta segnalare è che la Rete ha rappresentato, come era già stato per la Thyssen di Torino il 6 dicembre 2008, per l'Ilva Taranto il 18 aprile, l'unica forza nazionale capace di associare le energie e trasformare anche questa occasione in movimento di lotta, fuori dai Tribunali, nelle strade nelle fabbriche e
posti di lavoro. Certamente questa scadenza richiedeva una partecipazione di massa più consistente. Tanti che avrebbero potuto esserci, sia pure nelle difficoltà di un giorno feriale e in coincidenza con un periodo pieno di manifestazioni nazionali, non hanno fatto tutto lo sforzo necessario per esserci realmente.
Questo dimostra quanto lavoro sia ancora da fare da parte della Rete. La manifestazione ha portato in piazza a Torino non solo solidarietà e denuncia ma anche le numerose proposte provenienti dalla piattaforma della Rete, come da convegni che ci sono stati nelle passate settimane, Orvieto tra questi, e dal fronte delle associazioni amianto che avevano tenuto un mese prima un ricco convegno nazionale sempre a Torino.
Ora, però, anche da Torino viene l'appello a fare un salto di qualità e un nuovo sforzo unitario, perchè il movimento cresca, influenzi la battaglia per lo sciopero generale, per la lotta contro il governo Berlusconi che su questo fronte tutela sempre più gli interessi dei padroni, ostacola i
processi, risponde negativamente alle richieste che vengono dagli operai, dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni.
La manifestazione di Torino ha riportato anche l'attenzione sulla repressione, licenziamenti fatti dai padroni nei confronti di lavoratori e Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza, questioni che vanno ben oltre il caso esemplare Dante De Angelis: dai cantieri navali di Palermo, all'ATM
di Milano, alle fabbriche bergamasche, agli attivisti denunciati, processati e in alcuni casi già condannati, come a Ravenna, tutte battaglie che richiedono il rafforzamento della Rete e l'azione diretta.
Nella manifestazione grande peso è stato dato negli interventi all'emergenza nell'emergenza data dalle morti degli immigrati sui posti di lavoro che subiscono clandestinità, precarietà, lavoro nero, schiavitù nei cantieri, nei laboratori, nelle fabbriche. La giornata è stata dedicata all'ultima
vittima di questi crimini del capitale, crimini anche contro i diritti umani, la morte di una giovanissima operaia cinese di 13 anni, ma anche dell'operaio senegalese ucciso dal padrone e buttato in una campagna, semplicemente perchè pretendeva il suo salario.
Per questo la Rete ha deciso di lavorare ad una nuova manifestazione nazionale da realizzarsi in collaborazione con comitati e associazione degli immigrati - scesi in piazza in maniera così impetuosa e massiccia il 17 novembre scorso.
Tutti questi temi - l'unità, le nuove campagne, la manifestazione degli immigrati, insieme al potenziamento dell'ufficio legale, la partecipazione ai processi,- primo fra tutti quello della Umbria Olii in cui sono attivi l'associazione familiari Colletti e la rete umbra- la lotta contro la repressione a dei lavoratori e rls -la ricerca di proposte mirate e unificanti da proporre anche nella forma di leggi di iniziative popolari - sono al centro dell'assemblea nazionale che la rete promuove per il 16
gennaio 2010 a Roma.


Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
bastamorte@gmail.com

03/12/09

29 novembre a Montalto di castro con Marinella

 
Vai a www.women.it per vedere il video di Cristina Comperini sulla manifestazione di Montalto
SIAMO TUTTE CON MARINELLA

Nella settimana simbolo della lotta contro la violenza sulle donne una significativa, determinata e combattiva manifestazione di femministe e lesbiche si è tenuta a Montalto di Castro.

Provenienti da varie città d’Italia abbiamo denunciato con forza l’humus maschilista e reazionario di colpevolizzazione nei confronti delle donne che subiscono violenza, la legittimazione istituzionale dello stupro che arriva a sottrarre soldi pubblici per difendere gli stupratori, come è accaduto nella vicenda di Marinella, una giovane donna violentata 2 anni fa in quel luogo, da un branco di ragazzi minorenni, l’uso “privato” delle istituzioni e dei ruoli
istituzionali a difesa della propria “famiglia” e dei suoi rampolli – il sindaco del paese, Caria, zio di uno degli stupratori, mise a disposizione dei “bravi ragazzi” 40.000 euro per la loro difesa col risultato vergognoso che il giudice decise, nonostante l’ammissione delle violenze, di sospendere il processo e affidare i violentatori ai servizi sociali e l’alimentarsi di un clima di ostilità da parte del paese nei confronti della ragazza violentata e di sostegno agli stupratori.

Con tanti cartelli di denuncia, striscioni e slogans abbiamo attraversato le strade di un paese quasi deserto, in cui palpabile era l’avversione per questa manifestazione.
“Per ogni donna stuprata e offesa siamo tutte parte lesa”, “siamo tutte con Marinella”, “stupratori uscite fuori adesso, ve lo facciamo noi un bel processo”, “sono bravi ragazzi e di famiglia buona, chi stupra le donne non si perdona” “guai a chi ci tocca, ci difenderemo con la lotta”.
Questi ed altri slogans scanditi ripetutamente da tutte, la lettura di una lettera in solidarietà a Marinella, hanno costretto gli abitanti del paese a guardare da dietro le finestre e se da un lato qualcuno ha lanciato degli insulti, dall’altro alcune donne hanno applaudito.
 
Giunte davanti al Comune, disposte in cerchio con tutti gli striscioni e i pannelli, abbiamo chiesto a gran voce le dimissioni del sindaco ed è stata letta una lettera di protesta e denuncia all’A.N.C.I.

Il corteo è stato seguito per tutto il suo percorso dai giornalisti, a cui sono state rilasciate interviste.

29.11.2009
Movimento femminista proletario rivoluzionario

16/11/09

Perché andrò a Montalto

    Montalto è come il paese della mia adolescenza. Avevamo 13 anni e un padre che ci prendeva a cinghiate ed ombrellate se ci scopriva al bar ad ascoltare musica e un nonno che ci faceva sedere sulle sue gambe per masturbarsi e un padre che ci faceva una piazzata se salutavamo i nostri amici con un bacio sulle labbra perchè lui ne aveva l'esclusiva, lui sì che poteva infilarci anche la lingua.

    Avevamo 13 anni e delle madri che chiudevano entrambi gli occhi quando i nostri parenti ci usavano violenza e dei paesani che ci tendevano imboscate quando non eravamo a scuola o chiuse in casa per cercare di farci la festa e dei compagni di scuola che ci mettevano le mani addosso quando eravamo in classe, sotto lo sguardo e le risate e le beffe di tutti.

    Avevamo 13 anni quando con le amiche ci sedevamo sulle scale della chiesa con "Ciao2001" a cantare, a sognare, a reinventare il futuro, a parlare di amore, di morte e di rivoluzione quando arrivava la perpetua del prete e ci scacciava dal "sacramento" dandoci delle "brutte svergognate", ossia puttane.

    Avevamo 13 anni quando una madre, preoccupata per quello che si diceva in giro di noi (eravamo troppo libere) e per le conseguenze che potevano derivarne (stupri e molestie di branco come punizione della nostra "civile società") si rivolse ai carabinieri per dissuadere i potenziali stupratori.

    Avevamo 13 anni quando questi carabinieri, insieme ai "potenziali stupratori", di cui uno figlio di carabiniere e ora digossino, vennero in borghese a molestarci e a minacciarci perchè non eravamo gentili con loro.

    Quella fu la prima volta che mi sentii dare della "terrorista" da un carabiniere, amico e padre di "potenziali stupratori" perchè non ero gentile con loro e mi ribellavo all'autorità.

    Sono fuggita da quel paese ostile perchè non ho incontrato solidarietà e con essa la forza collettiva di cambiarlo.

    Delle mie amiche sono stata l'unica che ha cercato di liberarsi, poche altre sono riuscite ad emanciparsi molte hanno accettato le "regole", si sono sposate e chiuse in casa, si sono chiuse la bocca perchè non hanno incontrato solidarietà.

    PIUTTOSTO CHE FARE L'ENNESIMA PROCESSIONE CIVILE A ROMA ANDRO' A MONTALTO, ARMATA FINO AI DENTI DI TUTTA LA MIA RABBIA QUELLA CHE A 13 ANNI MI HA FATTO GUADAGNARE IL TITOLO DI TERRORISTA

    perchè è della solidarietà fisica che le giovani donne di Montalto hanno bisogno non della nostra "civile società".

Luigia

10.000 lavoratrici/ori in lotta per lo stipendio e il lavoro !

GRUPPO OMEGA: 17 novembre Sciopero
Manifestazione Nazionale a Roma
10.000 lavoratrici/ori in lotta per lo stipendio e il lavoro !

Lavoratrici/ori di Agile (ex Eutelia) e del gruppo Phonemedia da quando sono stati ceduti ad Omega smettono di essere pagati. Precariatà, stress e mobbing invece dello stipendio e di un piano industriale! E per 1.200 lavoratori di Agile è stata aperta la procedura di LICENZIAMENTO!!
Mobilitiamoci e lottiamo: Non lasciamo il nostro destino a chi finora ci ha spinto nelle mani di imprenditori di malaffare o ha lasciato che tutto ciò accadesse… I tentativi di rassicurazione sul pagamento degli stipendi e sul futuro dell’azienda palesati da alcuni responsabili aziendali sono risultati aria fritta: ad oggi non ci sono garanzie sul pagamento degli stipendi e sul futuro di Omega. In diverse sedi/call center Agile e Phonemedia (Answers) i lavoratori stanno scioperando ad oltranza, sono in assemblea permanente e stanno occupando.
Occorre estendere la protesta alle altre sedi/call center e proseguire con gli scioperi, le occupazioni e le manifestazioni e dall’esterno sostenere i lavoratori con solidarietà concreta: solo così ci sarà un vera prospettiva di ottenere la tutela dei diritti dei lavoratori Omega.

Ma chi c’è dietro Eutelia e Omega? i capi di Eutelia hanno problemucci con la guardia di finanza (frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita), sono amici di Licio Gelli e di altri emeriti massoni. Nella creazione del gruppo Omega ci sono di mezzo loschi personaggi più volte coinvolti in fallimenti di numerose società, politici, fondi esteri e banche (come il MPS)… un gruppo che nel giro di poco ha acquisito un sacco di aziende e poi non ha i soldi per pagare gli stipendi e apre le procedure di messa in mobilità per centinaia di lavoratori è certamente un contenitore creato per dissolvere tutto. A questo proposto ricordiamo l’incursione squadrista all’interno della sede romana di Agile occupata dai lavoratori, azione orchestrata dall’ex amministratore delegato di Eutelia Samuele Landi al comando di un manipolo di vigilantes: un atto che dimostra il livello cui stanno portando lo scontro i padroni.

Lavoratrici/ori non si devono far coinvolgere nel teatrino messo in campo da padroni, sindacati confederali, partiti e istituzioni con scambi di accuse tra blocchi politici di centrodestra e centrosinistra che poco hanno a che fare con l’interesse dei lavoratori; tutti soggetti che fino a ieri hanno acconsentito che su questa vicenda oscura ci fosse meno rumore possibile.
Denunciamo la poca azione di quei sindacati che si sono mossi in ritardo e spesso gettano acqua sul fuoco: In diverse sedi/call center abbiamo deciso di organizzarci direttamente, abbiamo deciso di lottare con sciopero a oltranza dal 01/09/2009; effettuando incontri con le istituzioni locali e nazionali (ministero dello sviluppo economico), presidiato le prefetture, fatto conferenze stampa e azioni legali come l’ingiunzione al pagamento.
Dobbiamo proseguire la lotta su questa strada e invitiamo i colleghi a contattarci per difendere collettivamente e direttamente i nostri diritti (per info Sabrina tel. 339-8100140).

Martedì 17 novembre tutti a Roma !
Partecipiamo alla Manifestazione – ore 9.30 p.zza della Repubblica

Per partecipare contattare i nostri rappresentanti in azienda, i numeri 339-8100140 o 331-6019879 oppure le sedi CUB.

Pistoia - Firenze, novembre 2009

FLMUniti-CUB gruppo Omega

Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti – Confederazione Unitaria di Base
Firenze, Via Guelfa 148r tel./fax 055/3200938 Pistoia, via Porta San Marco 134 tel/fax 057327672
Milano, Viale Lombardia,20 tel. 02-7063.1804 www.cub.it www.flmutim.it - email: cubtlc@libero.it

15/11/09

Dalle lavoratrici e dai lavoratori della Transcom dell'Aquila

VERGOGNA! UN ACCORDO FIRMATO SULLA TESTA DEI LAVORATORI

La politica aziendale di Transcom Worldwide S.p.A. applicata alla sede aquilana ha manifestato un livello di cinismo inaccettabile con il licenziamento collettivo dell'80% dei suoi dipendenti.
Non ci sono parole, soprattutto se si inserisce tale decisione in una tragedia collettiva come quella del terremoto che ha devastato la vita economica, culturale e sociale di un'intera città, dei suoi abitanti e del suo territorio.
Mentre da tutta Italia arrivavano attestati, spesso anche concreti, di solidarietà e mentre altre aziende dell'Aquila tutelavano, prima di tutto mantenendo attive le loro sedi, i propri dipendenti con ogni forma di solidarietà, Transcom pensava bene di togliere il lavoro, approfittando della tragica situazione di emergenza che riguardava i suoi dipendenti.
Non ci sono limiti alla voglia di profitto di tali managers, che hanno approfittato degli incentivi (lèggasi sgravi fiscali) per insediarsi in città e poi, venuti meno questi, minacciavano già da anni di andarsene!
Il terremoto ha dato loro la "giusta" opportunità di farlo.
Il 9 novembre è stato firmato da tutte le organizzazioni sindacali, dagli enti locali e dall'azienda un accordo che consente di fatto a TWW di liberarsi dei 4/5 dei suoi dipendenti, mantenendo aperta la sede dell'Aquila con soltanto 69 unità su 345 per poter utilizzare la commessa milionaria dell'INPS-INAIL (che non sarà comunque gestita nel sito aquilano) e per poter usufruire, in seguito, dei probabili benefici fiscali derivanti dalla "zona franca urbana", magari assumendo altre persone con i più svariati contratti a termine.
E, nonostante il comportamento indegno di TWW di tutti questi mesi, in data 1 novembre "un gruppo di lavoratori della Transcom" ha fatto pubblicare una lettera sul quotidiano "Il Centro", nella quale si esprime profonda gratitudine nei confronti di un'azienda che ha dato loro l'opportunità di continuare a lavorare a Roma (!!!). La lettera è piena di considerazioni sentimental-romantiche sul terremoto, sulle macerie, sulle vite sconvolte e spezzate, sulle case distrutte, tutte cose che pare riguardino solo e soltanto tale gruppo trasferitosi a Roma. E, mentre quest'ultimo era alle prese con una tragedia che, invece, gli altri dipendenti sembra non stessero vivendo, "l'azienda non si tira indietro e ci offre di continuare a lavorare in via temporanea presso una sede diversa da quella dell'Aquila".
Il gruppo, poi, continua la propria lettera in maniera ancor più vergognosa affermando: "Per questo noi lavoratori Transcom, da 7 mesi, stiamo facendo un duro sacrificio con l'augurio di poter tornare a svolgere le nostre attività professionali nella sede dell'Aquila. Transcom è un'azienda che, malgrado i suoi sbagli, le sue rigide regole lavorative e le promesse disattese, ci ha dato la possibilità, per nove anni, di poter percepire ogni mese uno stipendio che ha giovato non solo a livello personale e familiare, ma ha anche provveduto a far girare l'economia della nostra città."
Come se lo stipendio che l'azienda "benefattrice" ci ha elargito con grande generosità non ce lo fossimo guadagnato tutto, con competenza e professionalità indiscutibili e producendo un cospicuo fatturato per TWW in tutti questi anni! E come se percepire uno stipendio lavorando sia una cosa del tutto eccezionale e non ordinaria e dovuta come è nella logica delle cose.

Ricordiamo, a titolo di esempio, che tra le macerie è morta una nostra collega e che l'azienda si è guardata bene dal fare una dichiarazione ufficiale di cordoglio per tale perdita umana. Ciò basterebbe da solo a dimostrare la grande sensibilità di tale azienda...

Come dipendenti TWW ci dissociamo totalmente dalle dichiarazioni farneticanti del gruppo di cui sopra.
Così come rigettiamo in toto l'accordo firmato il 9 novembre e ci riserviamo di inviare nuove comunicazioni per informare adeguatamente l'opinione pubblica su questa desolante vicenda.

Un gruppo di lavoratori Transcom dell'Aquila

08/11/09


Morire di Stato


Salutare un figlio. Rivederlo morto.
E’ il dramma di Patrizia, madre di Federico Aldovrandi, ucciso da quattro poliziotti durante un fermo.
E’ il dramma di Ornella madre di Nike Aprile Gatti, morto nel carcere di Sollicciano (Firenze),
E’ il dramma di Maria, madre di Manuel Eliantonio,morto nel carcere di Marassi a 22 anni.
E’ il dramma della mamma di Stefano Cucchi, morto in carcere a Roma dopo un arresto per pochi grammi di droga.
Uno stato che sottrae un figlio e lo restituisce morto, negando ogni possibilità di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute e le condizioni del proprio figlio, anche di chi si trovi in carcere.

In ricordo di Renato, accoltellato per odio e intolleranza nel 2006, le Madri per Roma Città Aperta vogliono interrogarsi su questi eventi, su queste maternità negate che calpestano i diritti dell’individuo e rappresentano un gravissimo segnale di deriva della nostra democrazia.
Anche queste morti appartengono al tema della sicurezza. Sicurezza anche dei cittadini quando hanno a che fare con le istituzioni repressive e carcerarie.
Per questo come madri non vogliamo dimenticare Nabruka Mimuni, la donna che si è tolta la vita nella notte tra il 6 e il 7 maggio di quest’anno nel lager di Ponte Galeria, alle porte di Roma.
Abbiamo contestato ai vari sindaci la risposta xenofoba e repressiva delle istituzioni a fenomeni di grave disagio e precarietà, che ha alimentato episodi di razzismo e violenza, opponendo, praticando e sostenendo la cultura della diversità e del rispetto.
Vogliamo affrontare il tema della sicurezza portandolo anche dietro le mura di un carcere o di un CIE. Vogliamo riproporre il tema dei diritti dentro la città e soprattutto nei luoghi dove sembra che rappresentanti dello Stato possano esercitare un diritto di vita e di morte su cittadini italiani e stranieri.

Come le madri argentine di Plaza de Majo, le madri cinesi di Piazza Tien a men e le madri iraniane hanno chiesto giustizia e verità per i loro figli, le Madri per Roma Città Aperta vogliono sostenere e dar voce ad ogni madre che voglia rivendicare la dignità e i diritti dei suoi figli strappati alla vita.

Comitato Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta@libero.it


Sabato 14 novembre ad Acrobax (ex Cinodromo)
Ponte Marconi ore 17,30

Incontro con avvocati, operatori del carcere, associazioni
Cena per sostenere la famiglia di Manuel Eliantonio

07/11/09

vogliamo lavoro, ci danno polizia!

Ieri a Taranto, a fronte della mancata convocazione di un incontro serio su lavoro e raccolta differenziata con la Regione, che pure avevano promesso, i Disoccupati organizzati nello slai cobas per il sindacato di classe hanno presidiato il ponte girevole, perchè si decidessero, in prima fila, come sempre, le donne, combattive e determinate. Vi erano anche tanti bambini.
Improvvisamente la polizia ha fatto cariche durissime, schiacciando verso le inferriate del ponte i disoccupati e colpendo con i manganelli soprattutto le donne.

Ieri pomeriggio sembrava un bollettino di guerra: 5 feriti: 3 donne e 2 giovani disoccupati ricoverati in ospedale con fratture e traumi in tutto il corpo e soprattutto alla testa, una donna di 52 anni ha grossi ematomi in testa, un'altra ha avuto 4 dita fratturate, quello più grave è un giovane che non centrava nulla coi disoccupati, stava semplicemente passando dal ponte e si è trovato improvvisamente a terra: 10 punti e forte perdita di sangue.
I poliziotti, guidati da una inferocita comandante donna, si sono accaniti (addirittura anche con alcuni momenti di contrasto con la Digos), puntando a colpire in particolare le donne, "avevano il sangue agli occhi", "colpivano volutamente per fare male" - raccontavano le donne.

Il "bollettino" non è stato peggiore solo perchè invece proprio le donne - ragazze o anziane - si sono ben difese e hanno risposto alle cariche con le loro "armi", calci, pugni, ecc.
Se volevano intimidire, le loro cariche hanno alimentato la ribellione, chi semina vento raccoglie tempesta: nell'assemblea fatta in serata erano soprattutto le donne ferite che dicevano che la lotta deve continuare più forte di prima.

Ieri si è manifestato concretamente come oggi questo Stato, unisce fascismo e sessismo. Non si tratta solo di repressione - purtroppo spesso "normale" a fronte di lotte sacrosante - ma di un accanimento, di odio fascista con cui viene portata avanti, di aperto disprezzo di classe verso i disoccupati chiamati "bastardi", che si unisce ad un aperto sessismo quando a lottare sono le donne: "andatevene a casa".

NON CI FATE PAURA - NE' CI FERMERETE!
E OGGI SI RIPRENDE!

Chiamiamo tutte stringersi intorno a queste donne, a dare solidarietà, sostegno alle disoccupate in lotta!
inviate e mail: mfpr@fastwebnet.it

Lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe.

TA. 6.11.09

05/11/09

Diana

La compagna Diana Blefari è stata uccisa dallo Stato. Dobbiamo piangere ancora una volta.
La sua colpa è di essersi schierata dalla parte degli oppressi e questo per lo Stato è un crimine.
Ma per noi che siamo con chi lavora e con chi il lavoro lo ha perso, con le donne ricacciate nei ruoli e nella precarietà ,con i ragazzi delle periferie che muoiono per una scritta sui muri, con quelli che vengono uccisi per un pò di erba,con le donne e gli uomini che subiscono violenza nei CIE, con i migranti affogati,con chi rovista nelle immondizie e con chi è multato perchè chiede l'elemosina,con chi è senza casa , con chi la occupa, con gli ultras e con chi vuole riprendersi la notte, gli spazi,la vita e la dignità,per noi, tutte e tutti quelli che lottano contro questo mondo ingiusto sono nostre compagne e compagni.
Non c'è libertà per le donne se non c'è libertà per tutti.
Renderemo giustizia a Diana e a tutte le compagne e i compagni in carcere e uccisi costruendo un'altra società.

Elisabetta

01/10/09

Roma 3 ottobre: manifestazione nazionale precar@ della scuola e in difesa della libertà di informazione

Il Coordinamento Precari Scuola conferma la manifestazione del 3 ottobre.
Il percorso e' stato democraticamente deliberato dai Comitati locali e dalle associazioni che ne fanno parte che si sono espresse in data odierna.
Il percorso partirà alle ore 14.30 da Piazza della Repubblica (Roma) e passerà in Piazza del Popolo dove una delegazione di insegnanti precari sarà chiamata a parlare sul palco della manifestazione in difesa della libertà di stampa.

Il COORDINAMENTO PRECARI SCUOLA RIPRENDERA' IL CORTEO VERSO VIALE TRASTEVERE, DOVE CONCLUDERA' LA MANIFESTAZIONE IN DIFESA DELLA SCUOLA.

Cie, sangue e lividi a Gorizia: "E' stata la polizia". Il video dei pestaggi




di Gabriele Del Grande


Finalmente cattivi. Qualcuno deve aver preso sul serio le parole del ministro Maroni. E le ha applicate alla lettera. Almeno a giudicare dal numero di ematomi che si possono contare sui corpi degli immigrati detenuti nel centro di identificazione e espulsione (Cie) di Gradisca d’Isonzo. Siamo in provincia di Gorizia, a due passi dalla frontiera slovena. I fatti risalgono a lunedì scorso, 21 settembre. Ma le prove sono arrivate soltanto ieri. Si tratta di un video girato di nascosto all'interno del Cie e diffuso su Youtube. È un montaggio di riprese fatte con un videofonino. Inizia con un primo piano sul volto tumefatto di un detenuto tunisino.

«Guarda il polizia» ripete indicando l'ematoma sull'occhio. I pantaloni sono ancora imbrattati di sangue. E le gambe segnate dagli ematomi delle manganellate e in parte bendate. Il video prosegue mostrando le gabbie dove gli immigrati sono rinchiusi in attesa di essere espulsi, da ormai più di tre mesi. Ma il pezzo forte arriva alla fine. Si vede un uomo sdraiato a terra, esanime, tiene una mano sull’inguine, ha il volto sanguinante, il sangue ha macchiato anche il pavimento. Nel cortile una squadra di poliziotti e militari in tenuta antisommossa prepara un'altra carica. Dalle camerate si alzano cori di protesta. Ma quando i militari entrano, i detenuti non sanno come difendersi e scappano gridando «No, no!».

Ma cosa è successo davvero quel giorno? «Al Cie di Gradisca non c’è stato nessun pestaggio – dice il capo di Gabinetto della prefettura di Gorizia, Massimo Mauro -, anzi l'unico a essere stato ricoverato è stato un operatore di polizia che si è preso un calcio in una gamba». Ma allora qualche tafferuglio c'è stato, dunque. La versione della Prefettura parla di un tentativo di fuga di una trentina dei reclusi, la notte del 20 settembre, sventato dal personale di vigilanza senza particolari momenti di tensione. I problemi – continua Mauro – sarebbero arrivati intorno alle 13.00, quando un gruppo di trattenuti avrebbe rifiutato di rientrare nella camerata dopo il turno della mensa, «inscenando una protesta e lanciando bottiglie di plastica vuote contro il personale di polizia» che avrebbe quindi provveduto a farli rientrare con la forza. Le immagini diffuse su Youtube, Mauro non le ritiene attendibili. Chi dice che sono state a Gradisca? E chi dice che non sia materiale vecchio riciclato a uso e consumo di qualche associazione antirazzista?

Versione tutta diversa arriva da un detenuto di Gradisca, che abbiamo raggiunto telefonicamente. Per motivi di sicurezza non sveleremo la sua identità. Questa persona non soltanto ci ha confermato che il video era stato girato in quei giorni. Ma ci ha anche descritto nel dettaglio il tipo di ferite che si vedono nelle riprese. La sua versione dei fatti coincide con quella della Prefettura per quanto riguarda il fallito tentativo di evasione la notte e il rientro pacifico nelle camerate all’alba. Il resto però è tutta un’altra storia.

Alle 13.00 sarebbe iniziata una irrispettosa perquisizione. «Hanno rotto i carica batterie dei telefoni, a alcuni hanno tagliato i vestiti, e in una camerata hanno strappato un Corano». Un gesto quest’ultimo che avrebbe provocato l'ira dei detenuti, che hanno cominciato a inveire contro la polizia. «In una camerata hanno rotto le finestre e cominciato a lanciare cose». Finché polizia e militari hanno deciso la carica. Nelle camerate numero tre, due e sei. Alla fine della rivolta, secondo il nostro testimone, 12 persone sarebbero finite in ospedale. E in ospedale tornerà il detenuto tunisino con l'occhio tumefatto. Lunedì ha un appuntamento per un'operazione, all'ospedale di Udine.

Chi ha ragione? La Prefettura? I detenuti? È presto per dirlo. Anche perché i detenuti vittime delle violenze si sono detti pronti a sporgere una denuncia. E in quel caso sarebbe un giudice ad avere l’ultima parola.

07/09/09

"la precarietà ci stronca la vita, con questo governo facciamola finita!"

Le lavoratrici, femministe del TAVOLO 4 "lavoro/precarietà/reddito" sono fino in fondo al fianco di tutte le lavoratrici e i lavoratori della scuola che in questo momento stanno lottando e che manifestano oggi in tante città, da Milano a Palermo.

Dal resoconto su un'assemblea nazionale del Tavolo 4:

"... la precarietà investe la condizione generale delle donne sia materiale che fisica, che psicologica, investe la dimensione della vita, il futuro, incide non solo sulla condizione concreta di vita ma anche sulla visione della vita e per questo diventa anch'essa una "violenza" contro le donne..."

"la precarietà ci stronca la vita, con questo governo facciamola finita!"

Un abbraccio collettivo

Tavolo4

02/09/09

Appello delle insegnanti precarie sul tetto del provveditorato di Benevento

Benevento: ARRAMPICATEVI TUTTE

benevento.jpg

Siamo donne, gran parte di noi madri di famiglia, ogni anno in attesa di una stabilizzazione, di una garanzia per il futuro, sballottate per oltre 10 anni da una scuola all'altra a tappare i buchi di una scuola pubblica allo sfascio.
Il governo ha deciso per noi: della scuola e degli insegnanti se ne può anche fare a meno.

Per fare le veline e i tronisti, per mentire ed imbrogliare, per corrompere e arricchirsi, non serve conoscere Socrate o Manzoni.
Serve piuttosto infondere nella società il bene più prezioso sul quale il potere fonda la sua forza e il suo consenso: l'ignoranza.
La nostra colpa, la colpa di ventimila insegnanti che vogliono cacciare nell'angolo buio e disperato della disoccupazione, è il nostro lavoro, il nostro impegno quotidiano, l'alzarsi ogni mattina per compiere un' attività ormai forse ritenuto da lor signori superfluo o negativo: insegnare.

Siamo persone semplici, non abbiamo mai impugnato una bandiera o uno striscione fino a poche settimane fà, ma dalla storia dell'umanità abbiamo imparato che la ribellione è l'ultima arma a dispozione contro i soprusi e la prepotenza dei potenti.
Il ministro Gelmini vuole distruggere la scuola pubblica, ma noi non lo permetteremo.

Siamo saliti su questo tetto rovente di giorno e gelido di notte come atto estremo di protesta contro i tagli alla scuola, nella speranza che questo gesto sia anche e soprattutto un raggio di luce per aiutare i più a non chiudere gli occhi, a non lasciarsi intorpidire verso il sonno della ragione.
Hanno calpestato i nostri diritti, le nostre speranze, il nostro futuro, solo unendo le nostre forze, mobilitandoci in modo collettivo, possiamo riconquistarli.

La solidarietà è la nostra arma, la stessa arma che ha condotto gli operai della INNSE alla vittoria.
Stanotte resteremo ancora qui sopra e ci addormenteremo con un piccolo sogno nella testa: risvegliarci al mattino e scoprire che non siamo soli, che sui tetti di 10, 100, 1000 scuole e uffici scolastici, una moltitudine di colleghi, studenti, insegnanti, hanno acceso altre centinaia di candele della speranza e della ribellione.

Arrampicatevi sui tetti, se saremo in tanti, vinceremo con la forza della nostra determinazione.
Perchè in gioco non c'è solo il nostro posto di lavoro, ma il sapere e la conoscenza, la speranza e il futuro di un domani migliore.

Patrizia, Elvira, Daniela, Silvana, Mariolina, Pina, Lucia.
Dal Tetto dell'Ufficio Scolastico di Benevento, nel sud ribelle le sannite agguerite preparano le forche caudine.
30 agosto 2009, 38° gradi all'ombra.

fonte: indymedia.org

16/08/09

Una lettera al tavolo 4

Sulle uccisioni delle donne.

Al di là degli scoup giornalistici di estate, è indubbio che vi è un aumento delle uccisioni delle donne (una ogni 10 giorni; "30% in più di delitti rispetto al 2007 e 68% in più per quanto riguarda le vittime" - secondo fonti Eures), assassini nella maggior parte dei casi fatti da mariti, ex, fidanzati. Ma due sono le cose che vogliamo mettere in evidenza che mostrano il salto di qualità di questa guerra contro le donne, la sua caratteristica attuale, il fatto che essa è strutturale, non legata a episodi contingenti e singoli.
1. Guardiamo a una delle ultime efferate uccisioni. La strage di famiglia avvenuta il 7 agosto a Gornate Olona (Varese) in cui un uomo ha ucciso nella notte prima la moglie poi i due figli, e quindi si è suicidato. Il contesto in cui è avvenuto è emblematico: un piccolo borgo, una realtà chiusa non solo come luogo e abitazione ma come concezione del "padrone" della casa e della famiglia; al cancello della villa aveva messo un grande cartello con su scritto "attenti al cane al padrone e a tutta la famiglia" con tanto di disegno di fucile, pistola e coltello. Una concezione da padrone della vita della moglie e dei figli, che ha portato "naturalmente" a decidere che non dovevano vivere senza di lui.
2. L'Eures ha analizzato che la maggiorparte degli assassini di donne da parte degli uomini, dei mariti avviene al Nord (soprattutto Lombardia): ben 59,3% rispetto al 21,9% del centro e al 18,8% del Sud. Si tratta di dati importanti, in un certo senso inaspettati rispetto al rapporto Nord/centro/sud e, quindi, illuminanti. La denuncia più diffusa che vede nel "patriarcalismo" la causa principale degli omicidi di donne, avrebbe dato questo risultato quantomeno rovesciato: concezione e costumi patriarcali sicuramente sono più presenti nel sud che nel nord. E invece è nel nord che c'è il dato più allarmante.
Allora, il "patriarcalismo classico" non è e non può essere una spiegazione sufficiente e principale. Tornando all'omicidio in provincia di Varese. Certo c'è anche la classica gelosia verso una moglie delusa che se ne vuole andare, insieme alla frustrazione da scalata sociale non realizzata scaricata in famiglia. Ma soprattutto c'è una concezione fascista, moderno integralista, una concezione che fa scrivere il cartello per avvisare che è tutto suo e ognuno che rompe questa "proprietà privata" (dalla casa alla famiglia) è da tenere fuori o da uccidere se propria moglie; la concezione reazionaria-chiusa per cui in famiglia tutto si può fare e chiunque osa intromettersi, sia il ladro, sia l'immigrato, sia chi rompe "l'unità della famiglia", è l'estraneo. Una concezione pienamente frutto e in sintonia con l'ideologia leghista, moderno clericofascista, razzista oggi sempre più presente e agente, soprattutto in realtà del Nord, portata avanti organicamente dagli esponenti principali del governo, della Chiesa, dai loro mass media, ma diffusa in settori delle masse, in particolare della piccola borghesia o strato superiore dei lavoratori, ma non solo. Vogliamo dire che è in atto insieme ad un aumento dell'oppressione verso le donne che investe ugualmente dal nord al sud, un incancrenimento, imbarbarimento ideologico che si unisce, in alcune fasce sociali e in alcune realtà del paese, ad uno stile di vita corrispondente - chiuso e pieno di valori reazionari, conservatori che danno alimento al maschilismo, patriarcalismo, comunque presente.
Di questa ideologia e modo di vita le prime a subirne gli effetti mortali sono le donne. Ma questo spesso è difficile che venga capito dalle stesse donne, che a volte in queste realtà hanno uguali valori, uguali concezioni dei loro oppressori, quei valori di cui poi sono le principali vittime (la donna uccisa in provincia di Varese accusava il marito di aver deluso il proprio padre padrone che si era fatto da solo e aveva dato loro lavoro, casa ma considerandole sempre come cose sue). Occorre quindi sviluppare una lotta/campagna non solo pratica, ma anche ideologica, con le donne, verso le donne prima di tutto; altrimenti assisteremo a un continuo inevitabile incremento delle uccisioni delle donne. Non c'è Telefono Rosa, centri antiviolenza che tengano. Se questi valori generali da moderno medioevo vanno avanti, non trovano dighe adeguate e altrettanto forti anche nella risposta di lotta, non faremo che scrivere decine e decine di comunicati indignati ma purtroppo impotenti.

Margherita del MFPR

16.8.09

15/08/09

Cie di Milano e Torino: le immigrate e gli immigrati si ribellano

Un gruppo di donne nigeriane, recluse nel settore femminile del Cie di Milano ha dato vita ieri sera ad una forte e accesa protesta alla quale si sono uniti anche gruppi di migranti del settore maschile contro il provvedimento di notifica a 15 di loro del prolungamento del trattenimento nel Cie sulla base della nuove norme liberticide e razziste contenute nel cosiddetto pacchetto sicurezza varato dal governo moderno fascista Berlusconi ed entrato in vigore l’8 agosto scorso.
La polizia ha arrestato 14 stranieri quattro donne nigeriane, una cittadina del Gambia, quattro marocchini, tre algerini, un ivoriano e un tunisino
Proteste solidali ci sono state anche nel Cie di Torino, dove già da un paio di giorni diversi migranti hanno dato vita a uno sciopero della fame, il pacchetto sicurezza anche alla luce delle notizie giunte sulla rivolta al Cie di Milano.

Forte solidarietà alle lotte delle immigrate e degli immigrati costretti a subire come dei veri propri criminali l’umiliazione della prigionia, del sopruso e dell’intimidazione, a Milano, a Torino così come in tutti i Cie/lager

Contro il pacchetto sicurezza
Libertà per tutte le immigrate e tutti gli immigrati

mfprpa

12/08/09

Debora Damiani è stata licenziata ingiustamente

DEBORA DAMIANI, dopo ben 14 anni di servizio per una società - Vodafone - che non si è fatta scrupoli a vendere la sua professionalità ma soprattutto la sua vita ad un'azienda - Comdata Care - creata appositamente per distruggere gradualmente tutte le certezze dei dipendenti che apparentemente ha acquistato insieme ad un presunto ramo d'azienda (che ancora oggi dimostra di non avere nessuna autonomia) E’ STATA LICENZIATA INGIUSTAMENTE.

PERCHÉ Debora è stata licenziata?

La sua password, A SUA INSAPUTA, è stata utilizzata per attivare delle promozioni.

Debora è stata quindi licenziata per non aver denunciato prima le inefficienze di Comdata Care in materia di sicurezza dei sistemi utilizzati per svolgere il proprio lavoro e per non averla obbligata a predisporre dei sistemi informatici più sicuri!

Quale colpa ha Debora se per avviare una qualsiasi macchina presente in azienda è stata predisposta una password uguale per tutti?

Quale colpa ha Debora se per avviare qualsiasi applicativo necessario a svolgere il suo lavoro deve collegarsi ad un server di Vodafone che è l'unica ad identificarla come utente abilitato a compiere tali operazioni?

Quale colpa ha Debora se solo oggi scopriamo che Roma è l'unica sede Comdata Care che usa Citrix, una specifica interfaccia per lavorare sui sistemi Vodafone?

Esiste un sistema di identificazione alle macchine di Comdata Care?

MA SOPRATTUTTO:

esiste un'analisi fatta da Comdata Care per dimostrare l'estraneità di Debora ai fatti segnalati da Vodafone?

Possibile sia sufficiente un resoconto di Vodafone per sbattere fuori una persona che solo pochi anni fa era stata premiata economicamente dalla stessa Vodafone per la sua diligenza?

Siamo o non siamo dipendenti Comdata Care?

E' sufficiente bloccare il computer quando ci allontaniamo dalla nostra postazione?

O è necessario chiudere tutte le applicazioni per salvaguardare la nostra password?

A Debora e a nessuno di noi è stato detto nulla in proposito!

PERCHE’?

O forse la verità è un'altra e le colpe di Debora sono di essersi resa disponibile a testimoniare per un altro collega che era stato ingiustamente licenziato, di aver scelto di partecipare attivamente alla nascita di un sindacato che per questa azienda non rientra negli schemi convenzionali, di essersi candidata nella lista Cobas per le elezioni della nuova Rsu?

Noi nutriamo molti dubbi sulla correttezza di Comdata Care, Comdata e soprattutto Vodafone, artefice principale del nostro destino, ma su Debora NO!

COSA STA SUCCEDENDO? COSA È SUCCESSO ESATTAMENTE 2 ANNI FA?

Molti di voi lo ricorderanno sicuramente - ma è bene ricordare all'opinione pubblica - quello che fin da subito 914 persone hanno temuto stesse per accadere e che oggi si sta concretizzando: CESSIONE DI RAMO PER MASCHERARE LICENZIAMENTI DI PERSONALE!

Non si è trattato di una cessione di ramo d'azienda: Vodafone non era in crisi, il ramo d'azienda non era preesistente, il personale addetto non aveva uno specifico know how e i sindacati confederali che hanno assistito allo scempio si sono arrogati il diritto di firmare un accordo di cessione fasullo e senza alcun mandato dei lavoratori.

ECCO COSA E’ CAMBIATO:

dopo quell'accordo Comdata Spa è stata sindacalizzata e prima ancora di intervenire sulle garanzie dei lavoratori è stato firmato un accordo per garantire un monte di 4000 ORE DI PERMESSI SINDACALI per le segreterie nazionali di CGIL, CISL e UIL!

Dopo solo 18 mesi dall'operazione FIORENZO CODOGNOTTO, amministratore delegato della holding che controlla Comdata Care, guadagna una POLTRONCINA all'ASSTEL. Cosa sicuramente irrilevante se non fosse che nei 20 anni di attività che aveva alle spalle non era riuscito forse neanche ad entrare
all'ASSTEL…

VODAFONE... cara Vodafone... e tu cosa hai guadagnato in tutto questo?

Continui a vendere la tua immagine di società perfetta, a collezionare “bollini rosa” per il buon trattamento riservato alle tue donne, a fare profitti con il lavoro di quelle persone che hai affidato ad un altro padrone perché se ne liberasse senza coinvolgerti e senza che le tue manine si macchiassero.

PIETRO GUINDANI, all'epoca dei fatti amministratore delegato di Vodafone, dove sta?

Ha rassicurato i suoi dipendenti sull'affidabilità di questo partner commerciale e come carne da macello ci ha ceduto ad una società che, non riuscendo a sollevarsi, ci tratta come zavorre.

Siamo certi che in sede di giudizio questa storia si risolverà a favore della collega ma non siamo disposti a far finta che non sia successo niente e ci batteremo fino in fondo per ottenere il suo reintegro.

AIUTACI ANCHE TU A DENUNCIARE QUANTO E’ SUCCESSO A DEBORA E QUELLO CHE ALTRI
HANNO DECISO PER IL NOSTRO FUTURO!

Giovane marocchina si suicida perché clandestina

Giovane marocchina si suicida perché condannata alla "clandestinità"

Bergamo, 7 agosto 2009. Nel Bergamasco la condizione degli immigrati "irregolari" è assolutamente disperata. Attivisti del Gruppo EveryOne hanno avuto modo di incontrare, nei giorni scorsi, numerosi "clandestini" provenienti soprattutto dall'Africa, constatando una vera e propria tragedia umanitaria. Donne incinte che non si recano in ospedale e malati gravi che non accedono più alle cure sanitarie, per timore di essere denunciati e deportati. Genitori che nascondono i bambini, per timore di perderli, in quanto impossibilitati a registrarli e ad offrire loro condizioni di vita sufficienti a evitare che le autorità li sottraggano loro. Sospetti casi di Tbc e altre malattie contagiose, fra cui l'influenza A/H1N1: malattie che si diffondono fuori controllo, perché i migranti non si recano presso le strutture sanitarie. Sui bimbi, inoltre, non possono essere eseguite la vaccinazioni obbligatorie dell'età evolutiva: antidifterite, antitetanica, antipolio e antiepatite B né quelle raccomandate dalle Istituzioni sanitarie: antimorbillo, antirosolia, antiparotite e antipertosse. In questo clima di persecuzione, che vede tanti nuclei familiari vivere nascosti come la famiglia di Anna Frank durante l'Olocausto, si registrano già diverse vittime. Bambini nati in condizioni igieniche terribili. Malati gravi che si spengono fra atroci sofferenze, privati di ogni terapia. Persone fragili che scelgono di togliersi la vita, le cui morti sono spesso imputate a "incidenti" dagli inquirenti che non vogliono sentir parlare di persecuzione etnica.
La giovane marocchina F.A., 27 anni, si è uccisa ieri gettandosi nelle acque del fiume Brembo, a Ponte San Pietro (Bergamo). Si è suicidata perché era clandestina, non riusciva a regolarizzarsi ed era consapevole che con la legge n. 94/2009 sulla sicurezza, la sua presenza in italia sarebbe diventata un reato, che l'avrebbe condannata a vivere senza diritti, in attesa della deportazione. Il corpo della giovane è stato notato da alcuni passanti ieri sera, sotto il ponte del centro storico. Il fratello della ragazza, Mohammed, che ha un regolare permesso di soggiorno e vive a Ponte San Pietro, ha raccontato il dramma della sorella, dramma che l'ha condotta a una depressione senza uscita. "Era terrorizzata dalla scadenza di domani, giorno in cui la clandestinità diventa reato," ha detto fra le lacrime, incapace di accettare l'ennesima tragedia causata dal razzismo istituzionale.

Pensioni donne - non stiamo zitte!

Non dobbiamo considerare ormai persa la partita (tra l'altro come lotte ancora non iniziata) - dopo la pubblicazione del decreto dobbiamo utilizzare i 90 giorni in cui il parlamento può convertirlo in legge o farlo decadere; e comunque la nostra vita, le nostre lotte non possono essere limitate dai tempi legislativi. Nello stesso tempo, non dobbiamo aspettare o delegare la mobilitazione ai sindacati di base ( che nell'assemblea nazionale dello scorso novembre sono arrivati a cassare dalla piattaforma finale la proposta di mobilitazione fatta dalle delegate e lavoratrici del Patto di base) o alla cgil (che al di là dei distinguo non ha finora dato prova di coerenza fino alla lotta, fino ad un effettiva rottura con "la politica (antilavoratori) di unità sindacale". Non possiamo delegare anche perchè per noi donne questa lotta non è solo sindacale, vogliamo anche ora unire la lotta come lavoratrici alla lotta come donne.

LANCIAMO NELLA SECONDA META' DI SETTEMBRE - PER VENERDI' 18 SETTEMBRE - UNA GIORNATA DI LOTTA, CON SCIOPERI (anche di poche ore), PRESIDI, MOBILITAZIONI. PORTIAMO SOTTO/DENTRO LE PREFETTURE GLI STRUMENTI CHE ALLUNGANO LE NOSTRE GIORNATE, ANNI DI LAVORO: PENTOLE, SCOPE, ECC.

MFPR - Taranto

NO ALL'AUMENTO DELL'ETA' PENSIONABILE DELLE DONNE! POSSIAMO ANCORA E DOBBIAMO IMPEDIRLO!

Con il decreto anticrisi il governo ha varato la controriforma per l'aumento dell'età pensionabile delle donne. Il pretesto è quello di dare corso ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea riguardante la parità di trattamento economico tra lavoratori di sesso diverso, dal 2010 l'età per andare in pensione dele lavoratrici del Pubblico Impiego sarà elevata di 1 anno ogni 2 fino a portarla a 65 anni; ma, guarda caso, né questo né i Governi precedenti, hanno, invece, dato applicazione ad un’altra sentenza della Corte riguardante i riconoscimento dell’anzianità di servizio per le lavoratrici precarie, e si nasconde che la legislazione attuale non vieta affatto ad una donna di scegliere di andare in pensione a 65 anni. Questo provvedimento colpisce tutte le donne e tutti i lavoratori; dopo il Pubblico Impiego, come già annunciato dal governo, toccherà a tutti i settori privati. Dietro le ipocrite dichiarazioni sulla “parità”, c'è solo la realtà vera di un taglio rilevante alla spesa pensionistica sulle spalle delle donne, non solo in termini di allungamento degli anni per il pagamento delle pensioni, ma soprattutto, temiamo noi, di risparmio secco perchè se andasse avanti questa proposta la maggiorparte delle donne non arriverebbe mai alla pensione. Il governo, poi, non dice che oggi sempre più la maggioranza delle donne o per lavori precari o perchè vengono per prime licenziate non arriva neanche ai 60 anni, figurasi ai 65. La condizione femminile in Italia è la peggiore d’Europa per disoccupazione, salario, iter di carriera, anni di lavoro, pensioni, per non parlare delle donne immigrate che spesso dimentichiamo. Si sciacquano la bocca di “parità”, di eliminare le “discriminazioni”, ma si guardano bene di eliminare la fonte di tutte le discriminazioni, il lavoro domestico, il peso tutto sulle donne della famiglia, del lavoro riproduttivo, dei servizi sociali. Si nasconde miseramente che le donne da sempre lavorano di più, arrivando a fare come minimo 60/65 ore settimanali tra attività sui posti di lavoro e lavoro in casa non pagato. Il lavoro di cura e il lavoro domestico, il lavoro riproduttivo si somma a quello produttivo, e fa sì che il governo risparmia sui servizi sociali, sulla scuola e sanità, ect. La realtà è che in questa crisi provocata dai padroni le donne già stanno pagando per prime il prezzo più alto. Denunciamo anche che i sindacati confederali, a parte la cgil che però non ha indetto finora nessuna concreta mobilitazione, hanno appoggiato questo aumento dell'età pensionabile; i loro partiti di riferimento, di centrosinistra ne condividono appieno le ragioni.

NOI DIRETTAMENTE COME DONNE LAVORATRICI, PRECARIE, DOBBIAMO OPPORCI A QUESTO ATTACCO! IN TUTTE LE FORME, ANCHE CON CREATIVITÀ, DOBBIAMO IMPEDIRE CHE QUESTO DECRETO DIVENTI DEFINITIVO. LO DOBBIAMO FARE SUBITO, LO DOBBIAMO FARE SOPRATTUTTO QUEST'AUTUNNO NEL PERIODO IN CUI IL DECRETO DEVE PASSARE PER IL PARLAMENTO PER LA SUA TRASFORMAZIONE IN LEGGE.

LAVORATRICI ISPETTORATO DEL LAVORO - TARANTO SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE cobasta@fastwebnet.it Taranto – 1.8.09

12/07/09

L'Aquila 10 luglio, report dalla manifestazione

Sabato 11 luglio, mentre leggiamo i giornali, si avvicina Nella, una signora che vive in una tenda davanti casa sua. E’ in compagnia di una ragazza che ci guarda con occhi luminosi. Non è difficile leggere nel suo sguardo la tenerezza della gratitudine di chi si è sentito avvolto dal caloroso abbraccio solidale di tante persone venute a manifestare a L’Aquila contro il G8. Nella ci riconosce dalle immagini viste in televisione. Vuole esprimerci la sua commozione nel vedere “tanti giovani, venuti addirittura dalla Sicilia, per manifestare al fianco degli sfollati aquilani” e si scusa, anche per conto di altri aquilani che non hanno partecipato alla manifestazione nazionale del 10 luglio, per l’ostilità mostrata dai rappresentanti dei comitati cittadini che non hanno aderito.
Ci spiega: “avevamo paura, c’erano tutte quelle scritte che dicevano che dovevamo starvi lontani”. “Dov’erano quelle scritte, sui giornali?” le chiediamo. “Anche - ci risponde lei – ma la polizia soprattutto le ha fatte girare”.
L’Aquila 10 luglio, circa 10.00 persone hanno partecipato alla manifestazione contro “il G8 dei potenti sopra 300 vittime innocenti”. Dietro lo striscione di apertura “Voi G8 siete il terremoto, noi tutt@ aquilan@”, c’era una delegazione di vigili del fuoco, accolta al grido di “rispettiamo solo i pompieri” e c’erano gli aquilani contro il G8, dalla rete di soccorso popolare ai sindacati di base. “fuori gli sfruttatori”, “crisi, terremoto, repressione non ci fermeranno”, “Una sola grande opera: ricostruire L’Aquila dal basso”, “assassinati alla casa dello studente. Diritto allo studio inesistente”, “meno f35 più case” recitavano i loro striscioni. Molte donne e giovani combattivi hanno animato il lungo corteo dalla stazione di Paganica alla villa comunale al grido di “L’Aquila libera”, “siamo tutti aquilani” e poi ancora: “liberi tutti”, “ci espropriano, ci sfrattano, ci danno polizia, è questa la loro democrazia”, “al g8 soldi tanti, agli aquilani calci ai denti, ma non siamo mendicanti!”. Molti slogans per ricordare l’assassinio di Carlo Giuliani, contro i licenziamenti della crisi prodotta dai potenti e soprattutto una promessa: “una rivolta vi seppellirà”.
Davanti ai cantieri di Bazzano del progetto C.A.S.E., abbiamo urlato “case sì, ghetti no”. Gli operai di quei cantieri lavorano giorno e notte e non vedono le proprie famiglie da mesi. Già si contano numerosi incidenti su quei cantieri, dove gli operai, soprattutto immigrati, lavorano anche fino a 12 ore al giorno, senza alcun controllo: la protezione civile è il dittatore dell’emergenza e qualcuno, andato a fare reclami all’ispettorato del lavoro, si è sentito rispondere: “lasciate perdere, dovete ringraziare le ditte legate alla moglie di Bertolaso se ora qui vi lasciano lavorare”. Si dice che al DICOMAC l’80% dei lavoratori impiegati durante il G8 dentro la scuola della guardia di finanza, lavorasse a nero. Davanti a quei cantieri abbiamo urlato “fuori, fuori gli sfruttatori” e gli operai si sono fermati e ci hanno salutato da lontano, anche a pugno chiuso. Nessuno di loro poteva raggiungerci da quei cantieri – prigioni a cielo aperto dietro le reti e i cordoni della polizia, ma hanno potuto bloccare i lavori per un po’ mentre il lungo corteo scorreva sotto i loro occhi.
A S’Elia, davanti a una tendopoli, abbiamo invitato gli sfollati a unirsi al corteo, al grido di “L’aquilano non si arrende, tutti fuori dalle tende”. Gli sfollati autonomi da dietro le reti hanno applaudito e dato ristoro come potevano ai partecipanti al corteo.
Nonostante il boicottaggio capillare a questa manifestazione, gli sfollati hanno capito da che parte stanno questi famigerati no-global e ora sanno che non sono soli, che la lotta contro i padroni della terra è una lotta di tutti e che “siamo tutti aquilani”.
I veri guastatori, i veri assassini sono coloro che hanno imprigionato un’intera città; i veri guastatori, i veri assassini sono coloro che hanno ignorato il rischio sismico; i veri guastatori, i veri assassini sono gli sciacalli al governo, sono le tutte le istituzioni e i partiti che hanno rilasciato autorizzazioni a costruire senza alcun vincolo di sicurezza, sono gli 8 potenti della terra, che su questa terra, lacerata dalla crisi e dal terremoto, spadroneggiano arroganti.

IL G8 E’ FINITO
LA LOTTA DEGLI SFOLLATI E’ APPENA COMINCIATA

Grazie a tutti i compagni che hanno lottato insieme a noi
A tutti loro e a quelli che non sono riusciti a raggiungerci, ostacolati o repressi da questo Stato di polizia, va tutta la nostra solidarietà

rete di soccorso popolare

07/07/09

Carla ha detto: "al meglio non c'è mai fine"


IN TRAPPOLA


Batterie di missili, caccia F16, cecchini sui tetti, elicotteri assordanti e molesti, oltre al Predator, che “discretamente” a quota oltre 3000 metri spia ogni nostro movimento anche quando ci “infrattiamo” per cagare. Noi non lo vediamo, ma sappiamo che è lì che ci scruta, come uno scienziato nazista osserva le sue cavie da laboratorio. Militari, polizia, digos da tutta Italia a sorvegliare ogni 10 metri la statale 80 dir, quella che dovrebbe essere interdetta al traffico veicolare e pedonale all’arrivo e alla partenza delle delegazioni. Facevano paura anche 2 giorni fa, quei mitra e quelle batterie di missili e quei cecchini piazzati sui tetti, che noi non vediamo, ma sappiamo che sono lì. Facevano paura anche 2 giorni fa, quando è scattata l’ordinanza di interdizione per il G8 anche per le greggi di animali, anche per i cani randagi sopravvissuti al terremoto, che animalisti e vigili del fuoco andavano ad alimentare nel centro storico. Tutti in gabbia adesso! Gli 8 grandi devono guardare le rovine del centro storico, ma non possono essere infastiditi da cani e da “cristiani”. I cani li rinchiudono nel lager di Bazzano (da dove non usciranno più, perché essendo cani convenzionati frutteranno almeno 3 euro l’uno al giorno all’associazione che gestisce quel canile a L’Aquila) e i “cristiani” che non sono riusciti a fuggire dal G8 restano rinchiusi nelle tendopoli. Agli sfollati di piazza d’armi hanno imposto addirittura di non uscire dalle tende e hanno circondato con altre reti la tendopoli. “Neanche un giro dentro il campo potrete fare” gli hanno detto. Un ragazzo, un proletario residente in piazza d’armi uscì a comprare le sigarette qualche giorno fa ed è stato aggredito e quasi linciato da 2 agenti americane in borghese ed altri, forse dei servizi USA o dell’FBI, che lo avevano individuato come “sovversivo” per via dei suoi tatuaggi. Gli hanno detto che, come tutti, doveva rifornirsi di viveri, medicinali e sigarette prima del G8, perché poi non sarebbe più potuto uscire dal campo e avrebbero chiuso anche tutti gli esercizi commerciali, compresi i tabaccai.
E così è stato. Può essere fiero ora il sindaco Cialente di essere “stato costretto” a chiudere, per ordine delle forze dell’ordine, almeno 78 attività produttive per il G8. Non che il suo parere sarebbe valso a qualcosa, ma almeno avrebbe salvaguardato la sua dignità e quella di un’intera città.
Lamenti, paura e rabbia, questo è quel che sta seminando questo G8 per l’evidente ingiustizia. Gli sfollati sempre più rinchiusi nelle tende; i pastori e le loro greggi non possono mangiare e circolare durante il G8; i lavoratori pendolari residenti nella zona rossa, che in seguito al censimento della digos hanno ottenuto un pass, devono subire controlli col cuore in gola ogni volta ai posti di blocco, per paura che parta “per sbaglio” un colpo dai mitra o un missile; gli abitanti della zona nord-occidentale della provincia di L’Aquila, quella fuori dal cratere, non hanno neanche avuto la possibilità di chiedere un pass, perché “non censiti dalla digos”. Questi ultimi non hanno via di scampo. In caso di malore o di forti scosse, non possono neanche fuggire: la S.S 80 è off limits. Al distretto sanitario di Montereale, a 36 Km a nord-ovest di L’Aquila, tra i monti della Laga e quelli del Gran sasso, c’è un cartello con su scritto: “non si effettuano esami del sangue ed altri accertamenti, causa G8”. L’ospedale da campo del G8 è DEL G8, per recarsi lì, in caso di necessità, bisognerà essere scortati dai carabinieri e superare una serie di filtri e controlli incompatibili con una situazione di pronto soccorso.
“C’è stato uno spostamento della crisi sismica verso nord dell’area epicentrale del movimento tellurico del 6 aprile…Nessuno può escludere che lungo questo asse si possano verificare altre scosse di notevole entità…la Protezione civile sa quello che deve fare”, dichiara Emanuele Tondi, docente di rischio terremoti presso l’Università di Camerino. Secondo i calcoli ufficiali dell’INGV, interpellata dalla protezione civile per l’organizzazione del G8, la probabilità che queste forti scosse si verifichino durante il G8 è del 26%.
Ora la caserma “Vincenzo Lo Giudice”, la cui antisismicità è stata opportunamente verificata in vista del G8, si trova ben 10-15-20 Km a sud del nuovo epicentro che potrebbe essere teatro di altre scosse al di sopra di 5-6 gradi Richter, ma la sola preoccupazione del duo Berlusconi-Bertolaso è stata quella di assicurare gli 8 grandi.
Per loro e solo per loro sono stati spesi oltre 500milioni per la sicurezza. Per loro e solo per loro è pronto un immediato piano di evacuazione in caso di forte sisma. Per loro e solo per loro i vigili del fuoco saranno impegnati a controllare la “tenuta” del bunker dove alloggeranno. Per loro e solo per loro si mobilita la protezione civile.
I comuni fuori dal cratere, prossime probabili vittime al 26% di un altro disastroso terremoto, attendono ancora risposta alle richieste di prevenzione da rischi sismici, lanciate dai sindaci alla protezione civile.
Ma se ci saranno altre scosse al di sopra dei 4 gradi Richter, gli 8 grandi saranno immediatamente evacuati verso Roma e gli abitanti di Arischia, Pizzoli, Capitignano, Campotosto, Montereale, Borbona e frazioni limitrofe, fino al reatino, staranno freschi ad aspettare i soccorsi! La SS. 80 è bloccata!
Nessun problema! A piazza d’armi sono arrivate da un po’ 1.500 bare (confidano alcuni finanzieri e forestali), saranno le casette su misura per i vecchi sfollati o per i residenti a nord di Coppito che potranno morire sotto altre scosse causa G8? Oppure il foglio di via per gli anti G8?
Intanto la zona rossa del G8 è ancora più ampia e deserta di prima, non volano neanche le mosche, l’unico rumore assordante che scuote i timpani, i vetri delle finestre e le mura già lesionate di Arischia, Pizzoli, Preturo, Coppito, Pettino, S. Vittorino e Cansatessa, è quello prodotto dalle eliche degli elicotteri militari.
Stanno uccidendo un’intera città 2 volte. Chi è sopravvissuto al terremoto è scappato per il G8. Si allunga la lista degli esiliati. Gli 8 grandi sciacalli deprederanno una città morta proprio grazie a loro, alle loro banche, al loro malaffare, alle loro speculazioni.
E’ vero, al peggio non c’è mai fine, ma chi resiste conosce anche un’altra verità, l’altro lato della medaglia di questa filosofia della rassegnazione, che ha ben sintetizzato una compagna che ha perso la madre e la sorella sotto le macerie, per mano di padroni assassini:

AL MEGLIO NON C’E’ MAI FINE!
Ed è con questo ottimismo, che deriva dalla nostra volontà, dalla nostra lotta, che diamo il nostro abbraccio di solidarietà a tutti gli studenti e i compagni che hanno perduto la loro libertà per la libertà di tutti. Ed è con questo saluto che diamo il caldo benvenuto a tutti coloro che vorranno essere al nostro fianco in un momento come questo, drammatico ma di lotta.

Vi aspettiamo a L’Aquila, venerdì 10 luglio, ore 14 alla stazione di Paganica

Per sentire insieme che “al meglio non c’è mai fine”
perché noi, uniti, siamo 6 miliardi, loro sono solo 8

Oltre la casa, il lavoro, la libertà e la vita dei nostri cari
non abbiamo più nulla da perdere

NOI CI SAREMO!

Rete di soccorso popolare